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 2025  ottobre 20 Lunedì calendario

La bolla del credito privato si allarga per i risparmiatori un rischio da 280 miliardi

Il private credit è uscito dalle sale dei grandi investitori per entrare nei portafogli delle famiglie. In un decennio, un settore nato ai margini del sistema finanziario è diventato la nuova promessa del risparmio privato: rendimenti elevati, bassa correlazione con i mercati, accesso a strumenti un tempo riservati ai fondi pensione e grandi istituzionali. È la retorica della democratizzazione della finanza. Ma dietro la patina dei prospetti si muove un meccanismo opaco, illiquido e potenzialmente rischioso.
Il Fondo Monetario Internazionale, nel Global Financial Stability Report, avverte che «l’espansione del private credit sta creando nuove fonti di rischio sistemico, soprattutto nei segmenti aperti al pubblico retail». Il mercato globale ha superato i 2.500 miliardi di dollari, più del triplo del 2019. Secondo Preqin, la crescita annua supera il 20%. E se il totale è già imponente, la quota retail è in aumento: secondo la Bank for International Settlements, gli investitori retail hanno raggiunto circa 280 miliardi di dollari nel private credit, pari a circa il 13% del totale di masse gestite del settore non-bancario.
A guidare la corsa sono colossi come Blackstone, Apollo Global Management, KKR, Ares Management e Blue Owl, tra gli altri. Tutti hanno creato veicoli aperti ai risparmiatori. Il Blackstone Private Credit Fund (BCRED) gestisce oltre 70 miliardi di dollari. Apollo, con la piattaforma Athene, punta a 200 miliardi entro il 2027. Questi fondi vengono presentati come un ponte tra finanza alternativa e investitori comuni: liquidità trimestrale, rendimenti attesi tra il 7 e il 10%. Ma la liquidità promessa è parziale: i riscatti sono spesso limitati al 5% per trimestre, e quando la soglia viene superata le uscite vengono sospese, come accaduto più volte a BCRED. Formalmente tutto regolare, nella sostanza strumenti illiquidi venduti come liquidi.
Il motore del fenomeno è chiaro: le banche hanno ridotto l’esposizione al credito corporate dopo il 2008, e gli investitori cercavano rendimento. I fondi di private credit hanno riempito il vuoto, offrendo capitale a imprese medio-piccole tramite prestiti diretti, debito subordinato e cartolarizzazioni. È un’industria ibrida che combina capitale privato, leva e rendimenti flessibili.
Ma più cresce la partecipazione retail, più aumenta la fragilità del sistema. «La combinazione di leva, illiquidità e partecipazione retail rappresenta una miscela esplosiva», ha dichiarato Tobias Adrian del Fmi.
I prestiti sottostanti hanno durata media di tre-cinque anni. Se una quota rilevante delle aziende finanziate entra in difficoltà, la liquidità del fondo evapora. E la pressione dei riscatti può trasformarsi in corsa collettiva verso l’uscita, con effetti domino sul credito privato e sui canali bancari che lo alimentano. E la minaccia non riguarda solo i risparmiatori.
Le banche, pur avendo ridotto il credito diretto, finanziano indirettamente i fondi via linee di sottoscrizione (subscription lines). In tempi normali flessibilità; in caso di stress, potenziale contagio. La Banca centrale europea ha definito “materiale” il rischio di interconnessione tra finanza alternativa e sistema bancario. La European Securities and Markets Authority parla di “zona grigia di vigilanza”. Un sistema che vive della leva bancaria ma opera fuori dai vincoli prudenziali.
Intanto la qualità del credito si deteriora. Secondo Wells Fargo, nel terzo trimestre 2025 il tasso di default nel direct lending americano ha raggiunto il 6,2%, massimo da dieci anni.
I fondi più esposti ai settori tecnologico e immobiliare registrano già perdite. La narrativa del rendimento stabile vacilla: quando le insolvenze aumentano, i flussi cedolari calano, la fiducia si riduce e i piccoli investitori richiedono il rimborso. Il Fmi parla di «pro-ciclicità comportamentale»: una spirale che amplifica la crisi.
La spinta del marketing è forte: le grandi case propongono “rendimenti alternativi”, “diversificazione intelligente”. I fondi vengono presentati come soluzioni ibride, ma la sostanza resta quella di un credito illiquido. Alcune piattaforme digitali distribuiscono direttamente al pubblico. Negli Stati Uniti la Securities and Exchange Commission indaga sulle pratiche di marketing; in Europa la revisione della Alternative Investment Fund Managers Directive e della Markets in Financial Instruments Directive impone maggiore trasparenza. Ma l’appetito non rallenta: nel primo semestre 2025 i fondi retail americani di private credit hanno raccolto oltre 40 miliardi di dollari, secondo PitchBook.
In Italia il fenomeno è ancora limitato ma in crescita: alcune Sgr valutano il lancio o hanno già emesso fondi dedicati alle Pmi non quotate, collaborando con piattaforme internazionali. L’obiettivo è convogliare risparmio verso l’economia reale, ma anche qui il confine tra innovazione e rischio resta sottile. Ma, come scrive il fondo Brevan Howard, il private credit è «troppo grande per fallire e troppo opaco per essere ignorato». La sua apertura al pubblico retail è la più grande trasformazione del sistema creditizio degli ultimi anni. Ma se la storia insegna qualcosa, è che ogni promessa di democratizzazione finanziaria porta con sé un rischio di eccesso. Questa volta, però, la leva non è solo negli hedge fund: è nei portafogli delle famiglie.