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 2025  ottobre 19 Domenica calendario

Salari in crisi, segni di risalita

Come aumentare gli stipendi degli italiani? È questo il rebus da risolvere. In legge di Bilancio non mancano le misure che intendono intervenire in questo senso. Da capire con quale impatto.
Di certo i salari reali – parametrati al costo della vita – in Italia sono diminuiti. Rispetto al 2021 del 7,5% (dati Ocse, terzo gap più alto). Se andiamo più indietro e prendiamo come riferimento il 2008, per l’Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro) sono diminuiti dell’8,7%: la perdita più alta del G20.

Recupero parziale
L’erosione delle buste paga in realtà è iniziata molto prima. Secondo l’Ocse nel 2020 i redditi da lavoro erano già più bassi del 2,9% rispetto al 1990. Nello stesso periodo in Francia sono aumentati del 31%. Come sottolineato dalla premier Meloni, negli ultimi due anni i salari reali sono cresciuti. Ma non abbastanza per recuperare la perdita accumulata. Nel 2024 le retribuzioni sono aumentate del 3,1% a fronte di un’inflazione dell’1,1%. Tra gennaio e agosto 2025, la crescita è stata del 3,4% con inflazione all’1,8%.
Il valore reale
Dietro l’impoverimento dei lavoratori dipendenti ci sono principalmente due problemi. Il primo è che il prodotto per ora lavorata (la produttività) che non cresce. Anzi, secondo il rapporto del Cnel la produttività è diminuita del 2% sia nel 2023 che nel 2024.
Il secondo è che il potere contrattuale del sindacato è sceso anche a causa del moltiplicarsi di organizzazioni non rappresentative che negoziano contratti al ribasso. «L’appello del presidente della Repubblica sulle retribuzioni è molto fondato – dice Massimiliano Valerii, direttore del Censis —. Il valore reale dei salari in Italia è diminuito in confronto con gli altri Paesi in modo impietoso: abbiamo sacrificato sull’altare della competitività il costo del lavoro. Non per avidità di profitto delle imprese (molte sono sulla soglia di galleggiamento) ma perché era impossibile agire su altre voci di costo: alta pressione fiscale, svantaggio competitivo sul costo dell’energia, costo occulto di una burocrazia ipertrofica».
Un sistema basato sul basso costo del lavoro poteva stare in piedi finché l’economia si reggeva sull’export e quindi si poteva non pretendere troppo dai consumi interni. Ma con l’ondata protezionistica il modello non tiene più. L’analisi di Valerii porta a una conseguenza: la questione salariale va affrontata anche agendo a monte sulla competitività.
Nell’immediato il governo ha messo in campo alcune misure in legge di Bilancio per sostenere le buste paga. Le principali sono: tassazione al 5% degli aumenti contrattuali; garanzia del recupero dell’inflazione (fino al 5%) quando il contratto non è stato rinnovato da due anni; straordinari, festivi e notturni a tassazione ridotta. Non c’è invece il recupero del fiscal drag, invocato dai sindacati. Si parla di 25 miliardi di tasse in più pagate da dipendenti e pensionati tra 2022 e 2024 perché gli scaglioni Irpef non tengono conto dell’inflazione.
Reazione a catena
Tornando alle misure in manovra, possono funzionare? A oggi il primo impatto è un generale rallentamento delle negoziazioni: prendiamo il tavolo per il contratto dei metalmeccanici, qui le parti stanno cercando di capire quali saranno le misure a bocce ferme prima di prendere decisioni. C’è dell’altro. «Con la tassazione ridotta degli aumenti molto dipende dalla forza delle parti ai tavoli, le imprese potrebbero decidere di concedere meno perché sanno che alla fine al lavoratore resterà in tasca di più», riflette l’economista Ocse Andrea Garnero. «Per quanto riguarda la restituzione automatica dell’inflazione a due anni dalla scadenza del contratto – continua Garnero – se teniamo conto che dal 2021, con l’inflazione alta, la maggioranza dei contratti ha avuto aumenti inferiori al costo della vita, per molte categorie il sindacato avrebbe convenienza a non fare nulla e aspettare. All’opposto, con inflazione bassa potrebbero essere le aziende ad avere interesse a non rinnovare gli accordi».