il Fatto Quotidiano, 26 ottobre 2025
Altro che lotta alla pirateria, i siti tornano online. E Agcom blocca meccanici e suore
La lotta italiana senza quartiere alla pirateria audiovisiva, dai film e le serie tv alle partite di calcio, grazie ai nuovi poteri forniti all’Autorità garante delle comunicazioni e le maxi multe fino a 5mila euro, era stata presentata in pompa magna dal governo due anni fa. Senza alcuna “strigliata” alle piattaforme di streaming e live tv, da Netflix, Apple Tv e Disney Plus a Sky e Dazn, i cui prezzi complessivamente sono saliti fino al 43% negli ultimi sei anni, arrivando a livelli record. Ma ora uno studio di alcuni ricercatori dell’Università di Twente, che sarà presentato martedì all’International Conference on Network and Service Management di Bologna, dimostra che la lotta finora ha avuto risultati modesti.
I siti illegali dovevano essere bloccati sempre in 30 minuti su segnalazione delle aziende danneggiate. Così è, peccato che grazie alle falle del sistema cosiddetto “Scudo anti-pirateria” (o Piracy Shield) almeno un terzo dei pirati torna online dopo il blocco o riesce comunque a evitare un blocco totale. Nel frattempo a essere oscurati, in assenza di controlli, sono stati anche 510 siti del tutto legittimi, i cui gestori spesso non hanno le competenze informatiche per tornare online. Nell’ultimo anno ci sono stati casi incredibili: da alcuni domini di Google Drive e un sito di telemedicina, alla piattaforma di un meccanico e un sito di un convento di suore. Mentre a essere multati o minacciati di esserlo, finora, sono stati solo qualche migliaia di utenti che comprano servizi illegali online (con Dazn hanno potuto chiudere il contenzioso pagando 500 euro una tantum). Escludendo quindi la marea di servizi streaming gratis, perché in quel caso non si tracciano quasi mai gli indirizzi Ip dei fruitori.
«Piracy Shield – spiega Raffaele Sommese, uno dei ricercatori che ha elaborato lo studio – attualmente blocca solo domini e indirizzi del protocollo internet di quarta generazione, non quello di sesta. Questo lascia una falla: i gestori di siti illegali possono usare il protocollo più aggiornato per aggirare i blocchi e far tornare online il sito incriminato, soprattutto se gli utenti usano servizi pubblici di risoluzione nomi che non applicano la cosiddetta “lista di blocco” (come Cloudflare e Google)». I ricercatori hanno analizzato oltre 6.600 domini web bloccati tra febbraio 2024 e giugno 2025, la cui lista, verificata dal team, non è stata divulgata con trasparenza dall’Agcom, ma pubblicata online da fonti anonime probabilmente vicine a chi lavora con Piracy shield. Di questi domini circa un quarto ha avuto la possibilità di aggirare il blocco usando il protocollo internet di sesta generazione. Mentre circa il 14% dei domini bloccati continuava comunque a rispondere da indirizzi Ip non inseriti nella cosiddetta “lista di blocco” del sistema italiano.
Allo stesso tempo, però, l’impatto di Piracy Shield va oltre la pirateria. «Era stato assicurato dall’Agcom – aggiunge Sommese – che non ci fossero danni collaterali, ma il sistema penalizza imprese legittime (da officine italiane a fornitori esteri) e può bloccare grandi infrastrutture condivise, usate per consegnare rapidamente contenuti web o per proteggere i siti web dagli attacchi hacker. Non solo: costringe gli operatori a gestire una lista crescente di blocchi permanenti che danneggia l’Internet italiano». Questo perché lo spazio occupato dai siti incriminati può essere “risiglato” e riofferto a chi vuole creare piattaforme legali, rimanendo però bloccato in Italia perché inserito precedentemente nella lista di blocco di Piracy Shield.
Per questo i ricercatori consigliano di procedere con blocchi a tempo limitato, pubblicando le liste aggiornate delle operazioni in tempo reale e prevedendo ricorsi semplificati per lo sblocco. Non solo, considerando che 77% dei pirati offrono servizi dall’Unione europea e il 37% dall’Olanda, i ricercatori consigliano di coinvolgere tutte le polizie europee e l’Europol per smantellare le attività economiche e le infrastrutture informatiche illecite a monte. In Germania, in alcuni casi chi usufruiva di streaming illegale è stato identificato. Per ottenere lo stesso risultato, dopo aver sequestrato i siti di streaming si potrebbe, con precise autorizzazioni giudiziarie, lasciarli temporaneamente “accesi” per identificare chi continua a collegarsi, evitando controlli di massa. Se i fruitori usano Vpn (una rete virtuale privata che camuffa la geolocalizzazione), il passo decisivo è l’analisi finanziaria: seguire i pagamenti per eliminare le reti illecite.