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 2025  ottobre 21 Martedì calendario

Da Ginevra a New York. La rete milionaria dei trafficanti d’arte

Ma che fine faranno adesso quegli otto gioielli di valore inestimabile rubati al Louvre? La storia ci insegna che qualche volta il colpo serve per ottenere un riscatto, per ricattare lo Stato, oppure per tenere l’opera per sé. Ma succede di rado. Nella maggior parte dei casi i ladri agiscono su commissione o per vendere il tesoro trafugato. Per il furto della “Natività” del Caravaggio, il 17 ottobre 1969, nell’Oratorio di San Lorenzo a Palermo, i mafiosi sospettati dettero le spiegazioni più diverse. Uno disse che la tela doveva servire per una trattativa con lo Stato. Un pentito raccontò che un boss la usava come scendiletto, un altro che sarebbe stata nascosta in una stalla dove topi e maiali l’avrebbero divorata. L’ultima versione, la più credibile, ha affermato che il dipinto è stato portato in Svizzera a un antiquario che l’ha rivenduto a collezionisti privati dopo averlo diviso in quattro porzioni. Ed è questa la pista più probabile anche per il colpo al Louvre, quella del mercato clandestino delle opere d’arte, che passa da personaggi insospettabili come Robin Symes o Michel Cohen, se non da gallerie all’oscuro del corpo del reato come la Knoedler & Company di New York. Certo, in questo caso è più difficile immaginare qualcuno che non conosca da dove provenga il miracoloso malloppo. Ma sono tutte storie che vale la pena conoscere.
Robin Symes, tra i maggiori antiquari del mondo, accumulò una fortuna assieme al suo socio, Christo Michaelidis, con case a Londra, New York, Atene e Schinoussa, una piccola isola delle Cicladi. Negli anni d’oro conducevano una vita da nababbi: Gstaad a febbraio, Bahamas a marzo, la clinica spa Prairie in Svizzera per il check up di primavera, Londra a giugno, Grecia in estate e infine New York a novembre per le vendite. Gli bastava un mese. Symes si muoveva solo in Rolls Royce e in Bentley, con un Rolex fatto a mano degli anni ‘50, orologi e gemelli Cartier. Era a capo di un mucchio di società, la più importante a Ginevra – guarda caso -, allo stesso indirizzo di quella di Giacomo Medici, altro mercante d’antichità condannato per lo stesso reato a 10 anni (lui vendeva illegalmente i manufatti rinvenuti negli scavi archeologici clandestini). La pacchia finì agli albori del 2000, dopo la morte di Michaelidis, caduto dalle scale battendo la testa contro un termosifone, perché partì una causa per l’eredità con i familiari dell’ex socio, che permise al nostro personale archeologico di analizzare la collezione e 700 reperti, come racconta Fabio Isman in un suo libro. Così vengono rinvenuti un mucchio di pezzi trafugati. Nel frattempo Symes è fallito e se l’è cavata con pochi mesi di galera. È andata persino meglio al mercante d’arte Michel Cohen, che quando l’arrestarono in Brasile vide dalla finestra l’ambulanza che portava i prigionieri in ospedale fermandosi per un guasto. Ed ebbe subito la pensata: sai che faccio? Mi fingo malato adesso, così sono costretti a venirmi a prendere con un’auto privata. Che è quel che avvenne. Al primo semaforo saltò fuori dalla macchina e da allora è sparito. Miracoli delle mazzette giuste, anche se lui giura che non ha pagato nessuno. Ora vive nascosto in qualche parte del mondo con i 50 milioni di dollari rubati ai collezionisti. Ha dovuto rinunciare alla sua villa a Malibu, sulla scogliera di Point Dume, con decine di maggiordomi al servizio. In compenso non ha di che lamentarsi, con tutti quei soldi. E la Bbc gli ha fatto pure un film.
Ma per quanti le indagini ne riescano a beccare, chissà quanti altri ce ne sono in giro. Anche perché i guadagni pare che valgano la candela. Pure Giacomo Medici non li ha fatti tutti i 10 anni. Lui faceva rubare dai tombaroli i pezzi etruschi e poi li piazzava al mercato clandestino. Chi di più rischia è Glafira Rosales, piccola mercante d’arte a Long Island, che s’è trovata il modo di cambiare la sua vita quando ha conosciuto un pittore cinese, Pei-Shen Qian, capace di dipingere quadri di Pollock o Clyfford Still. È andata da Anne Freedman, direttrice della storica galleria Knoedler e le ha detto di avere avuto queste opere da un collezionista rigorosamente anonimo. La poveretta le ha creduto, e ne ha vendute a decine per svariati milioni dopo averli fatti analizzare da una scuola di esperti. Fino al giorno in cui uno di loro ha cominciato a storcere il naso. Glafira rischia molto perché le hanno accollato un mucchio di reati, dalla truffa all’evasione fiscale, roba che in America non scherzano. Tutti questi casi dimostrano come sia fiorente il mercato clandestino e come non sia affatto impossibile piazzare la merce trafugata al Louvre. Così come quella farlocca. A parte il cinese Qian, scappato via al primo sentor di bruciato, un artista del genere è senz’altro Wolfgang Beltracchi, che a 14 anni era capace di dipingere perfettamente un Picasso, con grande meraviglia di mamma e papà che volevano farlo studiare. Inutilmente. Wolfgang preferisce una vita da fricchettone, lsd e oppio ad allietargli le notti e le visioni. Poi incontrò sua moglie Helene, e decise di mettere a frutto le sue abilità pittoriche. Per 40 anni creò opere mancanti di grandi artisti spacciandole per originali. L’ha smascherato un dettaglio, un materiale usato che non esisteva ancora all’epoca dell’artista imitato. «L’unica volta che l’ho fatto prendere da un altro mi sono fregato». Però adesso fa soldi dipingendo quadri suoi.