Corriere della Sera, 28 ottobre 2025
Mozart diventa un reality
Il primo reality l’ha inventato Mozart. Per partecipare alla sua Scuola degli amanti le regole sono queste: essere giovani, in coppia, pronti a sperimentare la solidità dei propri sentimenti sotto lo sguardo cinico di Despina e Don Alfonso, conduttori di uno show televisivo dove vengono messi alla prova amore e fedeltà dei concorrenti.
«Quando la Scala mi ha chiesto di portare in scena questo Così fan tutte, mi sono chiesto cosa voglia dire nel 2025 il suo sottotitolo, La scuola degli amanti» riflette Robert Carsen, autore del nuovo allestimento dell’opera, dal 5 novembre al Piermarini con la direzione musicale di Alexander Soddy.
«Quell’esperimento filosofico ipotizzato da Mozart e il suo librettista Da Ponte, così audacemente amorale da scandalizzare il pubblico settecentesco e venir tolto a lungo da tutte le ribalte, mi ha fatto pensare ai tanti format di oggi, “Temptation Island”, “Love Island”, “Love is Blind”, “Too Hot to Handle”, che portano sotto le telecamere persone reali in situazioni simulate per sondarne reazioni e scelte morali. Un’indagine sulla natura umana ai tempi della società dello spettacolo». Così nella Scuola degli amanti, scritta che troneggia nello studio televisivo costruito in scena, Fiordiligi e Guglielmo, Dorabella e Ferrando, vengono indotti in tentazione dai due presentatori «maestri di vita» che guidano il gioco, orchestrano trappole amorose, commentano gli esiti. Sempre attenti al tornaconto dell’audience.
«Se i protagonisti sono le due coppie, nel reality ci saranno ovviamente altri partecipanti, che con loro interferiscono» avverte il regista canadese, non nuovo agli sberleffi al Piermarini, memorabile il suo Candide di Bernstein del 2007 con Berlusconi e altri potenti in mutande. Nel quartetto però la situazione non è paritaria. «I due ragazzi sono complici dell’inganno messo in piedi da Don Alfonso. Scommettono con lui sulla fedeltà delle loro fidanzate, e la posta in palio sono un bel po’ di soldi. Il denaro qui è importante, è il motore della vicenda nel libretto e nel reality. Viviamo in un’epoca in cui si vuole diventare ricchi e famosi subito. Fosse anche per cinque minuti».
Con quel gruzzolo in ballo, i due fingono di partire e poi tornare sotto mentite spoglie a testare la virtù delle compagne. Le ragazze invece sono in buona fede, pronte a disperarsi dell’abbandono, ma cedere in fretta alle lusinghe dei nuovi venuti. Che nell’opera ricompaiono travestiti da prestanti albanesi, con grandi mustacchi e ricche vesti. «Naturalmente qui saranno camuffati in altro modo, lo scoprirete nello spettacolo. Posso dire che saranno diversi nei modi più che nell’aspetto. Pretendenti passionali e audaci come mai prima. Il travestimento consente una libertà inedita, possono fare quel che vogliono, sorprendono le ragazze e anche loro stessi».
Fedeltà, scambi di coppie, travestimenti. Temi cardine del Così fan tutte ma anche degli altri due titoli della trilogia «italiana» di Mozart. Dopo aver portato in scena Don Giovanni e Le nozze di Figaro, Carsen ora affronta il capitolo finale. «Il più complesso e enigmatico. Pone domande, non dà risposte. Perché qui in gioco c’è la confusione del cuore umano, la fragilità dei sentimenti, il loro cambiare a nostra insaputa. La Scuola degli amanti serve a questo, a far crescere quei giovani, a impartire una lezione, anche dolorosa, sulla vita di coppia che li attende. Dove l’intransigenza della passione deve lasciar posto all’imparare a capirsi e perdonarsi a vicenda. Una scuola d’amore, ma anche una scuola per il futuro».
Quel Così fan tutte, dove la «fede delle femmine è come l’araba fenice» si è tirata addosso l’accusa di opera maschilista. «È solo il parere di Don Alfonso, che sul cuore volubile delle donne punta cento zecchini, ma la morale la fa Despina, che ne ha viste abbastanza per non dare credito a giuramenti degli uomini, infedeli e bugiardi di natura. È lei che invita le ragazze a ricambiarli con la stessa moneta, a far l’amor come assassine». Alla fine resta l’interrogativo se il lieto fine sia davvero tale. «La grandezza dell’opera è anche l’ambiguità. Con Soddy abbiamo concordato di cambiare qualche carta in tavola. È un direttore che ama molto il teatro, è facile intendersi. Entrambi amiamo i lieto fine. Il mondo è già abbastanza duro per i giovani. Cercherò di fare del mio meglio per farli sorridere».