Il Messaggero, 21 ottobre 2025
«Per il 4G e 5G priorità a Ue e Nato» Il decreto che stoppa le aziende cinesi
Se non è uno stop definitivo ci assomiglia molto. L’Italia mette le aziende cinesi alla porta nella rete 4G e 5G. Ovvero mette un piede della Cina fuori dalla infrastruttura di rete wireless che attraversa tutto il Paese. Un segnale a Donald Trump, dall’enorme portata politica.
È contenuto in un decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale sabato scorso, senza clamori e annunci. Prevede un canale preferenziale, d’ora in poi, per le aziende di Paesi appartenenti alla Nato e alla Ue che ambiscono a prendere in gestione la rete italiana. Non nomina la Cina. Ma il perimetro tracciato lascia pochi dubbi. È infatti l’unico Stato al di fuori di quel recinto normativo che ha aziende competitive nel settore della telefonia mobile in Italia. Non solo competitive, ma di gran lunga in testa al mercato, con colossi come Huawei e Zte che gestiscono un pezzo importante dell’infrastruttura della rete 4G e 5G nonché del servizio. È un segnale politico, si diceva. Perché da anni Trump – in sintonia, a dire il vero, con i presidenti democratici – chiede insieme ai vertici dell’intelligence Usa di mettere al bando quelle aziende, accusate (accuse sempre rispedite al mittente) di spionaggio per conto del Partito comunista cinese. Per capire la portata di questo passaggio bisogna fare un passo indietro. Metà aprile, Casa Bianca. Giorgia Meloni ha appena congedato Donald Trump dopo un lungo bilaterale, condito da un punto stampa da cardiopalma nello Studio Ovale. Tutto fila liscio, o quasi. Il presidente americano fa capire che vuole venire incontro all’Italia sui dazi, o almeno ascoltare le ragioni di chi, come Meloni, cerca un’intesa pragmatica. Nel chiuso della Cabinet room però le delegazioni entrano nei dettagli sui dossier. E un comunicato congiunto a fine giornata rivela qual è il patto politico siglato quel giorno a Pennsylvania Avenue.
IL PATTO
Una lunga lista di reciproci impegni bilaterali. Fra questi ne spicca uno. Sotto il capitolo “Cooperazione tecnologica fra Stati Uniti e Italia” c’è un passaggio eloquente. «Entrambi i Paesi riconoscono la necessità di proteggere la nostra infrastruttura e le nostre tecnologie nazionali critiche e sensibili e per questo ci impegniamo a fare ricorso solo a fornitori affidabili in queste reti». E ancora: «Non c’è fiducia più alta della nostra alleanza strategica e perciò non ci può essere alcuna discriminazione quando si parla di fornitori italiani e americani». Presto dalle parole si passa ai fatti. Un primo decreto, a cui gli uffici della premier e del sottosegretario con delega all’intelligence Alfredo Mantovano lavoravano già da tempo, viene pubblicato due settimane dopo. Stila una lista di “tecnologie sensibili” che devono prevedere una corsia preferenziale, negli appalti pubblici, per aziende di Paesi Nato o Ue.
C’è di tutto: dagli scanner degli aeroporti alle telecamere di sicurezza e i software di cybersecurity. Ora il governo italiano aggiunge il “piatto forte”. Ecco il passaggio chiave. «Ritenuto, nell’attuale contesto geopolitico, di includere i servizi e sistemi di telefonia mobile 4G e 5G (in versione sia stand-alone che non stand-alone), e successive evoluzioni tecnologiche» nella lista di tecnologie “schermate”, l’Italia prevede anche per questo mercato «criteri di premialità per le proposte o per le offerte che contemplino l’uso di tecnologie di cybersicurezza italiane o di Paesi appartenenti all’Unione europea o di Paesi aderenti all’Alleanza atlantica (NATO)». Parliamo di un business che genera miliardi di euro di fatturato. E di una scelta politicamente delicata. L’Italia non viene incontro alla richiesta di Trump – reiterata di continuo durante il primo mandato alla Casa Bianca e rispedita al mittente dai governi Conte uno e due – di “bandire” i vendor cinesi dalla rete. Non si può fare. Lo Stato si vedrebbe travolto da cause legali multimilionarie, con poche chance di vincere in tribunale. Di fatto però con la corsia preferenziale negli appalti per i Paesi “alleati” si mette un freno alla cavalcata delle aziende cinesi nella rete 4G e 5G (ma anche 6G) nello Stivale. Tanto più se è vero che le multinazionali con sede in Cina hanno un quasi-monopolio del mercato italiano e una presenza capillare nell’amministrazione pubblica. Per Trump la competizione con Pechino resta in cima all’agenda. Con buona pace dell’Ucraina e di Gaza. A Roma il messaggio è stato recepito.