la Repubblica, 24 ottobre 2025
Georgina Adam: “Addio capolavori i nuovi collezionisti d’arte preferiscono i giocattoli”
Ci risponde da Parigi, Georgina Adam. Mentre la grande fiera Art Basel Paris entra nel vivo al Grand Palais, in una capitale ancora «sotto shock» per il furto dei gioelli di Napoleone al Louvre, la giornalista britannica, grande esperta del mercato dell’arte che da lungo tempo analizza sul Financial Times, su The Art Newspaper e nei suoi saggi. Qui ci spiega come le difficoltà dei grandi musei, le oscillazioni dei prezzi delle opere degli artisti del passato e di quelli di oggi e i cambiamenti del gusto siano fenomeni collegati. Il mondo vedrà ancora grandissimi capolavori raggiungere quotazioni stellari. Ieri da Christie’s una delle celebri opere monocrome blu di Yves Klein, California (IKB71), è stata venduta per 18, 4 milioni di euro; oggi, sempre a Parigi, Sotheby’s mette all’asta La magie noire di Magritte, mentre la stessa casa d’aste proporrà il 18 novembre a New York la collezione di Leonard Lauder, che include tre tele di Klimt e una di Munch – ma altre tendenze saranno più difficili da intercettare. Perché la generazione nata prima o durante il secondo conflitto mondiale e quella del babyboom stanno scomparendo, e i giovani collezionisti non per forza vogliono seguire le orme dei predecessori.
Cosa ci racconta il furto del Louvre? Lei ha scritto spesso delle difficoltà dei musei pubblici e dell’affermarsi dei musei privati…
«Si è trattato di un gesto scioccante e anche sfacciato. Il problema è la dimensione stessa di questi musei nazionali e le ricchezze che conservano. Proteggerli è un problema crescente, e con il calo del sostegno governativo lo è ancora di più. Non hanno i mezzi, semplicemente. Facciamo il caso del Louvre: il governo francese è attualmente sottoposto a una forte pressione di bilancio. La sicurezza dovrà essere rafforzata, ma con quali costo per altri settori? I direttori dei musei hanno un grosso problema».
I direttori dei musei non sono gli unici ad avere un problema. Si è parlato negli ultimi due anni di una crisi generale del mercato dell’arte. C’è davvero una crisi, al di là delle oscillazioni dei numeri?
«A mio parere, il fattore più importante è generazionale. La collezione Lauder messa all’asta è l’evento emblematico dell’autunno proprio per questo motivo. Fino a qualche anno fa, Lauder, e tutta una generazione insieme a lui, collezionava e pagava prezzi molto alti per ciò che desiderava. Ora questa vecchia guardia sta scomparendo e ciò che ha collezionato progressivamente entrerà sul mercato. Ma non è detto che i collezionisti più giovani abbiano gli stessi gusti o le stesse motivazioni».
I giovani non vogliono collezionare sulla scia dei padri?
«Come sappiamo il gusto cambia: chi entra oggi sulla scena ha una sua idea di ciò che è interessante. Faccio un esempio: Mark Rothko, lo sappiamo, è quotatissimo. Ma se un giovane può scegliere, vorrà un Rothko o un Banksy? I collezionisti delle nuove generazioni si pongono domande su che cosa collezionare. E certamente al momento c’è una forte spinta verso le artiste donne e gli artisti di colore, due tipologie che in passato sono state trascurate».
Questo che conseguenze ha?
«La situazione va analizzata nei suoi vari aspetti. Sotheby’s e Christie’s hanno registrato un calo superiore al 30% nelle vendite. Probabilmente non hanno ricevuto pezzi importanti dai loro clienti: se le persone vedono che i prezzi calano, semplicemente non vendono e si innesta un circolo vizioso. Ma in questo momento abbiamo alcune grandi collezioni in vendita e penso che potrebbero spingere di nuovo il mercato al rialzo: se le opere raggiungeranno buoni prezzi, spingeranno altri a mettere in vendita ciò che hanno. L’autunno ci dirà che tipo di conclusioni trarre».
Secondo i rapporti di settore, crescono gli acquisti di fascia bassa. Arriva un’epoca di disintermediazione anche nell’arte?
«È l’unico segmento in crescita. Ma anche questo, credo, ha a che fare con un avvicendarsi dei compratori. I giovani non vogliono l’arte dei loro genitori e non vogliono spendere gli stessi prezzi. Ovviamente sono molto influenzati dai social media, e sicuramente c’è chi acquista direttamente da Instagram. Ma ciò non significa che tutti vogliano fare da soli. Anzi, vediamo affermarsi una figura nuova, quella del consulente indipendente. Il mondo dell’arte è sempre più vasto: nessuno può seguire tutto, da Art Basel a Frieze alla Biennale di Venezia. Questi consulenti, spesso provenienti dalle grandi case d’asta, lo fanno al posto dei compratori».
Una situazione internazionale instabile, con due grandi focolai di conflitto in corso, ha un impatto anche su questo mercato?
«Abbiamo la guerra in Ucraina, abbiamo la situazione di Gaza non ancora chiara né risolta. Ovvio che ci sia un calo di fiducia. Mettiamoci nei panni di qualcuno che può spendere. Se deve investire, lo farà nel mercato azionario o obbligazionario, non nell’arte. Perché dovrebbe investire nell’arte, che è più che altro un piacere?».
Quindi non è vero che l’arte è un bene rifugio?
«In molti casi abbiamo visto che dopotutto non è un investimento così vantaggioso. Certo, nel caso di un meraviglioso Bacon… ma, diciamocelo, il prezzo è stellare e in pochissimi possono permetterselo».
Cosa cercano i grandi compratori?
«In Asia ci sono alcuni nomi che vanno per la maggiore. Penso a un artista come Yoshitomo Nara, protagonista di una crescita stellare negli ultimi anni, a Takashi Murakami, o a nomi considerati classici contemporanei come Zao Wou-Ki. Tra i più giovani c’è tantissimo collezionismo di giocattoli; si vendono benissimo anche le statuine, penso per esempio a quelle di Nara, che sono “giocattoli d’artista”. Guardando anche all’America e all’Europa, e tornando al passato, si cercano moltissimo i surrealisti e le surrealiste, come Leonora Carrington, che nel passato erano in ombra. Mentre artisti come Warhol o Picasso penso che nel prossimo futuro interesseranno meno i compratori più giovani».
Assistiamo a un’ondata anti-woke. Negli Stati Uniti questa tendenza sta colpendo i musei, presi di mira da Trump. Anche chi compra arte ne è influenzato?
«Per quello che vedo, no. Il mondo dell’arte resta molto liberale e alcune tendenze, come per l’appunto la propensione a cercare artiste donne da inserire nelle collezioni, mi paiono ancora robuste. Certo, pare che il padiglione degli Stati Uniti alla prossima Biennale del 2026 sarà in chiave Maga, e questo è un segnale in senso contrario. Vedremo».
E per quel che riguarda il digitale? Ha fatto scalpore la chiusura da parte di Christie’s del dipartimento dedicato alla Digital Art.
«Non posso provarlo, ma penso che molte operazioni intorno agli Nft siano state manipolate. Insomma, erano tutte operazioni in criptovalute. Il fascino degli Nft è già svanito, e non mi sorprende, è stata una bolla, quel mercato vale un decimo di quello che era. È crollato».
Succederà lo stesso per l’arte creata con l’Intelligenza artificiale?
«L’argomento è molto vasto. Chiaramente, l’Ia ruba agli artisti le loro idee. Ma l’arte ha già affrontato sfide che sembravano condannarla: l’arrivo della fotografia; la sfida del ready made. Quindi penso che gli artisti intelligenti la useranno per fare ricerca. Penso al lavoro, per esempio, di Rafik Anadol, a come la utilizza nelle sue opere, o a quello di Holly Herndon & Mat Dryhurst per The Call alla Serpentine di Londra».