Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  ottobre 27 Lunedì calendario

Dieci esoneri in 128 anni ma 3 negli ultimi anni, la panchina della Juve è diventata girevole

Anche una storia ultracentenaria di (quasi) massima continuità può prendere una piega differente. Complessivamente dodici tecnici cambiati a stagione in corso (ma due furono dimissionari, e quindi si può parlare di 10) in 128 anni di gloria, di cui ben tre nelle ultime tre annate: quando il corso degli eventi può raccontare più di un fiume di parole. La Juventus che ha sempre avuto un certo tipo di filosofia, la rotta eventualmente la si inverta quando il pallone non rotola, ora sta cambiando pelle, adeguandosi ad un modus operandi che da sempre era stato di altro ma che invece non aveva trovato casa a Torino: se c’è qualcosa che non funziona, a prescindere da quanti e quali possano essere le responsabilità, il tecnico lo si solleva. Per buona pace, e il ragionamento non sarebbe certo sbagliato, di coloro che sostengo che bisognerebbe dare il giusto tempo.
Igor Tudor, il cui mandato è ufficialmente terminato oggi, è stato l’ultimo dei tre tecnici esonerati in appena diciassette mesi: un trend che era scattato con l’addio a Massimiliano Allegri subito dopo la vittoria della Coppa Italia nel maggio del 2024, per passare a Thiago Motta che lo scorso 25 marzo era stato sollevato proprio per dare spazio al croato, la cui avventura in bianconero è durata lo spazio di un paio di mesi dello scorso campionato, del Mondiale per Club e di un avvio che non gli ha permesso di arrivare nemmeno a novembre, quando forse il calendario sarebbe stato – a differenza delle ultime tre trasferte consecutive – un alleato in più. In nemmeno un anno in mezzo, nel mezzo di polemiche infinite, ben 3 proprietari della panchina sono stati spodestati: cambiare per risollevare è diventato il nuovo mantra di un club che dell’essere “conservativo” ne ha fatto un marchio di fabbrica.
Il primo nella storia della Juve a “subire” fu Sandro Puppo nel 1956/1957: in bianconero dal 1955, dopo l’esperienza al Barcellona (l’ unico italiano a sedersi sulla panchina catalana), fu esonerato nell’aprile del ‘56 a cinque giornate dalla fine del campionato, sostituito da Teobaldo Depetrini. Lo stesso Depetrini subentrò anche nel 1958/1959 in luogo di Ljubisa Brocic, colui che conquistò il decimo scudetto della storia juventina, quello della stella. Per la Juve quelli a cavallo tra le annate ’50 e ’60 furono anni “caldi”: nel 1961/1962 arrivò il terzo cambiamento, con Julius Korostelev che dopo solo due turni dovette, per motivi personali, rientrare in Svezia. Umberto Agnelli decise quindi di richiamare Carlo Parola, che nelle due annate precedenti aveva conquistato altrettanti tricolori, dirottando Korostelev alla supervisione tecnica. Avvicendamento non troppo positivo considerando il dodicesimo posto finale. E benissimo non andò nemmeno poco dopo.
Paulo Amaral, il quarto ad essere sostituito a stagione in corso, terminò la sua esperienza nell’ottobre del 1962, e non gli bastò nemmeno il secondo posto dell’anno precedente e la conquista del primo titolo internazionale della storia del club (Coppa delle Alpi): al suo posto Eraldo Monzeglio, che nel marzo 1963 diventò poi direttore tecnico con Ercole Rabitti in panchina. Rabitti che tornerà di “moda” anche nel 1969. La Juve che si lasciava alle spalle i cinque campionati consecutivi con Heriberto Herrera, nell’estate del 1969 affidò la conduzione tecnica a Luis Carniglia: l’argentino rimase in sella per sei giornate, prima del ritorno di Rabitti che concluse al terzo posto alle spalle del Cagliari di Gigi Riva e dell’Inter. Da quel cambiò, che fu il quinto, a quello successivo passarono la bellezza di tre anni. Uno scollinamento di più generazioni: tanto il calcio, quando il mondo cambiarono profondamento. Eppure in quei tre decenni, nessuno scese mai dalla macchina in movimento.
Quasi a cavallo dei due secoli, e dei due millenni, il sesto avvicendamento. E non fu un esonero, perché in coda al 4-2 interno con il Parma, Marcello Lippi rassegnò le dimissioni, con Carlo Ancelotti che ne prese il trono. E un cambio ci fu anche nell’anno della B, post Calciopoli: il posto di Didier Deschamps che aveva già conquistato la promozione, nelle ultime due fu occupato da Giancarlo Corradini. Stessa sorte toccò a Claudio Ranieri nel 2008/2009: gli ultimi 180 minuti furono “cosa” di Ciro Ferrara che prese sei punti su sei, con la Juve che arrivò seconda dietro solamente all’Inter. Toccò poi però, l’anno seguente, allo stesso Ferrara finire nel tritacarne degli allenatori: dopo 21 turni e l’eliminazione in Coppa Italia per mano dell’Inter, arrivò Alberto Zaccheroni. Finì non bene, col settimo posto. Il resto, con Massimiliano Allegri, Thiago Motta e Igor Tudor è storia recentissima. E racconta come anche alla Juve, cambiare il tecnico in corso non sia più un qualcosa di così anomalo.