il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2025
Cinema in rivolta, il settore perderà mezzo miliardo a causa dei tagli imposti dalla manovra
“Da parte del governo italiano non c’è nessuna volontà di effettuare tagli nel sostegno al comparto dell’audiovisivo e del cinema”, diceva la sottosegretaria leghista alla Cultura, Lucia Borgonzoni, nell’aprile 2024 e poi tante altre volte. Il sostegno pubblico al cinema non è mai mancato, “passando dai circa 250 milioni di euro del 2016 ai 746 milioni del 2023, con una dotazione per il 2024 di 696 milioni, valore confermato anche per il 2025, senza alcun taglio” aveva detto per l’ultima volta il ministro Alessandro Giuli nel luglio 2025 nell’aula del Senato. Tutto vero: infatti il taglio si preparava per il 2026, 190 mi lioni in meno per il fondo cinema e audiovisivo, che diventeranno 240 in meno dal 2027. Questo si legge nella bozza della legge di Bilancio. Ma non è solo una questione di tagli, pur corposa, è la legge Cinema del 2016, quella voluta dal duo Franceschini-Nastasi, che per la prima volta viene aggredita nei suoi fondamenti: cioè l’idea che il credito d’imposta (cosiddetto tax credit) dovesse essere sempre garantito. La paternità del provvedimento però è ancora un giallo. Secondo quanto risulta al Fatto, la sottosegretaria Lucia Borgonzoni avrebbe scritto una lettera a Giorgia Meloni e al Ministro Giorgetti mentre fonti del Mic indicavano Giuli come all’oscuro di tutto, come avesse deciso il Mef in autonomia. Un punto da chiarire presto, perché rischia di innescare di nuovo lo scontro tra ministro e sottosegretaria e relativi partiti. Secondo la riforma il fondo Cinema passa da “almeno 700 milioni” (così era scritto nella legge fin dal 2016) ad almeno 510, e poi ad “almeno 460” dal 2026. Ma c’è soprattutto un intervento sui crediti d’imposta sulle produzioni (tax credit), dal 2016 illimitati, con le domande cresciute anno per anno. Da ora non più, un futuro decreto stabilirà il riparto del fondo tra contributi e crediti e il tax credit dovrà stare dentro quel tetto.
Si tratta quindi di un secondo taglio de facto, circa 250 milioni l’anno (la cifra dello sforamento del tax credit in eccesso negli ultimi anni). Un totale di quasi 450 milioni in meno al cinema dal 2026 e 500 dal 2027, con la sparizione dei “minimi” garantiti per promozione, sale, digitalizzazione. Tutto verrà deciso di anno in anno. “Dopo oltre due anni di crisi e incertezza, questa manovra rappresenta il colpo di grazia. È la smentita plateale di tutte le rassicurazioni ricevute”, sintetizza il movimento #Siamoaititolidicoda, che raccoglie le maestranze del settore. “Il provvedimento comporterebbe il collasso del settore e dei livelli occupazionali”, chiosano Cna, Apa e Agici (produttori audiovisivo), chiedendo al governo un passo indietro. L’opposizione ha buon gioco ad attaccare, di fronte a quello che appare un vero e proprio ridimensionamento del settore: “Dopo la cura Borgonzoni, il settore era già in coma. Ora lo stanno seppellendo. Per le armi i soldi ci sono sempre. Per la cultura mai”, dichiara Gaetano Amato del M5S. “Una vera falciata che mette a rischio la produzione, la distribuzione e l’intero ecosistema cinematografico italiano”, rincara Irene Manzi del Pd.
Che un taglio fosse nell’aria era evidente, nonostante le smentite di rito: il ministero ha ormai un ammanco di 1,5 miliardi tra contributi e crediti d’imposta promessi e ancora non pagati. Ma il decurtamento è più di quanto pure i pessimisti stimavano, tanto che alcuni ben informati pensano che dovrà essere presto ridimensionato, sotto le pressioni degli investitori internazionali. Pupi Avati, che da regista non inquadrabile a sinistra aveva espresso tutto il suo dissenso dal palco dei David di Donatello e si era speso con il ministero per scrivere tutto un altro film, ora è amareggiato: “Dall’Agenzia per il Cinema alle piattaforme fino agli investimenti da non toccare, non siamo stati ascoltati su nulla”, dice al Fatto. Il ministero, contattato, non commenta le misure contenute nella bozza della manovra, ma lancia un comunicato stampa su un piano triennale da 176 milioni per archivi, biblioteche, archeologia. Finché ci sono.