la Repubblica, 20 ottobre 2025
Trecento reperti romani e etruschi trafugati”. Blitz nel caveau dell’arte dei fratelli Aboutaam
Quasi trecento reperti archeologici trafugati da tombe e siti antichi italiani stanno per rientrare a Roma. Vasi e statue etrusche e romane, gioielli magno-greci, frammenti di affreschi pompeiani, opere scavate di notte dai tombaroli, esportate illegalmente e poi riapparse nei caveau di una galleria internazionale, pronte a essere vendute a collezionisti milionari o esposte nei più blasonati musei del mondo.
Il loro valore è inestimabile, non solo sul piano economico ma soprattutto su quello culturale e storico. La procura di Roma e i carabinieri del comando tutela patrimonio culturale ne hanno disposto il sequestro. È uno dei più grandi ritrovamenti di opere d’arte degli ultimi vent’anni, un colpo inferto al cuore del traffico internazionale di antichità.
Tutto nasce da un’inchiesta che incrocia tre Paesi: Italia, Stati Uniti e Belgio. Un lungo filo che collega il lavoro sporco dei tombaroli ai depositi della Phoenix Ancient Art di Bruxelles, società leader nel commercio di antichità diretta dai fratelli Hicham e Ali Aboutaam, figure di primo piano del mercato antiquario mondiale. Non sono indagati, ma è nei loro magazzini che i carabinieri del Tpc – su ordine dell’aggiunto Giovanni Conzo e del pm Stefano Opilio – hanno individuato centinaia di reperti archeologici di provenienza italiana, alcuni riconducibili ai grandi archivi del traffico d’arte clandestino: Medici, Hecht, Symes, Evangelisti, Becchina.
È questo l’esito di un’indagine partita anni fa dal caso Steinhardt, il collezionista newyorkese coinvolto nel traffico di beni archeologici, e proseguita con la creazione di una squadra investigativa comune Italia-Belgio. Un lavoro portato avanti incrociando banche dati e foto d’archivio che ha permesso di collegare almeno 283 reperti alla loro origine italiana. Le opere sono state individuate nei depositi della Phoenix Ancient Art di Bruxelles, dove le autorità belghe avevano già sequestrato centinaia di oggetti. Quando gli specialisti del Tpc hanno potuto esaminarli, hanno subito riconosciuto il valore storico di vasi, statue e gioielli. «Sembrava un museo sotterraneo», racconta chi ha partecipato alle operazioni: un accumulo impressionante di tesori italiani nascosti dietro etichette e provenienze di comodo.
Tra quei reperti, 132 sono risultati di certa provenienza italiana. Per altri 151 la probabilità è altissima. Sono tutti frutto di scavi clandestini poi esportati illegalmente all’estero. Nel decreto di sequestro preventivo, confermato dal tribunale del Riesame, il pm Opilio parla di «illecita provenienza» e di «lesione reiterata del patrimonio culturale dello Stato». Tra i reperti classificati con le lettere A e B, nella prima categoria, ci sono ceramiche etrusche e corinzie, statue romana, piccoli bronzi e decorazioni architettoniche. Nella seconda si trovano specchi e vasi ellenistici, mosaici e gioielli d’epoca romana. Tutti beni che, per legge, appartengono al patrimonio indisponibile dello Stato italiano.
L’indagine tocca anche le grandi ombre del passato. Giacomo Medici, il trafficante condannato nel 2004, i suoi sodali Hecht e Symes, protagonisti del mercato nero che negli anni Settanta e Ottanta alimentò musei e collezioni private di mezzo mondo. Dai loro archivi fotografici, sequestrati tra Ginevra e Londra, i carabinieri hanno riconosciuto alcuni pezzi custoditi oggi in Belgio.
Il decreto del 23 luglio 2025 – confermato pochi giorni fa dal Riesame – ordina il sequestro dei reperti e la trasmissione del certificato di congelamento previsto dal regolamento europeo. L’urgenza è motivata: il rischio – scrive Opilio, magistrato esperto in questo delicato settore – è che le opere, ancora in custodia alla Phoenix Ancient Art, possano essere cedute a musei o privati, disperdendo per sempre le prove del loro passato. Dietro le formule giuridiche resta un fatto: dopo secoli di scavi abusivi con mercanti e musei compiacenti, i tesori rubati all’Italia tornano a Roma. È un risultato storico che segna un punto fermo nella lotta al mercato clandestino dell’arte antica.