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 2025  ottobre 26 Domenica calendario

Intervista a Remo Ruffini

Remo Ruffini è il presidente, l’amministratore delegato e il direttore creativo di Moncler. Oggi, Moncler ha una nuova sede a Milano, firmata da ACPV ARCHITECTS Antonio Citterio Patricia Viel: situata nel quartiere di rigenerazione urbana Symbiosis, occupa 77mila mq, con un edificio di sei piani alto 32 metri, un vasto showroom e un’area verde. Chiamato “Casa Moncler”, ha elementi di design sostenibile e spazi di lavoro collaborativi.
Agli esordi, avrebbe mai pensato di avere questa sede meravigliosa con 700 persone che lavorano con lei?
«No. Avevo 20 anni, entrambi i miei genitori lavoravano in questo settore e ricordo che discutevamo con chi dei due dovessi andare a lavorare. Avevo trascorso qualche mese con mio padre a New York, ma volevo trovare una mia strada. Era il 1982, l’epoca delle camicie button-down, ed ero appena stato in New England, la mia passione. Dissi a mio padre che sarei tornato in Italia per costruire qualcosa di mio, e me ne andai con l’idea che mi era venuta a Martha’s Vineyard, il marchio New England. Per il primo anno, facevo tutto io, dal fattorino al presidente».
Ha sviluppato il marchio New England per circa 20 anni?
«Era la mia creatura, lo amavo molto, trascorrevo quasi tutti i giorni in ufficio. Più che un lavoro, era diventata una passione ossessiva. Avevo un socio che voleva fondersi con un altro gruppo, quindi me ne andai. In quel periodo riscoprii un’altra mia grande passione, la montagna. Ero nato e vissuto a Como, dove si poteva andare a sciare nel pomeriggio dopo la scuola».
Indossava il piumino azzurro di Moncler?
«Avevo il famoso piumino azzurro, l’avevo comprato lo stesso giorno in cui mi regalarono il motorino, a 14 anni. Non c’erano ancora i “paninari”, era il 1975 o 1976. Mi innamorai di quel piumino, era il sogno di un quattordicenne: avere un motorino ed essere libero di andare dove vuoi, sempre con il Moncler. Quel ricordo non mi abbandonò mai, anche quando non lo usai più perché avevo l’auto. Poi, un giorno qualcuno mi disse che Moncler era in vendita».
Era una società francese con base a Grenoble.
«Avevo 40 anni. Mi dissi che non potevo andare in pensione, e poi si presentò questa occasione. Non avevo chiaro il prodotto perché all’epoca Moncler non era molto presente sul mercato, ma ricordavo le sensazioni di quando lo usavo in motorino e sugli sci. Contattai una banca milanese e dopo 4-5 mesi acquistai il marchio».
Cosa ha fatto?
«Andai negli archivi per riportare sul mercato lo stesso prodotto, ma con il comfort moderno. I primi anni sono stati difficili per via di una distribuzione che era principalmente in negozi sportivi di fascia bassa, spesso in saldo. Ho cercato sin dal primo giorno di creare un marchio forte, il mio mantra da sempre, di elevare il più possibile il design, mantenendo il DNA del brand. Col tempo sono riuscito a entrare in un’altra categoria di negozi, non si parlava ancora del lusso. All’epoca c’erano molti più negozi multimarca, con prodotti eccellenti».
Aveva spostato il marchio dalla montagna alla città, perché nessuno indossava più i cappotti?
«I giacconi Moncler erano enormi. Ti proteggevano dal freddo, ma pesavano 1 kg, e non erano completamente idrorepellenti, perché a 4-5 mila metri nevica, ma non piove. Ho rivoluzionato tutto. Ho studiato e introdotto una tecnologia di cui non sapevo nulla, ero un autodidatta che veniva da un altro mondo. All’epoca avevo scritto sui muri dell’azienda, in diverse lingue, “born in the mountains, living in the city”. E nel 2006 riuscimmo a fare un piumino che pesava 99 grammi. In generale in pochi anni abbiamo innovato in ogni campo, rimanendo però ancorati alle radici. Ancora oggi al mio team dico sempre che possiamo fare qualunque cosa, ma mai tradire il marchio».
Cos’ha di iconico Moncler che non cambierà mai?
«Il prodotto, che porta il nome delle montagne, Himalaya (oggi Maya) o Karakorum. Sono giacconi che sembrano quelli degli anni’50/’70, ma li ho resi contemporanei, migliorandone la vestibilità, la qualità e la leggerezza. Raramente li esponiamo nemmeno nei negozi: sono molto richiesti, ma li teniamo in magazzino e li vendiamo solo su richiesta».
Quali sono i suoi colori? Cambiano con le mode?
«I nostri colori tradizionali sono il blu classico e il nero, sono sempre disponibili. Ogni anno, aggiungiamo due o tre colori più stagionali, ispirati sempre agli anni’50-70. Quando sono andato in borsa, circa 12 anni fa, il mio slogan era “Survive Fashion”. Devo essere contemporaneo, ma Moncler non ha bisogno di seguire le tendenze».
Avete negozi e showroom che assomigliano a quelli dei marchi del lusso, ma siete un po’diversi?
«La moda è fatta di tendenze, che cambiano ogni anno. Io non seguo i trend, faccio evolvere il mio prodotto. Ogni anno presentiamo qualcosa di nuovo, ma sempre fedeli alla nostra storia. Non guardiamo al mercato, ma alle persone, a come si vestono, cosa indossano per le strade: è la forma più autentica di ricerca che si possa fare».
Nel mondo dei piumini che si vedono ovunque ci sono anche Uniqlo, Zara e tanti altri marchi che costano meno. I suoi sono molto diversi?
«Sì, per tecnologia, qualità, materiali. Sono molto diversi e hanno un prezzo diverso, una storia diversa».
Non avete concorrenti?
«Non diretti. Le grandi maison del lusso si dedicano agli accessori, borse e scarpe».
Anche voi fate scarpe?
«Sì, ma non abbiamo una tradizione come gli specialisti del settore. Quasi tutti i marchi del lusso nascono dalla pelletteria: Prada faceva valigie, Ferragamo calzature. Uno dei nostri mantra è l’unicità. Abbiamo clienti che ritornano per comprare altre giacche, dopo 3-4-5 anni. E se Moncler fa un piumino giallo, lo vogliono anche se non è un colore alla moda: è il nostro marchio a renderlo tale».
Da dove nasce la nuova campagna “Warmer Together” con Robert De Niro and Al Pacino?
«Moncler viene spesso associata all’inverno e ai piumini, ma per me ha sempre rappresentato qualcosa di più profondo. Penso alle emozioni, e al calore umano che nasce dallo stare insieme, che come un filo hanno saputo unire simbolicamente ogni prodotto e ogni messaggio del nostro marchio. Il legame di amicizia tra Robert De Niro e Al Pacino rappresenta questo spirito senza tempo». —