Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  ottobre 19 Domenica calendario

Il centro in Albania costa più di un milione per ogni migrante

Il 22 agosto erano rimasti in nove, dieci giorni fa erano in diciassette, per tutta l’estate non sono stati mai mediamente più di venti, poco più di cento in un anno. Dovevano essere tremila al mese. Numeri ridicoli. Neanche a dirlo, la provocazione agitata dal governo ad agosto, subito dopo la sentenza della Corte di giustizia europea, di riprendere i viaggi delle navi militari con a bordo i richiedenti asilo provenienti da Paesi sicuri, è caduta nel nulla. I giudici italiani li avrebbero liberati.
Ad un anno dalla sua inaugurazione, il 14 ottobre 2024, il centro per migranti in Albania (trasformato giocoforza nell’undicesimo cpr italiano) è rimasto una costosissima quanto ridicola cattedrale nel deserto. Con gli 880 posti (sulla carta, 400 quelli già fruibili), sostanzialmente sempre vuoti, il carcere mai aperto, e un continuo via vai di contingenti di poliziotti e agenti penitenziari che si danno il cambio a sorvegliare il nulla. E così continuerà ad essere, nonostante quel «i centri in Albania fun-zio-ne-ran-no» più volte gridato dalla premier Giorgia Meloni, almeno fino all’estate prossima quando l’entrata in vigore del nuovo Patto Ue “asilo e immigrazione” potrebbe (forse) rendere più facili le cose.
Per fare i conti, a spanne (perché di rendiconti ufficiali non ce ne sono e il Viminale ormai da mesi ha tirato giù una impenetrabile cortina su quel che accade dietro le sbarre di Gjader), basta prendere il protocollo Italia-Albania e il documento di previsione del governo che, complessivamente, per il funzionamento dei due centri, quello di Gjader e quello di Schengjin, ha stanziato 653 milioni di euro in cinque anni: realizzazione dei centri, appalto all’ente gestore Medihospes, spese per le missioni dei contingenti di polizia e i costi esorbitanti del via vai continuo di navi e aerei per portare dall’Italia all’Albania e ritorno prima i richiedenti asilo soccorsi in mare e poi gli irregolari presi chissà poi perché da altri Cpr italiani, trasferiti sull’altra sponda dell’Adriatico e poi riportati indietro in caso di rimpatrio. Dunque più di 130 milioni di euro all’anno. Che, divisi per i 111 migranti (dato al 25 luglio raccolto da Altraeconomia) che sono passati per i centri albanesi, fa l’astronomica cifra di oltre un milione di euro a testa. Tanto, dunque, è costato ai contribuenti italiani la testarda idea del governo di continuare a mantenere aperti i centri nei quali la Corte di giustizia europea ha definitivamente stabilito che non è possibile rinchiudere i richiedenti asilo provenienti da paesi che l’Italia ritiene sicuri e che pretende di poter rimpatriare con le procedure accelerate di frontiera.
Al momento, quello d’Albania, resta il cpr più costoso di tutti i tempi. Con in più una stranezza. Secondo l’inchiesta di Altraeconomia, il colosso dell’accoglienza Medihospes, che si è aggiudicato la gestione dei centri per 133 milioni di euro per i primi due anni, non ha mai firmato il contratto con la prefettura di Roma. E sono già passati diciassette mesi dall’aggiudicazione della gara, quando il termine massimo previsto per la finalizzazione dei contratti è di sessanta giorni. Il ministro dell’Interno Piantedosi contava sull’anticipata entrata in vigore del nuovo Patto europeo “asilo e immigrazione” per portare a regime il centro di Gjader, una eventualità ormai del tutto esclusa. Anche perchè a Bruxelles, gli Stati membri continuano a litigare sulle linee operative del patto su cui non c’è ancora accordo.