La Lettura, 19 ottobre 2025
Frutta, proteine vegetali, movimento. Così gli oranghi evitano il diabete
Cosa non si farebbe per perdere peso. A cominciare dalle diete – chetogenica, digiuno intermittente 12:12 ore, 18:8 ore, 5:2 giorni, a giorni alterni, cromodieta, dieta low-carb e poi l’attività fisica, e adesso arrivano i farmaci. Ozempic – un agonista del recettore per l’ormone Glp-1 – quello di cui tutti parlano, è stato il primo, ma adesso ce ne sono tanti altri da fare con iniezioni sottocutanee ma l’ultimo della famiglia Orforglipron si può persino prendere per bocca. Fanno perdere dal 10 al 20 per cento del peso a seconda della dose, se ne avvantaggiano il cuore e il metabolismo e così migliorano i livelli di pressione arteriosa, di zuccheri nel sangue, di colesterolo e degli indicatori di infiammazione. Ma non solo, questi farmaci pare proteggano anche dall’Alzheimer e aiutino gli ammalati di Parkinson. Insomma, sembrerebbero farmaci miracolosi salvo che come tutti gli altri hanno anche effetti indesiderati; non così gravi per adesso ma ci sono, e andando avanti potete star sicuri che se ne scopriranno di nuovi.
Un’idea migliore? Sì, una ci sarebbe. Si tratta di prendere spunto da chi è venuto prima di noi: gli oranghi. Sì, avete letto bene. Quei primati ci hanno preceduto di milioni di anni e hanno avuto tutto il tempo di imparare a bilanciare scelte alimentari e attività fisica in un modo praticamente perfetto e così hanno evitato obesità, diabete e tante altre malattie metaboliche che affliggono l’uomo.
Noi, che abbiamo dato a noi stessi il nome Sapiens, non abbiamo ancora imparato a farlo. Ma come sappiamo degli oranghi? Dallo studio pubblicato in questi giorni su «Science Advances» da ricercatori dell’università dell’Indonesia che si sono presi la briga di frequentare le giungle del Borneo per... 15 anni così da poter osservare da vicino le abitudini di questi primati. Erin Vogel e Henry Rutgers hanno documentato come gli oranghi abbiano imparato con l’evoluzione ad adattarsi all’ambiente e alle sue modificazioni e a bilanciare alimentazione e fabbisogno energetico. Ma che rapporto può esserci – direte voi – tra gli oranghi e noi? E ancora: c’è proprio bisogno di studiare gli oranghi per capire come migliorare le nostre abitudini di vita?
Forse sì, perché loro e noi abbiamo un antenato comune: una scimmia antropomorfa vissuta in Eurasia fra 12 e 16 milioni di anni fa. Avere un antenato comune è rilevante: vuol dire che fisiologia e processi metabolici sono simili. In altre parole i ricercatori dell’Indonesia non erano solo curiosi dei comportamenti degli oranghi e non volevano soltanto soddisfare un desiderio teorico di nuove conoscenze ma capire se gli adattamenti evolutivi che hanno portato loro a essere quello che sono potessero servire a noi per farci stare meglio.
E allora proviamo a chiederci perché gli oranghi, per lo meno in natura, non hanno il diabete, tanto per cominciare. Gli scienziati dell’Indonesia hanno capito che allo stato brado questi primati hanno accesso quasi illimitato alla frutta; fra l’altro non trascurano le proteine, anzi, ne fanno una priorità nella loro dieta ma si tratta soprattutto di proteine vegetali (foglie, cortecce, germogli, semi, fiori, qualche volta insetti come formiche, termiti e bruchi anche) e consumano proteine animali solo in piccola quantità (uccelli e piccoli mammiferi fanno parte della loro dieta soltanto occasionalmente). Non solo, ma gli oranghi si muovono in continuazione. Capita però che in certe altre condizioni di frutta nei paraggi ne trovino poca, ed ecco che di punto in bianco cominciano a ridurre l’attività fisica: si muovono molto meno e tutto questo per conservare l’energia.
Semplice, no? Sì, sembra semplice, salvo che gli uomini non lo fanno, specialmente chi ha una vita sedentaria come la maggior parte di noi; insomma, l’uomo non adegua quanto mangia all’energia che spende. È l’uovo di Colombo, lo so, ma il rapporto ideale fra queste due condizioni è quello che ci protegge dalle malattie metaboliche e dalle loro conseguenze. Purtroppo la nostra dieta, fatta per lo più di cibi processati, quando non altamente processati, ci impedisce di fare quello che gli oranghi sanno fare benissimo. Vuol dire che gli oranghi non accumulano grasso? Niente affatto. In circostanze di abbondanza di cibo succede anche a loro ma quel grasso lo consumano quando di frutta ne trovano poca. Per questo sono protetti da diabete, malattie cardiovascolari e persino tumori.
Noi invece abbiamo sempre cibo a disposizione anche in abbondanza (salvo per chi vive in Paesi poveri) per cui quel meccanismo viene meno. Ma c’è dell’altro: le foreste tropicali del sud-est asiatico – Indonesia, Malaysia, Brunei – sono ricche di vegetali parzialmente decomposti; l’habitat ideale per la biodiversità. È un terreno che funziona come una spugna naturale capace di immagazzinare CO2 e assorbire l’acqua piovana. La conseguenza è una vegetazione estremamente diversificata: mangrovie, cipressi delle paludi, cipressi di torbiera, alberi da frutto spontanei, bambù, rampicanti. Vivendo lì gli oranghi hanno la fortuna di potersi nutrire in modo estremamente vario; cosa che sarebbe importante per noi. Certo, non la mangrovia o il cipresso calvo, che non troveremo mai nelle nostre città, ma il principio di variare quanto più possibile il nostro modo di alimentarci è un’altra lezione che ci viene dagli oranghi, e questo lo possiamo fare.
Gli studiosi dell’Indonesia, che hanno avuto la costanza di seguire le abitudini degli oranghi per così tanti anni, hanno capito che la frutta selvatica di cui si cibano gli oranghi contiene fra l’altro meno zuccheri della frutta che troviamo noi al supermercato e quando la frutta scarseggia passano a foglie, cortecce e cose del genere. Ma come è possibile passare dalla frutta alle foglie evitando squilibri nel fabbisogno energetico? Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno chiesto a studenti e giovani indigeni di raccogliere tutti i dati possibili sull’alimentazione degli oranghi giorno dopo giorno con l’obiettivo di capire attraverso analisi delle urine come l’organismo di quei primati rispondeva ai cambi della dieta e l’hanno fatto, pensate, per dieci anni di fila. Uno studio che è stato premiato: le analisi di laboratorio hanno consentito di stabilire che le poche calorie introdotte per periodi anche abbastanza lunghi riduceva in modo significativo quello che i medici chiamano «stress ossidativo».
Potrebbe essere questo quello che succede agli uomini con quanto va di moda adesso, l’intermittent fasting, che vuol dire periodi più o meno lunghi di digiuno seguiti da cibo a volontà. La seconda è che quando c’è scarsità di frutta gli oranghi per soddisfare il fabbisogno energetico attingono al grasso accumulato nei periodi di abbondanza e quando questo non basta, si rivolgono alle proteine dei muscoli che però devono proteggere e così in quei periodi si muovono meno, vanno a dormire più presto e passano anche molto meno tempo con gli altri. Le riserve si ricostituiranno nei periodi di maggiore disponibilità alimentare e l’intensa attività muscolare contribuirà a ricostituirne struttura e funzione.
Insomma il metabolismo degli oranghi si è evoluto per milioni di anni fra abbondanza e carestia e questo consente loro di stare lontani da diabete e malattie cardiovascolari anche quando accumulano grasso. Come abbiamo visto è importantissima anche l’attività fisica: si arrampicano e si spostano sugli alberi per lunghi tratti, cosa che noi non possiamo certamente fare. Loro salgono sugli alberi, noi possiamo salire le scale; loro saltano da un albero all’altro, noi possiamo correre da un posto all’altro o andare in bicicletta (chi ci riesce). Alla fine anche loro ingrassano, proprio come noi, ma noi di solito ingrassiamo senza poi dimagrire, loro no.