la Repubblica, 24 ottobre 2025
Allegra Gucci: “I miei genitori e quel legame diventato inferno”
«Io non sono un marchio, io sono un essere umano». La voce di Allegra Gucci non sa nascondere gli abissi, il buio, le increspature, le amarezze, i feroci dolori ma anche la forza di decenni trascorsi in silenzio, dopo l’assassinio di suo padre, Maurizio Gucci, avvenuto il 27 marzo 1995, trent’anni fa (lei era una ragazzina di 14 anni), e i quasi vent’anni di prigione di sua madre Patrizia Reggiani, condannata per esserne stata la mandante. Poi, nel 2022 Allegra ha strappato il velo e scritto un libro, Fine dei giochi (Piemme), dal quale Gabriele Muccino sta ricavando una serie tv per Sky e Lucky Red. Una storia, tremenda eppure magnifica, non di un marchio ma di esseri umani. E dell’essere umani.
Signora Gucci, perché questa serie?
«Per cancellare quell’orrido film di Ridley Scott con Lady Gaga (House of Gucci, n.d.r.), pieno di stupidaggini e stereotipi offensivi, davvero un’occasione sprecata, e per ridare dignità a mio padre e mia madre, pur nella loro enorme complessità e infinite contraddizioni. E per consegnare ai miei figli la verità dei fatti».
Ha in mente il volto dell’attrice giusta per interpretare la sua mamma?
«Ci penso spesso e però no, quella figura non mi appare. Dovrà pensarci Gabriele, nel quale ho totale fiducia perché conosco la sua sensibilità. La cosa importante: è una produzione tutta italiana, dalla regia al cast: l’italianità, del resto, è sempre stata il segno più profondo dello stile Gucci. La mia speranza è che questa non sarà soltanto una serie, ma La Serie».
Lei ha scritto un libro pieno d’amore, eppure la sua vita è stata impietosa.
«Non la auguro a nessuno, e credo che nessuno vorrebbe fare cambio nonostante il cognome che porto. Scrivere per odio, rabbia o vendetta sarebbe stato facile ma inutile, quei sentimenti non mi appartengono più e mi avrebbero tenuta prigioniera del mio inferno. Il mio obiettivo è la verità, mostrare che dietro il mio cognome ci sono una famiglia, dei valori e delle persone. Volevo vivere, non sopravvivere, lasciarmi il passato alle spalle e fuggire da lì. Scrivere è stata la mia terapia. Ed è tutto documentato: posso dimostrare che è vero parola per parola».
Chi era Maurizio Gucci?
«Non un uomo perfetto né un padre perfetto, ma chi lo è? Lo hanno sempre descritto malissimo, e lui non si è potuto difendere. Dovevo rendergli giustizia».
E sua madre, chi è?
«Una donna di 77 anni, segnata dalla vita e dall’operazione al cervello, quel tumore grosso come un mandarino che le tolsero molti anni fa. Un male che influì eccome sui suoi comportamenti. Oggi mi prendo cura di lei insieme a mia sorella Alessandra: per tutti eravamo solo le due eredi, invece eravamo due ragazzine nella tempesta, due orfane. Questa cosa ancora mi sconvolge. Mamma è una donna che non sta bene, dalla personalità narcisista, egoista e borderline, ma prima è stata anche una donna orgogliosa e generosissima. Sono certa che con papà si siano amati moltissimo, anche se poi furono capaci di ferirsi in modo altrettanto potente. Può succedere, quando l’amore finisce».
Sua madre, a dispetto delle apparenze, forse è una donna fragile?
«Fragilissima, e per questo è stata vittima di miserabili manipolatori, alcuni di loro condannati per circonvenzione d’incapace. Per decenni sono rimasta convinta della sua innocenza. Poi, l’intervista con quell’ammissione di non essere colpevole ma neppure innocente mi fece precipitare nel buio più profondo. Ho raccolto i pezzi, mi sono ripetuta: “Non può averlo detto, non è lei”. Patrizia Reggiani non realizza quello che è accaduto, non c’è, non ricorda neppure tutto. Però le va dato atto di avere resistito alla prigione con una forza incredibile».
San Vittore, che sua madre chiamava “Victor Residence”.
«Ai colloqui si presentava in tacchi alti, si truccava ogni mattina, era sempre elegante. L’unica volta che la vidi trasandata fu il giorno prima del tentato suicidio al carcere di Opera, dove l’avevano trasferita e dove si mise un cappio al collo».
Il libro è pieno di aneddoti, ad esempio quella storia dell’aperitivo.
«Primo permesso dopo otto anni di prigione. Al bar si fece servire un classico Kir Royal: lo avevano preparato con lo spumante, non con lo champagne, e lei lo rimandò indietro».
Da St.Moritz a San Vittore, che bizzarro percorso.
«Il primo è il nostro santo protettore perché è casa, infanzia e riparo. Ci ha salvato la vita: del resto, porta lo stesso nome di mio padre. Il secondo è il luogo di un incredibile viaggio umano».
Non le chiederemo quello che le chiedono tutti. Immagina cosa, vero?
«Se lei è colpevole? Io sono una figlia che guarda sua madre e pensa a suo padre, ogni altra risposta sarebbe inutile. Posso dire di essere diventata quello che sono nonostante quello che ho passato, e grazie a quello che ho passato».
Quando suo padre venne ucciso, lei era piccola.
«Tutti lo hanno dimenticato. E quasi tutti si sono dati alla macchia, cominciando il giorno del funerale. Alla fine siamo rimaste io, mia sorella e mia madre, più mia nonna Silvana che non era proprio la nonna delle favole. Per fortuna ho trovato Enrico, il mio amore, il padre dei miei figli nonché la dimostrazione che una luce esiste per tutti».
Il marchio Gucci non è più vostro da molto tempo: cosa prova, guardando quel nome in una vetrina?
«Vedo la storia della mia famiglia e un po’ di storia italiana, vedo Aldo e Rodolfo Gucci, vedo mio padre. Vedo l’impegno, la ricerca dello stile e di un’eleganza che ha attraversato il tempo. E anche se quel brand è stato spremuto, penso che un giorno possa recuperare tutto il suo senso».
Finirà mai, il vostro destino?
«Chiuderemo i conti. Fine dei giochi? Non so. Mi basterebbe arrivasse la fine dei giochi sporchi. Ho perso da tanto tempo l’illusione del diritto all’oblio, ma il diritto alla verità dei fatti rimane sacrosanto».
Lei si chiama Allegra Gaia: non le pare una beffa, visto quello che le è successo?
«Non più. Ho sempre rincorso e provato a godere i rari, brevi momenti di serenità. Adesso, è quanto auguro alla mia famiglia. Come dissi a mio marito quando ci conoscemmo: io amo la vita. Lui, un poco si stupì. Ora desidero solo una vita che sia tutto l’opposto della cattiveria che sono stata costretta a soffrire».