la Repubblica, 21 ottobre 2025
Praga svolta a destra la nuova normalità dell’Occidente ex liberale
Se aprite la finestra in una stradina del centro di Praga, subito vi arriva il rumore delle ruote dei trolley sul pavé, segno di schiere di turisti in marcia verso il loro hotel o Airbnb. (La capitale ceca ha registrato circa 8 milioni di
visitatori lo scorso anno). Mentre si inerpicano fino al Castello e riempiono i bar della Città Vecchia di un allegro vociare, i nuovi arrivati – molti probabilmente ignari della recente vittoria elettorale dei partiti nazionalisti populisti di destra – potrebbero avere l’impressione di trovarsi in un paese europeo come tanti. E sapete una cosa: è proprio così.
I commentatori più informati, in cerca di una generalizzazione a effetto, raccontano però un’altra storia. L’Europa orientale torna al vecchio stampo, dicono. Dopo Ungheria, Polonia e Slovacchia, ora è il turno della Repubblica Ceca. La verità è più interessante – e più preoccupante.
Trentasei anni fa, ai tempi della rivoluzione di velluto dell’autunno 1989, a Praga la gente mi ripeteva continuamente che voleva soltanto vivere in un paese “normale”. Per “normale” intendevano simile alla Germania (Ovest), alla Francia, alla Gran Bretagna, alla Spagna o all’Italia. Ebbene, oggi è così. Solo che, nel frattempo, lo standard è cambiato. Allora la normalità in Occidente era prevalentemente liberale, internazionalista, filo-europea; oggi è sempre più antiliberale, nazionalista ed euroscettica. In campagna elettorale il premier ceco uscente, Petr Fiala, ha messo in guardia gli elettori: «Vogliamo andare a Est o a Ovest?». Ma che cosa significa questo, quando l’Occidente è incarnato dal presidente Usa Donald Trump e dalla prima ministra italiana Giorgia Meloni, per non parlare di Reform UK di Nigel Farage, di Alternative für Deutschland in Germania e del Rassemblement National in Francia, tutti attualmente in testa ai sondaggi?
Il probabile prossimo primo ministro ceco, Andrej Babiš, leader del partito Ano (sic!) vincitore delle elezioni, è un imprenditore miliardario che ha utilizzato la sua enorme ricchezza ai fini di una notevole carriera politica. È già
stato primo ministro dal 2017 al 2021. Con cause in corso per presunti illeciti di corruzione alle spalle, più che a un credo ideologico solido rimanda al profilo del “populista imprenditoriale” che insegue i voti. Vi ricorda qualcuno? Forse Silvio Berlusconi. O Donald Trump.
Più estremi ancora sono i partiti minori destinati a far parte della sua coalizione: Libertà e Democrazia Diretta (Spd), formazione di estrema destra guidata dal nazionalista ceco-giapponese Tomio Okamura, e il partito dal nome eccentrico Automobilisti per se stessi (Motoristé sobě). Proprio gli Automobilisti hanno proposto come ministro degli Esteri un ex pilota, Filip
Turek, che vanta precedenti decisamente poco edificanti, tra cui una foto in cui appare mentre fa il saluto nazista dal finestrino di un’auto. È orribile; ma il presidente della Repubblica, Petr Pavel, ha il potere costituzionale di
bloccarne la nomina. E poi, quanto è davvero “anormale” tutto questo, se il metro della normalità è il “Rambo giocattolo” Pete Hegseth, segretario alla Difesa degli Stati Uniti, che impartisce a ottocento alti ufficiali militari
americani una lezioncina sull’importanza di fare flessioni e radersi la barba?
La Francia è storicamente il paese più incline a guardare dall’alto in basso la metà orientale dell’Europa, con un atteggiamento che definisco di orientalismo intraeuropeo. Eppure, anche con personaggi singolari come Okamura e Turek, la politica della Repubblica Ceca è oggi un modello di stabilità democratica se confrontata con quella francese. E Babiš può apparire un leader serio se paragonato a personaggi grotteschi come l’ex prima ministra britannica Liz Truss.
Andando più in profondità troviamo ulteriori conferme dell’esistenza di un mosaico paneuropeo. Grazie a una crescita economica notevole dalla fine del comunismo in poi, i cechi godono ora di un PIL pro capite, calcolato a parità di potere d’acquisto, che li colloca al quattordicesimo posto nell’UE, davanti a Spagna e Portogallo. La Repubblica Ceca ha la quota più bassa di popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale dell’UE e uno dei tassi di disoccupazione più bassi. Su altri indicatori, come l’istruzione terziaria,
invece, va meno bene.
Grazie all’eredità di due grandi presidenti – Tomáš Garrigue Masaryk, primo presidente della Cecoslovacchia dopo la prima guerra mondiale, e Václav Havel, primo presidente della Repubblica Ceca dopo la fine della guerra
fredda – il paese dispone di istituzioni democratiche e pluraliste abbastanza solide secondo gli standard occidentali odierni. Tra queste un Senato che i populisti entranti non controlleranno; una Corte costituzionale e un ente nazionale di revisione dei conti pubblici indipendenti; e un servizio pubblico radiotelevisivo ancora ampiamente rispettato. Queste istituzioni saranno a rischio con i populisti al potere, ma una società civile attiva e il presidente della Repubblica le difenderanno. Se solo si potesse dire lo stesso degli Stati Uniti.
La storia conta, eccome. Permane qualche significativa analogia regionale, eredità dei quarant’anni di dominazione sovietica e di regime comunista precedenti al 1989, ma pesano sempre più le eredità precedenti: la storia pre
comunista e gli imperi ante 1914. Prendiamo l’atteggiamento nei confronti della guerra in Ucraina. Con troppa facilità si generalizza su un’Europa orientale più filoucraina e più ostile alla Russia rispetto a quella occidentale.
In realtà questo approccio è tipico soprattutto dei Paesi europei nord-orientali – Polonia e stati Baltici – e ricorre anche in altri Paesi del Nord, come Finlandia e Svezia, forti di una lunga esperienza di imperialismo russo. Al
contrario, nell’Europa sud-orientale – Bulgaria, Serbia – i retaggi del cristianesimo ortodosso e della dominazione ottomana si traducono in un atteggiamento più morbido verso Mosca e meno solidale con Kiev. Sotto questo aspetto tali Paesi sono più accomunati all’Europa meridionale – per esempio alla Grecia – che non a Estonia o Danimarca. Ancora una volta, abbiamo un mosaico paneuropeo.
Non fraintendetemi: la svolta a destra della Repubblica Ceca è motivo reale di preoccupazione, soprattutto per l’Ucraina. Su iniziativa del presidente Petr Pavel, ex generale della Nato, il paese ha assunto la guida di un’ampia iniziativa per coordinare gli acquisti europei di munizioni per Kiev, ovunque nel mondo fossero reperibili. Lo scorso anno ha inviato a Kiev circa 1,5 milioni di munizioni e punta a 1,8 milioni entro la fine del 2025. Si tratta, di gran lunga, della quota principale delle forniture europee di munizioni vitali all’Ucraina. Ora Babiš sostiene che dovrebbe farsene carico qualcun altro.
Più in generale, il probabile nuovo governo della Repubblica Ceca alimenterà la tendenza antiliberale e nazional-populista e irrobustirà i fronti che a Bruxelles si oppongono al Green Deal, al patto su migrazione e asilo e a quasi ogni ulteriore passo di integrazione. Nel partito degli Automobilisti, è il veterano euroscettico Václav Klaus a dare consigli di guida dal sedile posteriore. Sia Ano che gli Automobilisti aderiscono al gruppo Patriots for Europe, insieme al Partito della Libertà austriaco, a Vox in Spagna, a Fidesz di Viktor Orbán e al Rassemblement National di Marine Le Pen.
Dunque evitiamo di impantanarci nelle generalizzazioni regionali. Ogni paese europeo ha peculiarità proprie e forti tratti comuni. La vera sfida ora è superare questa nuova normalità retrograda per approdare a un una nuova
normalità davvero nuova, che sarà senza dubbio diversa dagli standard degli anni Novanta e Duemila. Il messaggio da riportare a casa nel nostro bagaglio mentale (trrr trac trrr) dalla gloriosa città di Masaryk e Havel è che in tutta
l’Europa e nell’intero mondo democratico occidentale oggi abbiamo problemi comuni e dobbiamo cercare soluzioni comuni.