Il Messaggero, 25 ottobre 2025
Social freezing congelando gli ovuli. La nuova frontiera della maternità
Un nome avveniristico per un desiderio antico: social freezing. L’ultima estrema frontiera per fronteggiare il calo delle nascite? Di certo fenomeno in crescita che coinvolge sempre più donne che in mancanza di un uomo a fianco o di un rapporto stabile, oppure prese dalla carriera o solo non economicamente autosufficienti, prendono tempo ma non rinunciano a un desiderio che a un certo punto della vita diventerà impellente: un figlio. Da qui la scelta di congelare gli ovuli in età fertile per utilizzarli successivamente per una gravidanza. Non sono solo i vip – dall’influencer Taylor Mega all’attrice Matilda Gioli a Bianca Balti che ha dichiarato «così non ci pensi più, ti fai la tua vita e quando vuoi una gravidanza hai già tutto il necessario, regalerò a mia figlia il congelamento degli ovuli, credo sia uno strumento di libertà» – a scegliere questa procedura che consiste nella crioconservazione degli ovociti e che serve a conservare un certo numero di cellule riproduttive femminili.
L’OFFERTA
Diffusa da decenni negli Usa (utilizzata nel 2023 da oltre 40mila donne), dove le aziende americane scrive Le Monde offrono il benefit “congelamento degli ovuli": sono «soprattutto società televisive e quotidiani, studi legali, colossi della Silicon Valley anche la caffetteria Starbucks». E in aumento anche in Italia, dove è prevista dal 2009 nel sistema sanitario per le donne che devono sottoporsi a chemioterapie, radioterapie e trattamenti che indeboliscono la riserva ovarica. Per tutte le altre la crioconservazione per ragioni “sociali” costa dai 3mila ai 4mila euro. Solo la Regione Puglia offre tale contributo economico alle donne sotto un certo reddito (legge regionale n.42 del 31 dicembre 2024). Un dato è certo: se le aspettative di vita sono aumentate, l’età fertile non è stata al passo e il tempo biologico non coincide con quello sociale. Da qui l’esigenza di medici e pazienti di prendere di petto l’argomento, specie quando la riserva ovarica di una donna è limitata e questo può verificarsi anche prima dei 35 anni. Il percorso prevede una stimolazione ormonale e il prelievo, l’ideale è riuscire a conservare almeno una decina di ovociti. Non esistono ad oggi dati certi ma i principali centri di Procreazione medicalmente assistita registrano un’impennata della domanda. Un trend in crescita conferma Carlo Alviggi, presidente eletto della Società italiana di fertilità e sterilità (Sifes) e medicina della riproduzione, e responsabile della Medicina e riproduzione del Pma dell’università Federico II di Napoli.
IL TREND
«Non abbiamo numeri ma la tendenza in crescita è sotto gli occhi. Una richiesta tipica della media, alta borghesia, nonostante tante campagne nell’immaginario collettivo si pensa che sia facile fare un figlio dopo i 37 anni. Quali limiti? Non c’è una normativa nel pubblico, dove è previsto il congelamento preventivo solo per motivazioni mediche dunque per pazienti oncologiche o affette da altre patologie cronico degenerative. La legge non copre economicamente il congelamento preventivo per motivazioni socioeconomiche ma non lo proibisce nel privato». Il professore avverte: «C’è un problema importante: la resa dello scongelamento degli ovociti non è altissima: non deve mai passare l’idea che “io mi sto congelando una gravidanza”, le probabilità di ottenere un bambino non sono certe». E diminuiscono con l’età e in base al numero di ovociti conservati. «Le probabilità di successo in caso di ovociti congelati entro i 35 anni sono tra il 10 e il 40% a seconda del numero di ovociti che si riescono a mettere da parte». Insomma, chance maggiori si hanno a 20 anni, quando un figlio è al massimo un desiderio recondito e appannato dal futuro ancora in divenire. «Ogni ovocita scongelato ha tra il 2 e il 4% di probabilità di portare a una gravidanza. Ne servono una quindicina per avere una probabilità intorno al 50%. Ma nella maggior parte dei casi molte donne non riescono a ottenere tra i 5 e i 10 ovociti in una sola stimolazione. Dopo i 35 anni le probabilità di successo scendono, bisogna aver chiaro che si sta congelando un’alternativa al nulla. L’ideale sono i 25 anni di età: più avanti il recupero di ovociti si riduce e la caduta della qualità ovocitaria è tale che richiede più ovociti».
LE REGOLE
«Dovremmo cercare di stabilire delle regole – riflette – il congelamento degli ovociti potrebbe essere estremamente importante se tutti sistematicamente lo facessero, potrebbe avere una ricaduta. Ma quanto costerebbe? Fondamentale è fare prevenzione, stabilirei un check point intorno ai 30 anni per verificare la riserva di ovociti. In modo da avviare chi ha una riserva ridotta al servizio pubblico. Piuttosto che spendere soldi per una 45enne che ha un 1% di possibilità implementerei le tecniche sulle giovani donne intorno ai 28 anni. Se fossi un politico proporrei una razionalizzazione delle risorse destinate nel pubblico a favorire il congelamento degli ovociti ma facendo attenzione a che non diventi un’alternativa per posticipare la gravidanza. La donna deve essere consapevole delle concrete possibilità che avrà un domani. Insomma: ok al favorire la procedura nel pubblico purché siano definite regole che stabiliscano limiti di età e protocolli di accesso per quanto riguarda un’eventuale copertura finanziaria».