il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2025
Intervista a Lino Patruno
“Avevo 15 anni. Dissi a un mio amico che sarei andato in vacanza a Senigallia con la famiglia. Mi disse: mettiti sulla spiaggia con una chitarra in mano, te la presto io, ti insegno gli accordi, subito 20 ragazze ti verranno vicine”.
Come andò, caro Lino Patruno?
Fiasco totale. Il fatto è che odiavo le canzonette all’italiana e amavo il jazz. Ellington, Goodman, Armstrong. Se avessi voluto rimorchiare avrei dovuto imparare bene a suonare.
C’era stato un imprinting, da bambino?
A quattro anni, mamma mi portò al cinema a vedere Il primo bacio. Deanna Durbin vi cantava Amapola. Brano che eseguo in ogni concerto. Gli ho dedicato un album e un libro.
Chissà che serenate.
Ho fatto la corte a un’infinità di donne, spesso con successo. Però ho sposato il jazz. Tra i cantanti italiani mi affidavo al mio amico Alberto Rabagliati o a Ernesto Bonino, roba remotissima.
Rabagliati altro seduttore.
Voce straordinaria. Era andato in America dopo aver vinto un concorso come sosia di Rodolfo Valentino. Non girò alcuna pellicola e dopo un po’ tornò.
Tra lei e l’America, Patruno, è un richiamo continuo.
Ho suonato ovunque, da New Orleans a San Francisco, con tutti i grandi. Da Louis Prima a Bud Freeman. Negli ultimi dieci anni della sua carriera ho condiviso i palchi con Joe Venuti, il più grande violinista jazz. Mi insegnò come si porta avanti un concerto, cosa si racconta, i segreti del musicista. Italoamericano di origini siciliane, come il cornettista Nick La Rocca, che nel 1917 aveva inciso Livery Stable Blues. il primo brano di questo filone, sei anni prima di Armstrong. Ce l’ho a casa.
A New York vi imbatteste in Woody Allen.
Io e Joe andammo al Michael’s Pub a sentire il clarinetto di Allen. Che poi si siede al nostro tavolo. Arriva un signore milanese che avevamo conosciuto in aereo e dà una poderosa pacca sulle spalle al regista. ‘Tel chi el Woody!’. Gli occhiali gli cascano nel piatto, era furibondo. C’era pure Diane Keaton, incantevole e taciturna.
Il 27 ottobre lei festeggia 90 anni.
Il compleanno lo celebreremo il 3 novembre alla Sala Petrassi dell’Auditorium di Roma. Un evento sold out organizzato da Sabina Fattibene e Mario Megaro. A cantare e suonare verranno Renzo Arbore, Maurizio Micheli, Benedicta Boccoli… Ma mi lasci dire che in questo Paese di m… ci fosse stato un dirigente tv a invitarmi a raccontare qualcosa, per l’occasione.
La tv, sua croce e delizia.
Frequentavo casa di Bettino Craxi, che era fan del jazz. Io stavo con Katia Svizzero, amica di sua moglie Anna. Una sera arriva Berlusconi. Gli faccio: ‘Silvio, hai tre reti. Perché non pensiamo a un programmino di jazz a mezzanotte, lo presento io?’. Lui si rivolge al suo portaborse: ‘Davvero non facciamo jazz?’. Quindi a me: ‘Caro Lino, dobbiamo correre ai ripari. Mi chiamate, tu e Urbano, e risolviamo’. Mi gira il numero di questo segretario, al quale telefono dopo un paio di giorni, ottenendo la seguente risposta: ‘Ci risentiamo tra un mese’. Figurarsi se l’ho cercato di nuovo.
Chi era il segretario?
Urbano Cairo.
Al Cav lei gli imputava la morte del vero cabaret, annacquato nella sua tv. Coi Gufi, in teatro, vi beccaste una curiosa denuncia.
A Chianciano. La moglie di un commissario si era indispettita per la nostra riproposizione de Le tentazioni di Sant’Antonio. Un innocente pezzo folk dell’Ottocento. Vilipendio alla religione. Per un anno intero forze dell’ordine e pompieri presidiarono i nostri show: ‘Non osate rifare quel brano!’. Al processo il giudice ci mandò via: ‘Che ci fate qui?’.
L’Italia democrista. Lei tentò anche la strada della politica.
Con Pannella e con Rutelli. Per fortuna non fui eletto.
Però era un insider dei Mussolini.
Ho suonato 40 anni con quel gigante di musicista di Romano. Lui, Edda e Vittorio, di nascosto dal Duce, ascoltavano a Villa Torlonia i 78 giri jazz che acquistavano a Londra, e che ho ereditato.
I dittatori erano messi sotto scacco dalla musica anglosassone.
A Vienna, in tour con Oskar Klein, andammo da un vecchio batterista. Alle pareti, foto della sua band con Goebbels. Il gerarca aveva ordinato di cambiare i testi originali di brani noti, in inglese, perché suonassero pro-Hitler e contro Churchill.
Lei ha lavorato molto anche per il cinema italiano.
Alla sceneggiatura di Bix, con Pupi Avati, sulla biografia di Beiderbecke, il grandissimo trombettista. Ho vinto un Golden Globe dalla stampa estera per la colonna sonora di Forever Blues di Franco Nero, film in cui ho recitato.
Ha goduto dell’amicizia di mostri sacri del set.
Monica Vitti era simpaticissima. Guardando fuori dalla finestra di un attico nel centro di Roma mi buggerava: ‘Lino, da qui si vede il mare!’. Alberto Sordi pareva un esperto di jazz: ‘Come sòni bene a mano aperta!”.
C’è speranza che i giovani si innamorino del jazz?
La tv è imbarazzante. Se una star d’oltreoceano viene ospite a Sanremo la accolgono col Ballo del qua qua.