Avvenire, 19 ottobre 2025
L’auto scopre che non è in Cina che gli operai prendono meno
Delocalizzare. E trovare il Paese dove produrre costi di meno in assoluto. Sono diventate queste le regole chiave dell’industria in generale e di quella dell’automotive in particolare. Che a livello globale non soffre affatto di un problema di domanda di prodotto, ma ha bisogno di nuovi e sempre maggiori margini di profitto per compensare le perdite causate dalla difficile transizione all’elettrico e dalle conseguenze della politica protezionistica dell’amministrazione Trump.
In quest’ottica dunque è il Marocco, e non più la Cina (scesa addirittura al quinto posto), la nazione dove il costo del lavoro per produrre un’automobile è il più basso in assoluto. Lo sostiene un’indagine di Oliver Wyman, società di consulenza strategica statunitense, condotta in oltre 250 stabilimenti di assemblaggio in tutto il mondo. Sempre in base ai risultati dell’indagine, al secondo posto tra i Paesi più “convenienti” dal punto di vista dei costruttori c’è la Turchia, davanti a Messico e Romania. L’Italia è solo in quindicesima posizione, dietro la Francia ma davanti a Regno Unito e Germania.
Secondo le stime ANFIA, l’associazione della filiera industriale dell’auto, nel nostro Paese la produzione domestica di autoveicoli, pari a 591.000 unità, ha chiuso il 2024 con la perdita record di quasi un terzo dei volumi (-32,3%), mentre per il 2025 la previsione è di un calo ulteriore (circa 500 mila unità, -15,5%). Numeri drammatici considerando che nel 1997 furono 1.827.000 gli autoveicoli costruiti in Italia, più di 1 milione e 500 mila dei quali uscirono dalle fabbriche Fiat. Lo scorso anno invece negli stabilimenti del Gruppo Stellantis ne sono stati prodotti appena 476.000. Come accennato all’inizio, non si tratta di una crisi di domanda. Nel 2024 a livello mondiale sono stati acquistati 96,2 milioni di autoveicoli, con una crescita del 2,8% rispetto al 2023 e del 3,6% rispetto al 2019, confermando, quindi, la tendenza a un ritorno alla normalità dopo la pandemia, la crisi dei semiconduttori e i rincari energetici.
Un cambiamento strutturale si rileva, tuttavia, nella distribuzione geografica, visto che il baricentro dell’industria automobilistica mondiale si sposta sempre più verso l’Asia, con la Cina (+4,5%) che rappresenta quasi un terzo del mercato globale. E con l’India (+3%) in crescita, mentre Europa (+1,5% in EU27+UK), Giappone (-7,5%) e Nord America (+3,1%) perdono progressivamente peso relativo a livello globale.
Nello studio di Oliver Wyman, gli analisti sottolineano che “la manodopera costituisce in genere dal 65% al 70% dei costi di conversione totali”. Quelli necessari, cioè, per arrivare a un’auto pronta alla vendita. Quindi non solo quelli della manodopera (salari, pensioni, assistenza sanitaria) ma anche quelli complessivi di fabbricazione, dall’energia elettrica all’ammortamento degli impianti e alla manutenzione dei macchinari, escludendo materie prime come acciaio, batterie, componenti elettronici.
L’indagine premia il Marocco, dove il Gruppo Renault oggi produce tre modelli a marchio Dacia (Jogger, Sandero e Logan) negli stabilimenti di Tangeri e Casablanca. E dove Stellantis, a Kenitra, oggi fa nascere la Citroen Ami e la Fiat Topolino. Mentre ha già in previsione di produrre, sempre nella fabbrica di Kenitra, le future Fiat Giga Panda e Panda Fastback, oltre ai suoi futuri motori ibridi.
Se per la Cina lo studio indica per ogni veicolo prodotto un costo medio del lavoro di 585 dollari (501 euro), grazie a bassi salari e alta efficienza, e sfruttando stabilimenti nuovi, migliori catene di approvvigionamento ed elevati volumi di produzione, un’autovettura in Marocco costa solo 106 dollari di media (91 euro), seguiti dai 206 per la Romania, dai 305 per il Messico, dai 414 per la Turchia. In Italia siamo a 2.100 dollari (1.800 euro), dopo i 1.600 della Francia e meno dei 2.300 del Regno Unito e dei 3.300 della Germania.
Per comprendere la differenza rispetto al costo del lavoro in Europa, basta considerare che Audi, Bmw, Mercedes e Jaguar Land Rover hanno una media per veicolo di 2.232 dollari, che sale a 3.307 per i soli tedeschi. Le cause? “Elevati costi di produzione, progettazione complessa, processi di produzione avanzati e una forte presenza sindacale”, spiega la ricerca. Seguono i costruttori di sole auto elettriche, dalle start up a Tesla, che pur non operando con “contratti di lavoro organizzati”, hanno un costo medio per veicolo da 1.502 a ben 13.291 dollari, forchetta enorme dovuta a “elevati costi di produzione per veicolo a causa dei bassi volumi di produzione”.