il Fatto Quotidiano, 25 ottobre 2025
Roby Facchinetti: la festa per i 60 anni dei Pooh
“Erano gli anni 60. Fummo ingaggiati per una settimana alla Locanda del Lupo, uno dei locali più importanti di Riccione. La sera del debutto fummo duramente contestati”.
Perché mai, caro Roby Facchinetti?
Perché suonavamo troppo forte. Fu una mazzata per il nostro spirito.
I Pooh a un volume heavy metal.
Con le amplificazioni di allora era più casino che suono pulito. Fu uno dei peggiori concerti della nostra carriera.
Ne avete fatti oltre tremila, vi siete riscattati.
Nel 1973, il nostro manager Maurizio Salvadori ci organizzò un tour teatrale lungo sette mesi. Durò un anno.
Dov’è l’incaglio?
Ogni weekend doppio spettacolo, pomeriggio e sera. Così capitava che avessimo un pubblico di 15-20 persone. La cosa non ci rendeva felici, ma la nostra parola d’ordine era che avremmo suonato anche davanti a un solo spettatore. Questione di rispetto.
Ora c’è La nostra storia, celebrazione del sessantennale. 14 live nei Palasport tra settembre e ottobre 2026. Doppie date a Bergamo, Firenze, Torino, Roma, Milano, Eboli e Bari. Vuole forse farmi credere che saranno gli eventi d’addio?
Ah ah ah. Diciamo che è impossibile scendere dal palco. Che è casa nostra. Parte la nuova avventura, un traguardo inaspettato. Chi immaginava nel ’66 che saremmo arrivati fino a oggi? Ai nostri esordi le band, che allora si chiamavano complessi, duravano una media di cinque anni. I Beatles un decennio scarso. Noi ormai talloniamo la Fiat. In che anno fu fondata la Fiat?
1899.
Insomma, siamo qui 80 milioni di dischi dopo. L’amicizia tra noi ha fatto da collante, e pure l’avvedutezza. Tanti gruppi formidabili furono costretti a sciogliersi per degli errori strategici, con danno per la musica.
Voi Pooh, invece, che facevate con i primi guadagni?
Non ci restava in tasca una lira. Gli strumenti costavano un botto, eravamo pieni di debiti, il pensiero fisso era onorare le cambiali. E farsi il mazzo. In questo mestiere non devi mai dormire. Vuoi goderti il weekend, rallentare? Qualcuno ti sorpassa.
In casa non le dicevano ‘trovati un vero lavoro’?
Mia madre no, era una musicista mancata. Mio padre non era d’accordo con le mie scelte. Pensava che suonare fosse un divertimento da oziosi.
Il classico “cosa vuoi fare da grande?”.
Non ho mai pensato a un piano B, però sono di Bergamo, fosse andata male mi sarei inventato qualcosa. Siamo gente tosta, che mola mia, come l’Atalanta.
Quante ragazze vi bussavano ai camerini, negli anni ruggenti?
Eh, migliaia. Eravamo davvero come i calciatori di Serie A.
Quasi tutti tra voi avete avuto modo di dividervi tra la famiglia e la band. Stefano D’Orazio no.
Stefano ha dedicato praticamente la sua esistenza al progetto dei Pooh, a 360 gradi. Noi intanto ci sposavamo, facevamo figli. Quando lui incontrò Tiziana Giardoni, la donna della sua vita e ora sua vedova, capì che se avesse continuato a concentrarsi solo sulla musica l’avrebbe persa. Preferì scendere da quella che chiamava “l’astronave” per vivere l’amore: “quel che dovevo fare l’ho fatto”, diceva. Ovviamente ci mise in difficoltà, reagimmo concependo uno dei nostri album più belli, Dove comincia il sole, con i testi di Valerio Negrini. Oggi alla batteria ci aiuta Phil Mer, figliastro di Red: a 6 anni gli regalò i tamburi Stefano.
D’Orazio era con voi nel 2016, per il tour del cinquantennale.
Ne avvertiamo la presenza a ogni concerto, tuttora. Quando riproponiamo un brano di cui aveva scritto il testo, o che cantava in mezzo a noi, lo sentiamo lì. Stefano ti catturava con l’empatia, e aveva una formidabile capacità manageriale. Proponeva sempre nuove idee strumentali, scenografiche, sapeva pianificare. Ogni show è dedicato a lui e a Valerio.
Negrini ha scritto tante canzoni contro la guerra. Una, che parla della vigilia di un conflitto nucleare, è Il giorno prima. Troveranno posto nella scaletta?
La stiamo decidendo in questo periodo. Dobbiamo scegliere tra oltre 400 pezzi. Vorremmo fare Piazza Tienanmen e Soldato a vent’anni, dove c’è questo ragazzo che lascia moglie e figlio appena nato e parte per il fronte. Millenni di guerre, da Troia ad Attila, non ci hanno insegnato niente.
Una canzone può fare qualcosa?
Credo nelle mobilitazioni civili, dove puoi portare i bambini senza che rischino l’incolumità. Solo noi, tutti insieme, possiamo cambiare il mondo. Perché noi siamo il mondo.
In che epoca vorrebbe risvegliarsi?
Da musicista negli anni 60. Quelli del boom, dove potevi sognare di avere un futuro a lungo termine. Anche a suon di cambiali.