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 2025  ottobre 23 Giovedì calendario

Messaggi alla ex per 15 giorni La Cassazione: è reato di molestie

Cercare di riconquistare l’ex partner con messaggi e telefonate pressanti e non graditi, è un reato. L’ha stabilito la Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna per molestia di un uomo che, per circa due settimane, ha tormentato la ex contattandola decine di volte ogni giorno, per convincerla a dargli un’altra possibilità. Poco importa che le comunicazioni in questione fossero prive di contenuti minacciosi, o di insulti: il suo comportamento ha disturbato la vita privata della vittima, è stato insistente e «petulante», con un’«intromissione inopportuna nella altrui sfera di libertà», spiegano i giudici.
Nella sentenza di primo grado il tribunale di Vibo Valentia aveva condannato l’uomo per «avere recato molestia e disturbo» alla ex, «procedendo a contattarla ripetutamente a mezzo del telefono, con chiamate vocali e messaggi di testo». Il tutto in un lasso di tempo relativamente breve: dal 13 al 31 dicembre del 2022. Per documentare quelle che considerava vessazioni, la persona offesa aveva allegato alla querela gli screenshot delle chiamate e degli sms.
LA CONDOTTA
Per la Cassazione, che ha confermato la decisione del tribunale, «la condotta posta in essere dall’imputato, che ha effettuato ripetuti contatti o tentativi di contatto con la parte offesa a mezzo di telefonate e messaggi», è stata «ispirata da biasimevole motivo» ed è stata caratterizzata da «petulanza, avendo egli agito in modo pressante e indiscreto», interferendo «sgradevolmente nell’altrui vita privata».
LA DIFESA
La difesa ha obiettato che mancava la prova che le telefonate e i messaggi avessero davvero «alterato dolosamente, fastidiosamente ed importunamente lo stato psichico della persona offesa» e che non si sarebbe verificata «un’intrusione nell’altrui sfera personale connotata da una significativa estensione temporale», visto che «il tutto si era concretizzato nel tentativo dell’imputato, protrattosi per circa 15 giorni, di riallacciare la relazione sentimentale». E ancora: il legale ha sottolineato che la vittima ha scelto di non bloccare i messaggi provenienti dall’utenza dell’imputato. Nessuna argomentazione ha convinto la Corte. Per quanto riguarda il dato temporale, infatti, la molestia viene definita come «ciò che altera dolosamente, fastidiosamente o inopportunamente la condizione psichica di una persona, essendo irrilevante se si tratti di alterazione durevole o momentanea»: basta anche una sola azione. Il telefono, inoltre, viene considerato un mezzo «invasivo» impiegato per raggiungere il destinatario. Per i giudici l’imputato ha agito con dolo: per ipotizzarlo è sufficiente che ci sia «la coscienza e volontà della condotta, tenuta nella consapevolezza della sua idoneità a molestare o disturbare il soggetto passivo». Per i magistrati, che hanno dichiarato inammissibile il ricorso dell’imputato, è poi «irrilevante» che la persona offesa non abbia attivato sul suo smartphone nessun sistema di blocco dei messaggi provenienti dall’utenza dell’imputato: «La condotta, per essere molesta, deve essere prima avvertita come tale, con la conseguenza che la possibilità di interrompere l’azione perturbatrice non può che sorgere dopo che la molestia si è già realizzata».