il Fatto Quotidiano, 27 ottobre 2025
Italia è il paradiso delle eredità. Tassarle è giusto e anche utile
In Italia il peso dell’eredità nell’economia cresce sempre di più. Ogni anno, circa un milione di persone riceve in media 200mila euro, equivalente a quasi dieci volte il reddito medio annuale di un lavoratore dipendente (23mila euro). E la quota di lasciti ereditari, circa il 15% del reddito nazionale nel 2021, pari a circa 250 miliardi annui, è raddoppiata rispetto agli anni ’90. Per questo ha senso “riesaminare nuovamente il suo ruolo per la tassazione”, come rimarcato dall’economista britannico Tony Atkinson.
Eppure, in Italia dalla metà degli anni ’90 ad oggi, le imposte sulle successioni e sulle donazioni sono state sistematicamente depotenziate e perfino abolite tra il 2001 e il 2006. Oggi, l’aliquota media di prelievo è inferiore allo 0,5% del valore dei lasciti, circa un terzo della media globale. Certo, molti altri paesi hanno seguito questa strada. Alcuni – come Svezia, Norvegia, Austria, Canada o Singapore – hanno addirittura abolito del tutto questa imposta. Ma ci sono anche esempi opposti: Francia, Germania, Giappone, Olanda, Finlandia, dove la tassazione sulle eredità è stata, invece, rafforzata.
La timidezza italiana nel tassare i patrimoni ereditati appare chiara anche quando analizziamo gli elementi chiave della tassazione: la soglia di esenzione e l’aliquota di tassazione massima. In Italia, la prima è di almeno un milione di euro per eredità in linea diretta, cioè da genitori a figli (si tratta di una somma generosa che basta oggi per entrare circa nel 3% più ricco degli adulti italiani!). Mentre negli Stati Uniti circa 12 milioni di dollari, ma in Paesi come il Regno Unito o la Francia, si scende tra 100 e 350mila euro circa. Anche le aliquote sono molto diverse: in Italia è del 4%, sempre guardando alla linea diretta dei trasferimenti, mentre la media OCSE è del 15%. In altri Paesi come Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone può arrivare al 30, 40 o persino al 55% come si evince dalle stime del GC Wealth Project.
La tassazione dei trasferimenti di ricchezza, come eredità e donazioni, è una delle forme di tassazione più antica al mondo, giustificata con argomentazioni legate sia all’equità e giustizia distributiva sia all’efficienza economica e alla compressione della concentrazione di potere economico e politico. Seppur il potenziale della tassazione delle eredità nel ridurre la concentrazione dei patrimoni è un aspetto ancora in parte controverso, nella letteratura economica si fa strada l’evidenza che vede nell’aumento della progressività e dell’imposta soprattutto sulle grandi eredità un intervento che riduce le disuguaglianze, anche di opportunità.
In primo luogo, i dati ci dicono che le eredità sono estremamente concentrate e che chi ha un livello di istruzione più alto, redditi maggiori o un patrimonio già consistente ha maggiori probabilità di ereditare. Eredita più spesso, ma anche di più. L’1% degli eredi più ricchi in Italia controlla circa il 25% di tutti i trasferimenti. Anche tra i grandi patrimoni la componente ereditaria è evidente: secondo le statistiche di Forbes, circa sei su dieci tra i primi miliardari italiani sono elencati come ereditieri.
In secondo luogo, gli studi più recenti hanno evidenziato che le piccole eredità migliorano la condizione economica delle famiglie della fascia media. Al contrario, le grandi eredità accentuano le disuguaglianze, perché vanno per lo più a chi è già benestante. A rafforzare questa dinamica c’è un altro fattore: chi eredita ed è già ricco tende a risparmiare e investire quanto riceve; chi invece dispone di meno risorse è spesso costretto a consumarle. Così, chi ha di più continua ad accumulare, e la distanza cresce. E qui arriviamo a un paradosso in corso nel nostro Paese: la perdita di progressività dell’imposta che si è verificata nel corso degli anni ha fatto sì che le piccole eredità diffuse, che riducono le disuguaglianze, sono spesso tassate di più delle grandi. Negli anni ’90, un lascito di oltre 10 milioni di euro era tassato con un’aliquota effettiva del 6-7%. Oggi siamo scesi attorno all’1%. Inoltre, gran parte del gettito deriva da lasciti inferiori al milione di euro, anche perché le soglie di esenzione cambiano in base al grado di parentela: se eredito da un fratello, pago il 6% su tutto ciò che supera i 100mila euro; se eredito da una zia, pago l’8% su tutto, indipendentemente dalla somma. Il risultato è paradossale: chi riceve di meno rischia di pagare di più. E questo non solo è inefficiente, ma anche iniquo, perché penalizza proprio quelle eredità più piccole che, in teoria, dovrebbero aiutarci a ridurre le disuguaglianze.
Esistono dunque diversi spazi di manovra per riformare l’imposta di successione, una sfida alla nostra portata. L’esempio della Francia ci dice che i margini di intervento sono ampi: lì nel 2024 a fronte di 300 miliardi di trasferimenti sono stati incassati oltre 20 miliardi; in Italia, con 250 miliardi, meno di meno di 1 miliardo.
Le modalità di intervento sono diverse. Innanzitutto, ripensare gli obiettivi della tassazione, spostando l’attenzione sui trasferimenti cumulati in vita, come si fa in Irlanda, e non ricevuti in un dato anno, indipendentemente da ciò che si è già ricevuto. Un sistema che mette al centro le disuguaglianze di opportunità, e per questo potrebbe essere facilmente comprensibile e accettabile socialmente.
La seconda è allargare la base imponibile: cioè eliminare le troppe esenzioni che creano buchi, aumentando l’efficienza, riducendo pratiche elusive e di evasione. Poi ci sono gli interventi più diretti: aumentare le aliquote di tassazione, che possono essere anche molto elevate di fronte a eredità molto concentrate, e modificare la soglia di esenzione, definendo una ragionevole che mantenga l’equilibrio tra i diritto di una famiglia di aiutare i propri figli e l’esigenza di garantire pari opportunità. Anche l’OCSE e il Fondo Monetario raccomandano di rafforzare la progressività, esentando però la classe media e le eredità medio-basse, così da migliorare l’accettabilità sociale dell’imposta. Ma come?
Nel recente studio “The influence of inheritances on wealth inequality in rich countries”, pubblicato sul Journal of Public Economics insieme a Brian Nolan, Juan Palomino e Philippe Van Kerm, abbiamo stimato per l’Italia la soglia oltre la quale i trasferimenti di accrescono le disuguaglianze a poco meno di 350 mila euro. In Italia, il Forum Disuguaglianze e Diversità, ha avanzato una proposta di riforma in chiave progressiva prevedendo di tassare i trasferimenti ricevuti nel corso della vita con tre scaglioni e tre aliquote: sotto i 500 mila euro nessuna tassazione, tra 500mila e 1 milione, un’imposta del 5%; tra 1 e 5 milioni, al 20%; oltre i 5 milioni, al 50%. Non colpirebbe le famiglie comuni, ma renderebbe il sistema più giusto, più efficiente e più sostenibile spostando il carico fiscale su chi riceve almeno 1 milione di euro. Questo libererebbe 5 miliardi per finanziare misure di riequilibrio delle disuguaglianze di opportunità, pensando ai giovani. Ad esempio, un’eredità universale per permettere loro di svincolare il proprio destino da quello dei genitori.