corriere.it, 27 ottobre 2025
Affitti brevi, il nuovo «miracolo» all’italiana di AirBnB: fatturato da 2 a 9 miliardi in 7 anni. Ma a pagare il prezzo sarà chi non ha la casa
Spesso il nostro ceto politico è accusato di bisticciare su faccende irrilevanti e le liti nella maggioranza sui cosiddetti affitti brevi, a prima vista, rientrano perfettamente nel genere. Tutto nasce dalla proposta del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di alzare dal 21% al 26% il prelievo sui redditi degli appartamenti o delle stanze offerte sostanzialmente quasi tutte su AirBnB. Quella avanzata nella proposta di Legge di Bilancio, in realtà, è una modifica solo sul primo appartamento di proprietà offerto in affitto breve; perché chi ne ha fra due e quattro di appartamenti in teoria dovrebbe pagare già l’aliquota al 26% e chi ne ha più di quattro dovrebbe essere trattato dal fisco come un’impresa. Su questo, naturalmente, i politici litigano da morire.
Il boom di AirBnB
Per Antonio Tajani di Forza Italia la norma è «iniqua», per Matteo Salvini della Lega «sciocca», Maurizio Lupi di Noi Moderati propone addirittura di limare il prelievo al 15%. Ovvio – umano – che cerchino i voti dei proprietari. Ma per una volta non hanno tutti torti ad azzuffarsi. Perché se ci si stacca un attimo dalle questioni di aliquota e si guarda il panorama, diventa chiaro che AirBnB e il suo incredibile boom – un fenomeno di costume sociale, non solo di portafoglio – interroga l’Italia intera e noi che la abitiamo. Ci obbliga a chiederci chi siamo, cosa vogliamo diventare in questo secolo di competizione così dura fra sistemi sulla conoscenza, la tecnologia, il potere allo stato puro. Ci obbliga a chiederci a spese di chi, all’interno della nostra stessa collettività, vogliamo diventare ciò che stiamo diventando. Vediamo.
Il fenomeno post-Covid
Sgombro il campo dagli equivoci. Sul piano individuale non c’è niente di male nel mettere uno, due o quanti appartamenti si hanno in offerta su una piattaforma digitale. Magari – chissà – lo farei anch’io se potessi. Di certo uso gli AirBnB con soddisfazione e risparmio. Nessuno merita di essere additato al biasimo solo perché prende una legittima iniziativa con dei suoi beni di proprietà. Ma non è più solo una questione individuale. Il fenomeno sta assumendo dimensioni talmente di massa, su una scala così macroeconomica, che è tempo di guardarlo anche dal punto di vista sistemico. Nessun’altro settore è cresciuto in maniera paragonabile negli ultimi anni in Italia, nessun altro sta continuando a dimostrare un dinamismo così evidente e a cambiare le prospettive economiche di un numero così vasto di italiani.
Crescita del 50% dopo la pandemia
Il Future Urban Legacy Lab del Politecnico di Torino, sotto la responsabilità di Francesco Chiodelli e Mara Ferreri, ha pubblicato quest’anno un rapporto («Chi gestisce davvero il mercato AirBnB?») che mostra le tendenze del fenomeno. Quasi tutti i dati e i grafici in questo articolo, tranne l’ultimo, sono tratti da quel lavoro. Sopra si vede come il numero delle «unità abitative» offerte in affitto breve dal 2017 e poi da subito dopo la pandemia sia esploso di oltre il 50% e, agli attuali tassi di crescita, appaia già all’orizzonte la prossima tappa: fra pochissimi anni ci saranno un milione di opzioni diverse in rete per il pernottamento privato in Italia.
La soglia dei 9 miliardi
Il grafico sotto mostra invece l’altra faccia dello stesso fenomeno, benché non perfettamente speculare. Mentre su AirBnB gli appartamenti (o meno spesso le semplici stanze) sono cresciuti di mezza volta, nello stesso periodo il numero di notti passate lì dentro da turisti o altri viaggiatori in Italia è salito di una volta e mezza dal 2020 e di poco meno dal 2017. I ricavi totali da questa attività nel Paese dal 2017 all’anno scorso esplodono crescendo di oltre tre volte da 2,6 a 8,8 miliardi di euro e sicuramente quest’anno stanno senz’altro superando anche la soglia dei nove miliardi.
La mappa del boom
È nato, in qualche misura, un nuovo ceto sociale. O almeno un gruppo sociale legittimamente accomunato dagli stessi interessi. Gli «host» (soggetti ospitanti) di immobili offerti su AirBnB in Italia sono ormai 350 mila e gestiscono in media 2,1 appartamenti per ciascuno. Già da prima della pandemia hanno superato nettamente i 2,2 milioni di posti letto messi sul mercato dalla varia costellazione degli alberghi e alla fine dell’anno scorso erano arrivati a offrire 3,2 milioni di posti. Per i centri italiani di attrazione l’impatto è fortissimo e binario: meno spazi, meno servizi, più congestione, tempi e costi di spostamento più alti e prezzi potenzialmente più cari su molti acquisti per la parte di popolazione che non vive di turismo; più posti di lavoro, maggiori fatturati e potenzialmente più investimenti per l’altra che invece di turismo vive. Ci vive con o senza AirBnB, a volte solo cogliendone i frutti lavorando in bar o in un ristorante, grazie all’aumento dei visitatori.
Il timore di concedere contratti di affitto lunghi
In sostanza l’esplosione delle piattaforme di ospitalità, come da sempre con ogni nuova tecnologia, nei nostri centri abitati crea vincenti e perdenti. Sicuramente essa è sospinta anche dal timore diffuso fra i proprietari di case, magari per esperienze pregresse, di concludere contratti di affitto lunghi: le legge e le procedure tutelano gli inquilini al punto che alcuni fra questi possono scegliere in modo strategico di non pagare il canone contando sul fatto che per molti mesi o vari anni potranno comunque restare tranquillamente nell’immobile. Eppure anche il boom degli affitti brevi crea un conflitto distributivo nella società che ancora non è emerso del tutto alla luce del sole, ma non può tardare. Dove si concentra di più il fenomeno: Toscana, Roma, Milano, la Puglia e molte località costiere, inclusa l’intera area di Napoli e provincia.
La corsa dei ricavi
Ma non è tutto, perché la dinamica del denaro di questo sistema conta eccome ed essa risulta assolutamente spettacolare. Niente che ricordi lontanamente la stagnazione italiana di questi decenni. Ed è qui che si trovano altre opportunità per alcuni e altri potenziali conflitti distributivi nella società italiana. Il costo dell’affitto di un’unità abitativa in AirBnB nel Paese – dall’Alto Adige all’entroterra siciliano – fra il 2017 e il 2024 è salito in media da 111 euro a 167 euro per notte: fa più 50% in sette anni, cioè un’inflazione degli affitti brevi del 7% medio annuo (segnatevelo, perché tornerà utile tra poco). I ricavi annui per immobile messo sulla piattaforma sono più che raddoppiati a 11.700 euro all’anno, mentre i ricavi per ciascun «ospitante» in media sono cresciuti ancora di più: da 10 mila euro all’anno del 2017 a 25 mila euro all’anno.
Turisti contro studenti
Lo so che suona brutto e brutale e un po’ populista dirlo. Ma è un fatto: mentre il potere d’acquisto dei salari e degli stipendi di chi lavora in Italia calava, quello di chi gode di rendite anche piccole è molto più che raddoppiato. Dal 2017 a Roma i ricavi medi per unità abitativa su AirBnB sono triplicati a 24 mila euro all’anno – la soglia del reddito medio dichiarato al fisco dagli italiani – ma appunto in media gli appartamenti per ogni «ospitante» sono più di due. Anche a Firenze i redditi medi annui da AirBnB per ogni «ospitante» sono (quasi) triplicati fino a sfiorare la soglia dei 24 mila euro. E in quasi tutte le altre grandi città, come potere vedere, sono cresciuti moltissimo.
Il nodo dell’equità fiscale
Ora, qui c’è un tema di equità fiscale. Con il prelievo al 21% uno «host» di AirBnB da 24 mila euro l’anno versa al fisco, per la propria rendita, appena circa 1.350 euro all’anno in più rispetto a un lavoratore dipendente con lo stesso reddito (quest’ultimo è soggetto all’aliquota al 23%, con una no tax area di 8.500 euro). Una differenza del genere è troppo piccola. È semplicemente ingiusto che chi svolge lavori magari faticosi e pericolosi nella propria comunità paghi – a pari guadagni – quasi tante tasse quante ne paga il beneficiario di una rendita che genera tanti impatti negativi su larga parte della popolazione del suo centro abitato. E in realtà il reddito di molti proprietari in appartamenti in AirBnB è ben superiore ai 24 mila euro l’anno. Qui Giorgetti ha ragione: l’aliquota sugli affitti brevi deve salire.
Gli effetti sulle politiche abitative
C’è poi un secondo tema, che investe la possibilità di abitare di tutti gli altri. Specie coloro che non possiedono una casa e devono andare in affitto. Le 38 mila offerte di affitti brevi sulla piattaforma sulla sola Milano alla fine dell’anno scorso, le 47 mila di Roma e le quasi 17 mila di Napoli rappresentano o si avvicinano al 5% di tutti gli immobili occupati di quelle grandi città (esclusi gli immobili che i proprietari scelgono di tenere vuoti). È probabile che le 17.500 opzioni per affitti brevi a Firenze rappresentino invece circa il 10% degli immobili abitati a Firenze, benché io non abbia trovato dati precisi in proposito. Quest’attività è diventata così vasta da assumere il ruolo di quello che gli economisti chiamano il «prezzo marginale»: trascina con sé verso l’alto tutto il resto del mercato degli affitti, perché un proprietario può sempre spostarsi su AirBnB se non si accontenta dalla rendita di un contratto a lungo termine. Così il potere d’acquisto di un turista newyorkese spiazza e mette fuori mercato uno studente calabrese di fisica nucleare a Firenze o rende più difficile per una giovane coppia lavoratrice, se priva di eredità, programmare il momento del primo figlio. Ma quale di questi potenziali inquilini beneficia di più la collettività?
L’effetto AirBnB rischia di rafforzare i fattori di società classista e patrimoniale da sempre presenti in Italia.
La spinta dell’inflazione
È l’inflazione complessiva nel mercato degli affitti in Italia, fotografata dall’Istat. È decollata dopo il Covid, ma a differenza dell’inflazione complessiva, poi non è mai riatterrata. Viaggia attorno al 4%, oltre il doppio del tasso complessivo, proprio mentre appunto il potere d’acquisto del lavoro dipendente è sceso.
E un ultimo punto: sarebbe un peccato se l’aspettativa di una rendita facile da affitti brevi facesse passare (anche inconsciamente) la motivazione a qualche giovane di studiare e imparare o a qualche adulto di impegnarsi in un’attività produttiva. Ma ho già descritto come con il recupero parziale delle perdite di potere d’acquisto per l’inflazione si è già di fatto alzata la pressione fiscale su vaste porzioni del lavoro dipendente. E l’attuale Legge di bilancio mitiga, non elimina questi effetti. Da dati Istat il business di AirBnB in Italia oggi rappresenta già, come volumi di fatturato:
- Il 50% della ricerca scientifica e sviluppo
- Il 60% dell’industria chimica
- Il 70% della farmaceutica
- Quasi l’80% del settore elettronica e computer
- Quasi il 90% di «attività editoriali, audiovisive e di trasmissione».
Il precedente di Stiglitz
Ai ritmi attuali, l’industria degli affitti brevi è destinata a superare presto tutti questi settori strategici del Paese. Mi fa pensare a ciò che scrisse Joe Stiglitz, il futuro premio Nobel per l’Economia che negli anni ’90 come presidente del Council of Economic Advisors di Bill Clinton si scontrò alla Casa Bianca con i colleghi che volevano tagliare le tasse sui guadagni ottenuti a Wall Street: «Mi chiedevo: che messaggio stavamo mandando? Cosa stavamo dicendo al Paese, ai nostri giovani, quando abbassavamo le tasse sui capital gains e le alzavamo su chi vive del suo lavoro? Che è meglio vivere di speculazione che in altro modo. La crescita della produttività che alla lunga forma la forza del nostro Paese dipende dai progressi nella scienza, dai ricercatori nelle università e nei laboratori, che lavorano sedici ore al giorno per cercare di capire il mondo in cui viviamo. Questa è la gente che dovremmo premiare». Stiglitz fu allontanato dall’amministrazione Clinton. Mi chiedo cosa gli accadrebbe oggi in Italia.