Specchio, 26 ottobre 2025
Una campagna per attirare dall’estero i "rifugiati ideologici" stanchi dei propri governi. Un visto omaggio per gli immigrati anti-woke "Dal Texas a Pietroburgo un buon posto per famiglie"
Nel pieno di una nuova guerra fredda con l’Occidente, la Russia di Vladimir Putin si propone come “paradiso conservatore”, pronta ad accogliere gli stranieri disillusi dalle democrazie liberali. Tra questi c’è Costantino (nome di fantasia), un quarantunenne italiano di recente trasferitosi da Roma alla Russia con il visto per le persone che condividono i “valori tradizionali”, conosciuto anche come visto “anti-woke”. «Ovviamente mi identifico con i valori tradizionali della Russia, come la famiglia, ma più che altro non mi identifico con i valori dell’Occidente», dichiara Costantino. «In Europa le minoranze decidono al posto della maggioranza su molte questioni, e poi non mi piacciono i doppi standard su Palestina e Ucraina: c’è un genocidio a Gaza e non fanno nulla», spiega l’uomo, che ha di recente ottenuto il permesso di soggiorno. Oggi vive stabilmente a San Pietroburgo, dove ha comprato casa e lavora online.
Il visto “dei valori condivisi”, introdotto nell’agosto 2024 tramite decreto presidenziale, è destinato ai cittadini stranieri che «condividono i valori spirituali e morali tradizionali della Russia». Possono fare domanda i cittadini di 47 paesi, principalmente europei e nordamericani, che Mosca considera “ostili” per aver imposto sanzioni dopo l’invasione dell’Ucraina. Chi ottiene il visto può richiedere un permesso di soggiorno temporaneo di tre anni con una procedura semplificata: non sono richiesti esami di lingua, storia o legislazione russa, obbligatori invece nel percorso ordinario. Oltre alla documentazione di base, la domanda richiede di firmare una dichiarazione in cui si certifica che il trasferimento è motivato dal «rigetto della politica» del Paese d’origine, la quale promuove «la diffusione di idee e valori distruttivi». Una volta ottenuto il permesso di soggiorno, si ha diritto a lavorare, aprire attività imprenditoriali e accedere alla sanità pubblica. Secondo i dati del Ministero degli Interni russo, in meno di un anno sono state presentate oltre 1.500 richieste, mentre il Financial Times stima che fino a 150 persone al mese chiedano questo visto, soprattutto da Germania, Lettonia, Stati Uniti e Francia. I visti “anti-woke” si inseriscono nella narrativa promossa dal Cremlino della Russia come “baluardo dei valori tradizionali” – principalmente famiglia e religione cristiana – contrapposta a un Occidente in decadenza, “corrotto” dall’"agenda LGBT”, dal crimine e dall’immigrazione incontrollata.
Al di là dei motivi ideologici, molti occidentali si trasferiscono in Russia per curiosità o per il costo della vita più accessibile rispetto ai Paesi dell’UE e del Nordamerica. Lo spiega Ivo Van Rhijn di Van Rhijn & Partners, agenzia che assiste gli stranieri interessati a stabilirsi in Russia con questo nuovo tipo di visto. «I richiedenti sono per lo più uomini tra i venti e i cinquant’anni, piccoli imprenditori o persone che lavorano online», spiega Van Rhijn. Altri, come l’italiano Costantino, apprezzano l’ordine pubblico e la sicurezza che, a suo dire, lasciano a desiderare in molte città europee. «Con tutti quegli immigrati, a Roma non si può più uscire tranquillamente di notte», si lamenta.
La svolta conservatrice della Russia di Putin è andata di pari passo con il deterioramento delle relazioni con l’Occidente: è cominciata più di dieci anni fa con la legge che nel 2013 ha vietato la “propaganda LGBT” tra i minori, si è intensificata con l’annessione della Crimea e ha raggiunto l’apice con la guerra in Ucraina; nel 2022 il divieto di “propaganda LGBT” è stato esteso a tutte le età; l’anno dopo è stata proibita la transizione di genere e la Corte Suprema ha dichiarato il cosiddetto “movimento LGBT internazionale” un’organizzazione estremista, di fatto criminalizzando l’attivismo LGBT. Ma nonostante le politiche repressive “anti-woke” e gli incentivi a favore della famiglia tradizionale (sussidi una tantum, detrazioni fiscali e mutui agevolati per famiglie con figli) la Russia resta uno dei Paesi con i tassi di divorzio più alti al mondo e una popolazione in costante declino. Il flusso di “rifugiati ideologici” difficilmente potrà compensare la carenza di manodopera provocata dall’esodo di centinaia di migliaia di specialisti dopo l’invasione dell’Ucraina, né tantomeno invertire la crisi demografica che affligge il paese. I visti “anti-woke” restano soprattutto uno strumento di soft power: un modo per presentare la Russia come paese accogliente nonostante l’isolamento internazionale, e per amplificare il malcontento di cittadini occidentali verso i propri governi. L’agenzia statale Rossotrudnichestvo sta spendendo cifre record in programmi destinati a giovani stranieri, soprattutto blogger, attivisti e giornalisti, per promuovere l’immagine della Russia.
Le storie dei “rifugiati ideologici”, per quanto ben lontane da essere un fenomeno di massa, vengono rilanciate regolarmente dalla propaganda di Stato. Un esempio emblematico è quello di Leo Hare, 61 anni, texano, che nel 2024 si è trasferito in Russia con la sua famiglia per fuggire dall’"agenda LGBT” degli Stati Uniti. In un video diffuso dal Ministero degli Interni su Telegram, Hare riceve il suo certificato di “rifugiato ideologico” mentre in sottofondo risuona l’inno russo. «Mi sento come se fossi salito su un’arca di salvezza», afferma Hare, ringraziando Putin per aver fatto della Russia «un buon posto per famiglie». I media di Stato hanno però ignorato le disavventure vissute successivamente dalla famiglia Hare in Russia: prima gli ostacoli burocratici per trovare una sistemazione, poi la perdita dei risparmi in una presunta truffa. Maria Butina, deputata di Russia Unita e principale promotrice dei visti “anti-woke”, definisce l’iniziativa “diplomazia dal basso”, che continua a funzionare nonostante il deterioramento dei rapporti ufficiali tra Paesi. Nota per la condanna a diversi mesi di carcere negli Stati Uniti nel 2018 per aver agito come agente non registrato di un governo straniero, Butina oggi conduce sul network statale RT il programma “Rossiya–Semya” ("Russia–Famiglia"), dedicato alle storie degli stranieri che si trasferiscono in Russia. Come ha rivelato il portale iStories, proprio RT finanzia una rete di influencer e blogger occidentali che promuovono la vita in Russia e criticano l’Occidente sui social: apparentemente una strategia per aggirare le sanzioni che impediscono al canale di operare nell’Ue e negli Usa dall’inizio della guerra in Ucraina. Un esempio è l’account Sasha Meets Russia, gestito dall’influencer russo-americana Aleksandra Jost, che nei suoi video promuove un’immagine fiabesca della Russia e critica l’Occidente. Un altro esempio è il canale Russian Road, anch’esso secondo iStories legato a RT e precedentemente bloccato da YouTube, dedicato alle storie di stranieri che si sono stabiliti in Russia. Come quella dello chef francese Eric Le Provos, trasferitosi anni fa a Mosca da Parigi, che in un video dichiara di non avere alcuna intenzione di tornare in Francia: «Parigi non è più pulita e bella come prima, la gente non è felice lí».