Corriere della Sera, 21 ottobre 2025
Modello Ira
Ottobre 2003. Il generale canadese John de Chastelain incontra gli emissari dell’Ira, lo aspettano per mostrargli la distruzione di una grande quantità di armi. I terroristi lo obbligano a spegnere il cellulare e a rimuovere la batteria, normale precauzione per evitare il tracciamento da parte dell’intelligence. Poi lo conducono in alcuni rifugi e iniziano la neutralizzazione di fucili, mitragliatori, materiale per attacchi. L’ufficiale – raccontano i media britannici – resta irraggiungibile per quasi 20 ore ma alla fine porta a casa un risultato. Un passo importante in un processo estenuante coordinato dalla Independent International Commission on Decommissioning (Iicd), organismo che sorveglia il disarmo di tutte le fazioni del Nord Irlanda.
Il vincolo negli anni ’70
Lo scenario «irlandese» è stato proposto da ambienti diplomatici per togliere l’arsenale ad Hamas. L’incrocio è tra due realtà lontane e diverse, tuttavia legate dalla forte solidarietà in favore dei palestinesi. Un vincolo testimoniato dalla collaborazione, fin dagli anni ’70, con l’Olp di Yasser Arafat, i traffici e le sponde di un mondo «rivoluzionario», gli scambi di informazioni tecniche nei campi di addestramento dove si incontrano estremisti occidentali e arabi. Una condivisione di idee tratteggiata in modo visibile dai murales nelle vie di Belfast dedicate ai fedayn.
L’incendio mediorientale, però, non si è mai placato mentre in Nord Irlanda dopo decenni di conflitto hanno trovato un’intesa per un sentiero di pace culminato nell’accordo del 1998. La commissione, con un ruolo primario dell’allora senatore americano George Mitchell, dell’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari, dell’allora esponente sudafricano Cyril Ramaphosa (oggi presidente del Paese, ndr) si mette subito al lavoro ma incontra una montagna di ostacoli.
L’odio non si cancella con la firma su un documento, i caduti non si dimenticano, la diffidenza è diffusa e profonda, come lo sono i rifugi dove sono stati interrati equipaggiamenti d’ogni tipo. Passerà oltre un anno prima che possano ottenere i primi progressi e la missione dell’Iicd sarà formalmente chiusa attorno al 2010.
Quintali di Semtex
Nel mezzo pause, marce indietro, minacce. Ognuno pensa che il rivale abbia delle scorte nel caso la crisi riesploda. Si teme che prima o poi arrivi «il giorno del giudizio». I negoziatori sono consapevoli dei problemi così come dell’ampiezza dei depositi su entrambi i fronti.
L’Ira, al momento del suo apice, aveva centinaia di chilogrammi di Semtex, esplosivo d’origine ceka donato dal colonnello libico Muammar Gheddafi, poi diversi lanciatori anti-aerei Strela, mine, lanciafiamme, fucili da cecchino, munizioni a volontà, mortai veri e «tubi» in grado di sparare razzi.
Decisiva la volontà
In diverse occasioni ispettori e personaggi di fiducia – due sacerdoti —, sempre in condizioni di segretezza, certificano la messa fuori uso degli armamenti. Parliamo di grandi quantità, però sempre con numeri inferiori al materiale in mano ad Hamas, Jihad Islamica e altre realtà presenti nella Striscia. E, comunque, l’aspetto decisivo è la volontà delle parti di fermare la violenza.
Approccio condiviso dalla maggioranza di militanti e simpatizzanti. Il che non ha impedito a elementi scissionisti di puntare i piedi.
Nel 2015 fonti della sicurezza stimavano che l’Ira avesse ancora 5 mila «fucili» e nel 2016 saranno scoperti degli armamenti in zone boscose, all’interno di buche. La Real Ira, nucleo di irriducibili, avrebbe rubato casse di Semtex in dotazione alla «casa madre», altre ancora sono invece rimaste nelle mani di una struttura parallela «segreta»: non esistendo – spiegavano gli inglesi —, non era tenuta a consegnare «ciò che non aveva». Per fortuna e per scelta la svolta di pace si è consolidata.
Interessante, a questo proposito, un vecchio studio della Rand Corporation su come «finiscono» i network terroristici che ha preso in esame il periodo 1968-2006. La maggior parte è passata dalla lotta armata alla politica, il 10% ha raggiunto il suo obiettivo, solo il 7% è stato piegato dal nemico. I ricercatori hanno poi confermato come le fazioni ispirate dalla religione siano le meno restie a fermarsi: il 32%. I dati cambiano se si considerano i movimenti insurrezionali, categoria che tira dentro Hamas: la metà ha accettato la transizione politica e negoziale, il 19% è stato sconfitto militarmente.
Rispetto a questo scenario i mujaheddin di Gaza, nonostante tutto, hanno ancora margini di manovra, ritengono che non sia ancora il momento di rinunciare al Kalashnikov e dicono che comunque servirà ancora del tempo. Sempre che Israele (e Donald Trump) glielo conceda.