il Fatto Quotidiano, 21 ottobre 2025
Cassandra Appendino
Chiara Appendino ha un po’ ragione e un po’ torto. Ha torto sui tempi delle dimissioni da vicepresidente M5S: se era contro le alleanze col Pd nelle Marche, in Calabria e in Toscana, doveva darle prima, quando furono decise (in Toscana dopo il voto degli iscritti); e, se non lo fece per non danneggiare il suo Movimento, non si capisce perché l’abbia fatto proprio ora che Roberto Fico è impegnato in una battaglia campale e cruciale in Campania. Ma ha ragione perché una parte importante degli elettori 5Stelle detesta il Pd e quando le si chiede di votare per un candidato del Pd appoggiato dal M5S sta a casa. Molti, anche se in misura minore, si astengono anche se il candidato è un 5S sostenuto dal Pd: quando la Todde vinse in Sardegna, M5S e lista Todde restarono sotto il 12%; quando Tridico ha perso in Calabria, M5S e lista Tridico si sono fermati poco sopra il 14%. Sempre molto sotto le elezioni Politiche. Ma lì Conte ebbe la fortuna di esser costretto da Letta a correre da solo. In ogni caso i magri esiti nelle regioni non dipendono solo dall’alleanza col Pd: alle Regionali il M5S è da sempre più debole per un suo difetto (non è radicato sui territori) e un suo pregio (non compra e non scambia voti per favori). Il resto lo fa l’elezione diretta a turno unico, che fa ragionare gli elettori in termini bipolari e schiaccia le terze forze. Infatti, mentre cala nelle Regioni, nei sondaggi sulle Politiche il M5S contiano cresce da quando un anno fa si definì “progressista indipendente”. Cresce proprio per ciò che l’Appendino gli rimprovera di non fare: distinguersi dal governo e dal Pd, che sulle cose importanti (Patto di Stabilità, Von der Leyen, riarmo, Ucraina) vanno sempre a braccetto. E crescerebbe ancor di più se il sistema mediatico non oscurasse la sua indipendenza per accreditare il finto derby tra Meloni e Schlein, che si sfidano ogni giorno a paroloni e parolacce per poi votare insieme sui fondamentali.
Sul gattopardismo affaristico e consociativo dei dem, la Appendino può tenere dei corsi, avendone conosciuto e combattuto (e una volta battuto) la quintessenza, incarnata da uno dei peggiori Pd d’Italia: quello torinese, che se la batte con quello milanese, romano e calabrese. Quindi, anziché scomunicarla per il suo grido d’allarme intempestivo ma fondato, i fedelissimi contiani dovrebbero ascoltarla e riflettere. E poi fare di tutto per tenerla nel gruppo dirigente: non c’è nulla di male o di strano se, al vertice di una forza politica, accanto a chi spinge sul “progressismo”, c’è anche una Cassandra o un grillo parlante (con la g minuscola) che spinge sull’“indipendenza”, rappresenta gli elettori dubbiosi, li fa sentire rappresentati e coinvolti, e magari li convince pure a tornare a votare. Buttala via…