Corriere della Sera, 21 ottobre 2025
Intervista a Sabino Cassese
Se non sai spiegare un concetto semplicemente, magari è perché non lo hai capito nemmeno tu, diceva Einstein. Se si dovessero tirare le reti dei novanta anni di Sabino Cassese, probabilmente sarebbe lì che bisognerebbe guardare: una vita spesa a cercare, nei fatti e nelle parole, la strada per comunicare, aiutare a comprendere, semplificare senza immiserire. Nasce ad Atripalda il 20 ottobre 1935. Giurista, docente universitario, editorialista, all’Eni con Mattei, ministro con Ciampi, giudice all’Alta Corte, tra i candidati al Quirinale, tanti libri, letti e scritti, un grande maestro, Massimo Severo Giannini. Ieri la Sapienza gli ha dedicato un convegno: «Varcare le frontiere». Relatori Francesca Cappelletti, Gianrico Carofiglio, Marc Lazar, Antonella Meniconi, Emanuela Piemontese, Giuseppe Pisauro, Giorgio Resta e Alessandra Sardoni.
Professor Cassese, qual è il suo primo ricordo?
«Sono ricordi di guerra. Lo sbarco degli americani a Salerno, le fughe, le bombe. Il rifugio a due ingressi, da un lato noi, salvi, gli altri tutti morti. Il casolare di contadini che ci ospitava pieno di armi, ce le avevano date in custodia i carabinieri. Il terrore che i tedeschi le scoprissero».
Suo padre Leopoldo e sua madre Bianca.
«Laureati in lettere, latinisti, grecisti. In casa tanti libri, il primo impatto con lo studio, così come per Borges, è stato la biblioteca di mio padre. Con loro un rapporto sempre ottimo».
Ha una biblioteca imponente.
«Più di ventisettemila volumi. Tutti catalogati, e poi sono diventato un esperto in “dorsologia”, per ritrovarli».
I suoi fratelli, Antonio e Annamaria.
«Eravamo molto uniti. Antonio era un grande giurista, molto più bravo di me. Con il Tribunale penale internazionale si è occupato della ex Jugoslavia e del Ruanda. Mia sorella è stata redattrice in diverse case editrici. Ha sposato Tullio De Mauro, un mio grande amico».
Come ha conosciuto sua moglie, Rita Perez?
«Tramite amici, ci vedevamo con Luigi Spaventa e Stefano Rodotà, Carla, che diventerà sua moglie, aveva un’amica, Rita. Dopo sei mesi, eravamo sposati».
I figli Elisabetta e Matteo. Che voto si dà come padre?
«Ahimè non altissimo, credo però di essere stato un buon educatore».
Da bambino che cosa rispondeva a chi gli chiedeva: che vuoi fare da grande?
«Sincero? Volevo fare lo studioso e il professore universitario. Mai altri desideri».
Via da Salerno a 17 anni, vince il concorso per entrare alla Normale a Pisa. Che adolescente era?
«C’erano sei posti e quaranta ragazzi agguerriti, fui fortunato. Non ero il primo della classe, ma certo ero un po’ secchione. Tempo libero poco, sport zero, se non tirare di fioretto in casa con mio padre. Diceva che gli intellettuali tendono a ingobbirsi».
Il suo maestro.
«Massimo Severo Giannini, senza dubbio. Quello è stato l’incontro professionale più importante della mia vita. Ma in quegli anni, a Pisa, c’erano anche Marino Berengo, Cesare Luporini, Carlo Rubbia».
Enrico Mattei cerca un giovane, Giannini fa il suo nome.
«Avevo 25 anni, ho fatto il capo del legislativo dell’Eni. C’era attenzione ai giovani. Come scrive Paul Valery “una volta il futuro era migliore”».
Che idea si è fatto sulla morte di Mattei?
«Non sono riuscito a farmi un’idea. Ho saputo subito che l’aereo era scomparso dai radar, me lo disse il capo di gabinetto di Fanfani, padre di un mio allievo. Ho volato più volte su quel bimotore: quattro posti compreso il pilota, si entrava dalla carlinga».
Quando le Br uccisero Ruffilli le dettero una scorta.
«Ero il preferito degli agenti. Rispettavo le regole, davo orari precisi per gli spostamenti, mi chiudevo in casa. Solo una volta mi persero di vista tra gli studenti e mi cercarono a pistole spianate».
Ci nomina tre politici che l’hanno colpita?
«Piersanti Mattarella, un uomo giustamente convinto che la politica si fa con la buona amministrazione. Carlo Azeglio Ciampi, assai più politico di quanto si immagini. Un filologo che prende in mano l’economia del Paese. Lo ascoltavo durante i Consigli: abile a scansare le frecce, se li metteva in tasca tutti. E poi Ciriaco De Mita. Un ragionatore, capace di distinguere tra le cose urgenti e quelle importanti. Le importanti vengono prima delle urgenti».
Meloni e Schlein.
«Non c’è possibilità di paragone. Meloni studia, è la migliore allieva di Togliatti, come lui è realista. E ha capito, come prima di lei De Gasperi, che il modo migliore di fare la politica interna è fare la politica estera. Sull’altro fronte vedo il vuoto politico, solo slogan che inseguono l’ultima notizia dei giornali. Quando Schlein ha detto che la democrazia è a rischio mi sono cadute le braccia».
Come sta la Costituzione?
«La prima parte guarda al futuro e sta benissimo, ma è dimenticata, dal permettere a chi ha merito di poterlo esprimere a tanto altro. La seconda parte è miope. La stabilità del governo è un valore, il premierato è una buona idea. Non avrei cominciato a riformare la Giustizia dalla separazione delle carriere, ma la scelta in sé è giusta. Poi è importante saper immaginare il futuro, uscendo dagli schemi c’è un libro di John Fitzgerald Kennedy, I profili del coraggio, che è esemplare».
Che cosa pensa di Trump?
«Non ho ancora capito se ci è o ci fa. L’espressione politica senza pensiero, coniata da Sturzo per il fascismo, gli si attaglia. È un improvvisatore, dice e si contraddice, ma forse è tecnica costruita ad arte».
Per due volte tra i candidati al Quirinale.
«Dissi che le cariche pubbliche non si sollecitano e non si rifiutano. Ora spero che tengano in considerazione la mia età. Per fare il presidente bisogna saper nuotare e camminare sulle acque, felice di averla scampata».
Un film e un libro preferiti.
«Il film è Rashomon, di Akira Kurosawa. Una vicenda raccontata con cinque punti di vista. La relatività della verità. L’importanza dell’interpretazione. Come per Bach e le variazioni Goldberg. Le note sono sempre quelle, ma... Il libro è La montagna magica, la strepitosa opera di Mann».
E quindi? Sta con il gesuita Naphta o con l’umanista Settembrini?
«Con Settembrini, che domande!».
Lei è credente?
«Vengo da una famiglia molto cattolica, rispetto le religioni, ma no, non sono credente. Credo molto negli uomini e nelle donne, il futuro è nelle nostre mani. E come de Montaigne “vorrei che la morte mi trovasse mentre pianto i miei cavoli”».
Inutile chiederle che cosa fa nel tempo libero.
«Guai ad avere tempo libero, insegno ai miei studenti invece come utilizzare i ritagli di tempo».