Corriere della Sera, 23 ottobre 2025
«Terapia di coppia, rabbia, attacchi di panico: due anni disastrosi ma voglio rialzarmi»
Due anni in cui è cambiato tutto. Dall’estate 2023, fine dell’ultimo tour, ad oggi, Tiziano Ferro ha ribaltato vita privata e carriera. Si è separato dal marito Victor Allen, sposato nel 2019 («Ho la custodia, ma non vorrei portare via i bambini dall’America, anche se potrei. Questo mi porta a vivere in un luogo alienante nel quale non ho punti di riferimento»), ha cambiato per la prima volta in 25 anni manager (ora c’è Paola Zukar che lavora con Fibra, Marra e Madame) e casa discografica (Sugar). Rivoluzioni che hanno lasciato un segno su «Sono un grande», il nuovo album che esce domani: «Nel disco ovviamente c’è finito tutto quello che è accaduto in questi 2 anni, un grande disastro ma non solo. È un disco di insicurezze ma anche di supposizioni che poi diventano nuove affermazioni di vita», spiega il cantautore.
Le ombre del terremoto personale si allungano ad esempio su «Quello che si voleva», la fine di un amore come la scena di un crimine, ma il percorso dell’album fra relazioni crollate, amicizie solide, legami familiari complessi e autoanalisi porta oltre rancore e risentimento. La parola chiave, quella che Tiziano usa per raccontare più di uno dei brani, è «ricostruzione». Ha messo la freccia verso una nuova direzione, anche se «mi piacerebbe ci fosse già il finale felice, ma ho fatto la scelta della sincerità senza smania di apparire al top».
«Sono un grande». Quando se lo è detto?
«Mai prima di adesso. Tendo all’autostima bassa... Il titolo suona spocchioso, arrogante, invece è un mantra: lo insegna la psicanalisi, se una cosa la dici a voce, stai già iniziando a risolverla. La mia generazione è portata a giustificare le proprie qualità invece di andarne orgogliosa. “Chi si loda s’imbroda” si dice. Mi sono sempre sentito in dovere col destino, forse perché vengo da due famiglie che vedevano la dignità nella privazione e nella sofferenza. La svolta è arrivata scrivendo una canzone con Roberto Casalino: era troppo all’acqua di rose fino a quando ho capito che non dovevo vergognarmi di dire che, oltre al caso e la fortuna, c’è il merito».
Quando avrebbe dovuto dirselo? Al primo successo internazionale? Al primo San Siro?
«Sono stato a fare terapia di coppia e la psicologa chiudeva le sessioni chiedendoci “ciascuno dica una cosa bella dell’altro”. Brava la psicologa, eh, ma il risultato... (ride). La cosa bella a me stesso, invece, me la sarei dovuta dire quando ho fatto il tour del 2023 quando tutti mi consigliavano di fermarmi perché avevo un polipo alle corde vocali. L’unico obiettivo per me erano il concerto e la gente».
Questo è un disco che ripesca dai suoi esordi suoni e metriche urban-r&b... E c’è una sola ballad...
«Di forma... poi per contenuto e peso emotivo anche i testi dei brani uptempo e con bpm alti potrebbero ricadere nella categoria».
Le canzoni per i figli sono un classico, c’erano nel disco precedente e qui «Le piace» è per sua figlia Margherita. Meno frequenti quelle per i nipoti, come «Gioia»...
«Premesso che ci sarebbe anche una canzone per mio figlio, un dialogo che immagino quando sarà adolescente, ma non ho fatto in tempo a finirla... Ho scoperto che il ruolo da zio fa tirare fuori il meglio di sé perché non hai nulla da perdere, mentre da padre sei pieno di insicurezze e timori. Con mia nipote è stato facile e immediato sentirsi zio, mentre ci ho messo di più a sentirmi papà perché mi sembrava un titolo alto, “papà”, che non meritavo. Ho scritto la canzone anche per mio fratello che ha 11 anni meno di me: abbiamo deciso di rompere un ciclo di atti familiari che ci hanno fatto anche del male. I nostri genitori erano poveri, ho dormito in camera con loro fino a 8 anni, hanno commesso errori, ma comunque li ringrazio».
«Ti sognai» è una lettera a una mamma lontana, sognata... È morta?
«Non è una madre morta. È una morte molto più complessa: quella dei rapporti, quella della connessione. Mia mamma è una donna molto sensibile, ma non brava con le parole e i gesti. Ho sempre sofferto di questo. Sono cose che elabori quando diventi a tua volta genitore: è una canzone dura, ma non giudicante, piena di perdono».
Nel disco precedente un brano parlava di depressione, qui «1-2-3» racconta i suoi attacchi di panico...
«Mi fa rabbia il fatto che si parli di salute mentale solo perché va di moda: ahimè è diventata un argomento da social network. Nessuno invece affronta l’evoluzione che le cure hanno avuto dai tempi di mia nonna, che veniva sedata con l’En solo perché era una donna con opinioni, quindi ritenuta pazza. Me la ricordo assente, prendeva pillole perché allora si faceva così. Io invece ho gli strumenti per fare un’indagine e capire a che punto sono della mia salute mentale: questo è tanto e lo devo condividere».