il Fatto Quotidiano, 28 ottobre 2025
Pandemia coronavirus, adesso Lega e Forza Italia boicottano la commissione di Meloni
A poco più di un anno dalla sua istituzione, una parte della maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni non crede più nella commissione d’inchiesta sul coronavirus, voluta da Fratelli d’Italia per indagare sulla gestione della pandemia e presieduta dal senatore Marco Lisei. Se l’opposizione ha denunciato con una lettera ai presidenti delle Camere una gestione politica della commissione, i parlamentari di Forza Italia e in parte anche della Lega da mesi non partecipano più ai lavori. Nel centrosinistra si sta iniziando a parlare anche di un possibile appello al Capo dello Stato.
I motivi sono due e vengono denunciati dalle opposizioni: uno è di carattere organizzativo e uno tutto politico. Il primo è legato al fatto che da mesi accusano la decisione di convocare le sedute in orari complicati – di prima mattina o a tarda sera, anche il lunedì e il venerdì – e spesso con pochissimo preavviso. Questo avviene anche sugli auditi, senza dare il tempo ai parlamentari di approfondire i dossier.
È stato il caso, come si legge nella lettera inviata dai capigruppo di opposizione ai presidenti delle Camere Ignazio La Russa e Lorenzo Fontana, dell’audizione del capo della Protezione civile Fabio Ciciliano del 3 giugno comunicata solo il 30 maggio con il ponte del 2 giugno nel mezzo, dell’audizione del funzionario delle Dogane Miguel Martina convocata il venerdì pomeriggio per il lunedì mattina (era metà settembre) e infine delle ultime quattro audizioni del comandante della Guardia di Finanza Eugenio Mormorale, dei professori Enrico Di Rosa e Giorgio Buonanno e del virologo Fabrizio Pregliasco che sono state convocate nel pomeriggio di venerdì 17 ottobre per il 20 e 21 senza dare il tempo di approfondire “decine di migliaia di pagine relative alle audizioni”.
Ma c’è una ragione anche politica che ha portato diversi parlamentari di maggioranza ad abbandonare da settimane i lavori della commissione Covid: il dissenso nei confronti della linea di FdI. Non è condivisa con i meloniani la linea secondo cui sono stati “torchiati” alcuni epidemiologi, messi all’indice alcuni funzionari del governo Conte-2 – come l’allora commissario Covid Domenico Arcuri – e portate in commissione diverse tesi anti-scientifiche sui vaccini e sulla gestione della pandemia. Tanto più dopo i diversi richiami del presidente Sergio Mattarella, che ieri ha parlato di “teorie anti-scientifiche autolesionistiche”.
L’idea condivisa tra Lega e Forza Italia è che non si dovrebbe usare la commissione per “processare” il governo Conte ma, casomai, per individuare falle ed errori nella gestione della pandemia senza finalità di vendetta. I tre parlamentari di Forza Italia e i quattro della Lega hanno quasi del tutto abbandonato i lavori: ogni tanto si presentano Licia Ronzulli e i leghisti Claudio Borghi e Alberto Bagnai. In FdI sono sempre presenti e vanno avanti. Dopo l’annuncio della lettera di Pd, M5S e Avs ai presidenti delle Camere, il capogruppo Galeazzo Bignami ha parlato di “costante ostacolo sulla ricerca della verità”: “Di cosa avete paura?”, ha chiesto ai colleghi confermando la fiducia in Lisei.
I meloniani, a microfoni spenti, accusano i forzisti di voler difendere l’ex direttore generale delle Dogane e poi assessore all’ambiente della Regione Calabria di Roberto Occhiuto, Marcello Minenna (che sarà audito giovedì), e i leghisti di voler creare grane all’interno della maggioranza. Ma senza i voti degli alleati sarà difficile approvare una relazione finale. Il leghista Borghi invece accusa le opposizioni di fare “ostruzionismo”: “Il M5S ha chiesto mille auditi e siamo ancora alle mascherine: quando si parlerà di green pass e vaccini credo ci sarà più interesse”. Per Alfonso Colucci del M5S, invece, “FdI piega la commissione alla sua propaganda e vuole a tutti i costi che la narrazione entri all’interno di un vestito che ha già pronto, che prevede la condanna dei governi Conte-2 e Draghi, ma ignora la gestione regionale della sanità”. Una strategia, conclude Colucci, che “non si adatta alla verità e alla scienza” a costo di “spaccare finanche la stessa maggioranza, visto che i loro alleati non partecipano più alla commissione”.