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 2025  ottobre 26 Domenica calendario

Breve storia degli stati uniti compilata col sistema delle coppie

Breve storia politica degli Stati Uniti d’America nel Novecento
 
(particolare in quanto realizzata usando le risposte, debitamente esaminate e corrette,  fornite da ChatGTP a quesiti mirati a rappresentare il trascorso secolo americano attraverso ‘accoppiate giudiziose’).
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1
 
Teddy Roosevelt in veste di terzo candidato e Ross Perot


Theodore Roosevelt e Ross Perot furono, in epoche diverse, i due terzi candidati più significativi della storia americana, capaci di sfidare il sistema bipartitico e di dare voce a un diffuso senso di frustrazione popolare.

Roosevelt, già ex Presidente, incarnava un progressismo morale e civico: voleva uno Stato moderno, giusto e forte, capace di difendere il cittadino comune contro gli abusi del potere economico.
La sua campagna del 1912 segnò una svolta, introducendo nel dibattito temi come la giustizia sociale, i diritti delle donne e la responsabilità pubblica delle imprese.
Anche se non vinse, influenzò profondamente la politica americana per decenni.

Perot, ottant’anni dopo, rappresentò invece il populismo economico dell’America contemporanea.
In un’epoca di globalizzazione e crisi industriale, diede voce ai ceti medi spaventati dal cambiamento.
Con uno stile diretto, tecnocratico e anti-establishment, denunciò l’inefficienza di Washington e i rischi dell’indebitamento pubblico.

In sintesi, Roosevelt fu il riformatore idealista del popolo progressista, Perot il portavoce pragmatico del popolo arrabbiato.
Entrambi mostrarono che, nei momenti di crisi morale o economica, gli americani sono pronti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
2
 
Woodrow Wilson e Bill Clinton



Woodrow Wilson e Bill Clinton rappresentano due generazioni di democratici che hanno cercato di rinnovare l’America e il suo ruolo nel mondo attraverso l’intelligenza, la parola e la fiducia nel progresso.

Wilson, l’intellettuale idealista, credeva che la politica dovesse essere guidata da principi morali universali.
La sua azione unì riforme interne e visione internazionale: voleva un’America giusta al suo interno e pacificatrice nel mondo.
Tuttavia, la sua rigidità e la distanza dalla realtà politica gli impedirono di realizzare pienamente i suoi sogni, come dimostrò il fallimento della Società delle Nazioni

Clinton, il politico pragmatico, visse in un’epoca completamente diversa: la fine della Guerra Fredda e l’inizio della globalizzazione.
Cercò di coniugare economia di mercato e giustizia sociale, promuovendo un modello di liberalismo moderno e realistico.
Pur ottenendo grandi risultati economici, la sua immagine fu offuscata dagli scandali personali.

In sintesi, Wilson fu il Presidente delle idee, Clinton quello delle relazioni umane.
Il primo cercò di moralizzare la politica, il secondo di renderla più vicina e concreta.
Entrambi, ciascuno a modo suo, incarnano la tensione tipica della democrazia americana tra ideale e pragmatismo, tra morale e compromesso – e mostrano come il potere, anche nelle mani più intelligenti, resti sempre una sfida tra principi e realtà.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
3
 
Hiram Johnson ed Earl Warren



Hiram Johnson e Earl Warren rappresentano due epoche diverse della politica americana, ma sono uniti da una stessa ispirazione: l’idea che il potere pubblico debba servire il bene comune e difendere la giustizia contro gli abusi dei privilegi.

Johnson fu uno dei grandi protagonisti del movimento progressista di inizio Novecento.
Da Governatore della California introdusse strumenti innovativi di partecipazione popolare, rafforzando la democrazia e combattendo la corruzione dei grandi interessi economici.
Il suo messaggio – un governo onesto e vicino ai cittadini – rimase un modello per decenni.

Earl Warren, seguendo la stessa tradizione riformista, trasferì quell’etica civile dal campo politico a quello giuridico.
Come Presidente della Corte Suprema, trasformò i principi della Costituzione in realtà viva, promuovendo l’uguaglianza razziale, la libertà individuale e la tutela dei diritti civili.
La sua Corte rese gli Stati Uniti più coerenti con i loro ideali fondatori.

In sintesi, Hiram Johnson costruì le basi della democrazia partecipativa, mentre Earl Warren ne difese lo spirito attraverso la giustizia e il diritto. Entrambi incarnano una stessa tradizione americana: quella del riformismo etico e del servizio al popolo, capace di unire morale, pragmatismo e progresso.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
4
 
 
Theodore e Franklin Delano Roosevelt


Teddy e Franklin Delano Roosevelt furono due protagonisti decisivi della storia americana, uniti dal nome e dalla visione morale del potere come strumento di progresso e giustizia.
Entrambi videro nello Stato non un nemico della libertà, ma un mezzo per renderla reale e accessibile a tutti.

Theodore, all’inizio del Novecento, incarnò l’energia dell’America industriale: combatteva gli abusi dei grandi monopoli, difendeva i lavoratori e l’ambiente, e proiettava la nazione sullo scenario mondiale come potenza responsabile. Credeva nel dovere civico” e nel coraggio come virtù pubbliche.

Franklin, un trentennio dopo, affrontò la crisi più grave della storia americana.
Con il New Deal, trasformò la relazione tra cittadini e governo, creando un nuovo modello di democrazia economica fondata sulla solidarietà, sul lavoro e sulla sicurezza sociale.
In guerra, divenne la guida morale del mondo libero.

In sintesi, Theodore costruì l’America moderna, Franklin la salvò dalla crisi e la proiettò nel futuro.
Il primo rappresenta il coraggio dell’azione e la forza morale; il secondo, la compassione e la fiducia nella democrazia.
Insieme, i Roosevelt incarnano il cuore dell’American Dream, l’idea che il potere, usato con giustizia, possa rendere la società più libera, più equa e più forte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5
 
William Howard Taft e Gerald Ford


William Taft e Gerald Ford incarnano un tipo particolare di leadership americana: quella dell’uomo di Stato sobrio, giusto e pragmatico, più interessato al dovere che alla gloria.

Taft, giurista rigoroso, concepiva la politica come un’estensione della legge. Da Presidente, preferì il rispetto delle procedure e della Costituzione all’azione spettacolare.
La sua freddezza politica gli costò l’appoggio dei progressisti, ma l’integrità lo rese uno dei Presidenti più corretti della sua epoca.
Come Giudice Capo della Corte Suprema realizzò la sua vera vocazione: garantire l’equilibrio istituzionale.

Ford, oltre sessant’anni dopo, si trovò in un momento di crisi morale e politica ancora più grave. Succedendo a Nixon, dovette restituire agli americani fiducia e stabilità.
Con calma, onestà e spirito di servizio, riuscì a ristabilire la normalità del governo e a sanare le ferite del Watergate, anche se a costo di impopolarità.

In sintesi, Taft rappresenta la legge come fondamento della democrazia, Ford la moralità come sua salvezza.
Entrambi furono Presidenti di transizione, ma essenziali: quando la politica era ferita dall’ambizione o dallo scandalo, loro scelsero la via della sobrietà e dell’integrità – virtù rare, ma decisive per la continuità della Repubblica americana.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
6
 
Herbert Hoover e Jimmy Carter



Herbert Hoover e Jimmy Carter rappresentano due volti simili della presidenza americana: entrambi uomini di profonda moralità, onesti e animati dal senso del dovere, ma travolti da crisi che misero alla prova la fiducia del popolo americano nel governo.

Hoover, ingegnere e umanitario, incarnava la fede nell’individuo e nel mercato libero.
Ma quando la Grande Depressione esplose, la sua visione economica si rivelò inadeguata.
Nonostante la buona volontà, non comprese che la crisi richiedeva un intervento statale massiccio e innovativo.
Il suo nome divenne simbolo di immobilismo, anche se, col tempo, fu rivalutato per la sua integrità e il suo servizio pubblico reso.

Carter, mezzo secolo dopo, si trovò in una situazione simile: un Presidente moralmente integro, ma percepito come debole di fronte alle difficoltà.
In un’America segnata dalla sfiducia post-Watergate e dalla crisi energetica, Carter puntò sull’etica, sui diritti umani e sulla diplomazia. Tuttavia, la stagnazione economica e la crisi iraniana offuscarono i suoi risultati.

Entrambi, in modi diversi, insegnano una lezione simile: l’onestà e la competenza non bastano, se non sono accompagnate da decisione politica e capacità di leadership in tempi di crisi.
Eppure, nella memoria storica, sia Hoover che Carter sono oggi ricordati con rispetto come uomini retti, patrioti e servitori del bene pubblico – più grandi forse come persone che come Presidenti.
 
 
 
 
 
 
 
 
7
 
Alfred Smith e John Kennedy, i primi due cattolici in lizza


Alfred E. Smith (candidato democratico nel 1928) subì una forte discriminazione anticattolica.
Molti protestanti del Sud e del Midwest lo accusarono di voler portare il Papa a Washington.
La sua sconfitta mostrò che l’America non era ancora pronta ad accettare un Presidente non protestante.

John F. Kennedy, trentadue anni dopo, affrontò la questione religiosa con coraggio e chiarezza.
Nel celebre discorso di Houston dichiarò:
“Non sono il candidato cattolico alla presidenza; sono il candidato del Partito Democratico che è anche cattolico.”
Dimostrò che la fede e la politica potevano coesistere senza conflitto.
La sua elezione segnò la fine dell’anticattolicesimo politico aperto negli Stati Uniti.

In sintesi, Alfred E. Smith fu il pioniere: aprì la strada ai cattolici, ai lavoratori urbani e agli immigrati nella politica americana, ma trovò un Paese ancora chiuso e conservatore.
John F. Kennedy fu il compimento: incarnò la piena integrazione dei cattolici e delle nuove classi urbane, guidando l’America verso il progresso scientifico, i diritti civili e il pluralismo moderno.

Insieme rappresentano due tappe della stessa trasformazione:
Da un’America chiusa e diffidente a un’America aperta, moderna e inclusiva.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
8
 
Harry Truman e Lyndon Johnson



Harry Truman e Lyndon Johnson rappresentano due momenti fondamentali della storia americana del dopoguerra, entrambi caratterizzati da una forte leadership e da una visione attiva del ruolo del governo.
Truman, “l’uomo comune alla Casa Bianca”, guidò gli Stati Uniti nella difficile transizione dalla guerra alla pace e nella costruzione del nuovo ordine mondiale.
Le sue scelte, a volte dure, furono ispirate dal realismo e dal senso del dovere.
Incarnava un patriottismo pragmatico, convinto che la forza morale e militare dell’America dovesse garantire la libertà nel mondo.

Johnson, vent’anni dopo, portò avanti un progetto diverso ma altrettanto ambizioso: trasformare la potenza economica americana in uno strumento di giustizia sociale e uguaglianza.
La Great Society fu il suo tentativo di completare la promessa del New Deal, estendendo i diritti civili e sociali a tutti i cittadini. Tuttavia, la guerra in Vietnam offuscò i suoi successi, mostrando i limiti di una politica che voleva fare il bene sia in patria che all’estero, ma finì per dividere la nazione.

In sintesi, Truman e Johnson furono due Presidenti riformatori e decisivi, animati da un senso profondo di responsabilità e fiducia nell’azione dello Stato.
Truman costruì l’America del potere globale; Johnson cercò di costruire l’America della giustizia sociale.
Entrambi, nel bene e nel male, incarnarono la convinzione che la democrazia dovesse essere guidata da uomini capaci di decidere – anche quando decidere significava rischiare tutto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
9
 
John Foster Dulles e Henry Kissinger, l’evoluzione della politica estera americana



John Foster Dulles (anni Cinquanta) rappresenta la fase crociata della Guerra Fredda.
La convinzione che l’America debba guidare il mondo contro il comunismo.
La diplomazia è vista come missione morale.

Henry Kissinger (anni Settanta) incarna la fase matura della Guerra Fredda: si accetta che l’URSS e la Cina esistano come potenze con cui negoziare.
La diplomazia diventa arte di equilibrio e contenimento realistico.

In sintesi: Dulles moralizza il potere,
Kissinger lo gestisce.

Insomma, John Foster Dulles è il crociato ideologico della Guerra Fredda: fede nella missione morale americana, nessun compromesso con il comunismo.
Henry Kissinger rappresenta il diplomatico realista: fede nell’equilibrio e nel calcolo razionale delle forze globali.

Insieme incarnano la transizione dell’America:
da potenza missionaria (anni Cinquanta) a potenza manageriale (anni Settanta) da fede all’equilibrio, dalla ideologia alla geopolitica.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
10
 
J. Strom Thurmond e George Wallace: il volto del Sud conservatore nella lotta per i diritti civili



Nel panorama politico degli Stati Uniti del Novecento, poche figure incarnano meglio di J. Strom Thurmond e George Wallace le tensioni, le paure e le resistenze del Sud
conservatore di fronte ai profondi cambiamenti sociali del dopoguerra. Entrambi furono protagonisti di una lunga e aspra battaglia contro l’integrazione razziale e le politiche federali per i diritti civili, ma rappresentarono due volti diversi dello stesso fenomeno: quello del segregazionismo meridionale.

Strom Thurmond, nato nel 1902 in South Carolina, proveniva dall’élite bianca tradizionale del Sud.
La sua carriera politica fu segnata da un rigido senso dell’ordine e da una fede incrollabile nel principio dei diritti degli Stati che egli invocò per giustificare la segregazione razziale.
Da Governatore e poi Senatore, Thurmond si fece portavoce di una visione conservatrice e legalista, fondata sull’idea che il governo federale non dovesse interferire nelle leggi locali in materia di razza.
Nel 1948, alla guida dei “Dixiecrats”, si candidò alla Presidenza per difendere apertamente la segregazione, diventando simbolo della reazione del Sud bianco alle prime riforme progressiste.
Nel corso dei decenni successivi passò al Partito Repubblicano, contribuendo al grande realineamento politico che trasformò il Sud da roccaforte democratica a bastione conservatore.

George Wallace, nato nel 1919 in Alabama, rappresentò invece una versione più populista e demagogica di quello stesso conservatorismo. Proveniente da un ambiente modesto, costruì la propria popolarità attraverso un linguaggio diretto e fortemente emotivo, capace di mobilitare il malcontento dei bianchi poveri del Sud. Come Governatore dell’Alabama, divenne celebre per la sua opposizione spettacolare alle politiche di integrazione, culminata nel 1963 con il tentativo di impedire l’ingresso di studenti afroamericani all’Università dello Stato.
Candidato indipendente alla presidenza nel 1968, ottenne un successo significativo, intercettando un vasto elettorato anti–establishment e anticipando toni e temi del populismo moderno: l’ostilità verso Washington, il nazionalismo, la difesa dei valori tradizionali e l’appello diretto alle masse.

Nonostante le somiglianze ideologiche, Thurmond e Wallace ebbero percorsi diversi nella maturità politica.
Il primo, appartenente all’élite, si adattò gradualmente ai mutamenti sociali, accettando la fine della segregazione e sostenendo figure afroamericane nella vita pubblica.
Il secondo, colpito da un attentato nel 1972 che lo rese paraplegico, visse un’evoluzione più personale e drammatica: negli anni Ottanta riconobbe i propri errori e chiese scusa alle comunità nere dell’Alabama. Entrambi, pur da prospettive differenti, finirono per testimoniare la lenta ma irreversibile trasformazione del Sud e dell’intera società americana.

In definitiva, Thurmond e Wallace incarnano il passaggio da un’America segregazionista a un’America in cammino verso l’uguaglianza.
Le loro vicende politiche, segnate da contraddizioni e ripensamenti, mostrano come la storia statunitense non sia fatta solo di conquiste e ideali, ma anche di resistenze e paure.
La loro eredità rimane complessa: rappresentano al tempo stesso il volto oscuro del razzismo istituzionale e il simbolo di una nazione capace, col tempo, di confrontarsi con i propri errori e di cambiare.



 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
11
 
Henry Agard Wallace e John Bayard Anderson



Henry Wallace e John Anderson rappresentano due momenti diversi ma complementari della politica indipendente americana: entrambi cercarono di rompere la rigida struttura bipartitica proponendo un’idea etica, civile e non ideologica della politica.

Wallace, figlio del New Deal, portava avanti una visione utopica e profondamente morale della società: credeva nella cooperazione tra i popoli, nella giustizia economica e nei diritti civili, anticipando molti temi che sarebbero divenuti centrali nei movimenti progressisti degli anni Sessanta.
La sua candidatura del 1948, pur marginale sul piano elettorale, diede voce a una corrente di umanesimo politico e pacifismo democratico in piena Guerra Fredda.

Anderson, invece, si mosse in un’America diversa – quella della crisi energetica e della polarizzazione ideologica tra liberal e conservatori.
La sua corsa indipendente del 1980 non era guidata da un’utopia sociale, ma da un profondo desiderio di moderazione, competenza e onestà pubblica.
In un momento in cui la politica americana tendeva a radicalizzarsi, Anderson rappresentò il tentativo di restituire spazio al dialogo e al pensiero critico.

In sintesi, Henry Wallace incarnò l’ala idealista e progressista dell’indipendenza politica americana; John Anderson quella razionale e centrista.
Entrambi, pur sconfitti nelle urne, lasciarono un’eredità morale duratura: la convinzione che la politica non debba essere solo competizione per il potere, ma anche strumento di integrità, pensiero libero e responsabilità verso il bene comune.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
12
 
Robert Kennedy e Martin Luther King Jr


Robert Kennedy e Martin Luther King furono, negli anni Sessanta, due voci diverse ma complementari di un’unica aspirazione: rendere l’America più giusta, più umana e più unita.
In un periodo segnato da tensioni razziali, guerre e divisioni sociali, entrambi cercarono di restituire alla politica e alla società un fondamento morale.

King, pastore battista e guida del movimento per i diritti civili, incarnava l’ideale etico della nonviolenza come forza rivoluzionaria. Credeva che l’amore, la dignità e la fede potessero vincere l’odio e l’ingiustizia. Le sue marce pacifiche, i suoi discorsi e la sua coerenza morale cambiarono la coscienza degli Stati Uniti, portando a riforme decisive e ispirando movimenti di liberazione in tutto il mondo.

Robert Kennedy, proveniente da una realtà molto diversa – quella del potere politico e dell’élite bianca – seppe ascoltare la sofferenza degli ultimi e tradurla in un linguaggio concreto.
Negli ultimi anni della sua vita, divenne un simbolo di empatia, coraggio e rinnovamento, capace di parlare tanto ai poveri quanto ai privilegiati, ai bianchi come ai neri.

L’assassinio di entrambi, nel 1968, rappresentò non solo una tragedia personale, ma anche la fine di un sogno collettivo: quello di un’America riconciliata con se stessa.
Tuttavia, il loro messaggio sopravvisse alla morte.
Kennedy e King ci ricordano che la politica e la società hanno bisogno non solo di potere, ma di compassione, giustizia e speranza.
In un’epoca di conflitti e divisioni, le loro vite restano un invito alla responsabilità morale e al dialogo come strumenti per cambiare il mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
13
 
Richard Nixon e Ronald Reagan


Richard Nixon e Ronald Reagan rappresentano due volti opposti ma complementari del Partito Repubblicano e della leadership americana nel secondo dopoguerra.
Nixon fu il politico del realismo e della strategia, Reagan quello dell’ideale e della comunicazione.

Nixon, freddo e calcolatore, cercò di governare un’America lacerata dai conflitti sociali e dal Vietnam con una politica di equilibrio e di pragmatismo.
Aprì nuovi orizzonti diplomatici – soprattutto con la Cina e l’URSS – e riformò la struttura amministrativa federale. Tuttavia, il suo carattere sospettoso e il bisogno di controllo lo portarono al disastro politico del Watergate, che minò la fiducia del popolo americano nelle istituzioni.

Reagan, invece, ricostruì quella fiducia grazie a un linguaggio semplice e positivo.
Il suo messaggio – l’America è ancora grande – ridiede speranza a una nazione disillusa.
Attraverso la sua politica economica liberista e la sua fermezza anticomunista, promosse una rinascita del conservatorismo e contribuì alla fine della Guerra Fredda.
Tuttavia, la sua visione ottimistica lasciò anche in eredità nuove disuguaglianze e un debito pubblico crescente.

In sintesi, Nixon rappresenta la mente strategica del potere, capace ma tormentata; Reagan il cuore comunicativo, idealista e popolare.
Entrambi, a modo loro, trasformarono la Presidenza americana.
Nixon con la sua intelligenza politica e le sue ombre. Reagan con la sua fede incrollabile nel destino dell’America come guida morale del mondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
14
 
George H. W. Bush e Mitt Romney: due volti del repubblicanesimo moderato



George H. W. Bush e Mitt Romney rappresentano due generazioni diverse del Partito Repubblicano, ma condividono una visione comune della politica come servizio, responsabilità e ricerca dell’equilibrio. Entrambi incarnano l’idea di un conservatorismo sobrio, pragmatico e profondamente radicato nei valori etici e istituzionali che hanno storicamente contraddistinto il repubblicanesimo americano.

Bush, Presidente dal 1989 al 1993, proveniva dalla tradizione della Greatest Generation, quella dei veterani della Seconda Guerra Mondiale per i quali il servizio alla nazione era un dovere morale.
La sua carriera, lunga e variegata – da diplomatico, direttore della CIA e VicePresidente fino alla Casa Bianca – riflette una concezione della politica come vocazione civica.
La sua azione di governo fu guidata da prudenza e senso della misura.
Seppe gestire con equilibrio la fine della Guerra Fredda e la crisi del Golfo Persico mantenendo al centro la stabilità internazionale e la cooperazione multilaterale.
Il suo stile, rispettoso delle istituzioni e alieno dal populismo, ne fece uno degli ultimi grandi uomini di Stato del Novecento americano.

Mitt Romney, pur appartenendo a un’altra epoca e a un diverso contesto storico, rappresenta un’eredità ideale simile.
Uomo d’affari e manager di successo, ha portato nella politica un approccio pragmatico, basato sull’efficienza e sulla competenza.
Come Governatore del Massachusetts e poi Senatore dello Utah, ha mostrato indipendenza di giudizio, anche a costo di isolarsi all’interno del partito.
La sua opposizione aperta al populismo di Donald Trump e la sua difesa delle regole democratiche testimoniano la fedeltà ai principi morali e istituzionali su cui si fonda la democrazia americana.

Sia Bush sia Romney incarnano dunque un repubblicanesimo moderato e istituzionale, oggi in gran parte oscurato dalle correnti più radicali nel partito.
In un’epoca di crescente polarizzazione, la loro figura ricorda che la politica può essere esercitata con sobrietà, competenza e senso del dovere.
George H. W. Bush rappresenta il passato glorioso di questo ideale, mentre Mitt Romney ne è uno degli ultimi e più coerenti continuatori.
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