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 2025  ottobre 19 Domenica calendario

Il record di utili del credito: quei 30 miliardi all’anno e gli obiettivi di Giorgetti

Si è aperto un confronto nella maggioranza sulle banche, sull’idea stessa che esistano degli «extraprofitti» o l’opportunità di applicare una tassa straordinaria sulla loro base imponibile. Dopo il varo della manovra, Giorgia Meloni ha tenuto a «ringraziare» il settore finanziario e assicurativo per il suo «importante contributo» da 4,3 miliardi di euro alla legge di bilancio. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti punta su quelle entrate, che dovrebbero salire a 11 miliardi in tre anni, per contribuire a finanziare i nuovi trasferimenti alla sanità o lo sgravio sull’aliquota intermedia dell’imposta dei redditi. Antonio Tajani, vicepremier e leader di Forza Italia, dice invece che il concetto stesso di «extraprofitto» è di stampo sovietico e andrebbe semplicemente rimosso.
I numeri
Chi ha ragione? E a cosa punta realmente il ministro dell’Economia? Più che le parole, per capire cosa sta accadendo, non resta che guardare ai numeri. Perché la redditività delle banche, cioè la loro capacità di incamerare come utile netto una quota del fatturato, rappresenta senz’altro un’anomalia in Italia. Solo gli istituti quotati in Borsa, nettamente i più grandi, l’anno scorso nel complesso hanno registrato ricavi aggregati per 74,5 miliardi (circa il 3,5% del Pil) con un utile netto di 25,7 miliardi (oltre l’1% del Pil). Significa che ogni 100 euro di ricavi, le banche in aggregato ne guadagnano oltre 34, dopo tutte le tasse e gli altri oneri. Generalmente, si considera elevata una capacità di generare utili netti di meno di un terzo di così. Non è un caso se in Italia non si trovi un altro settore, fra le società quotate, che guadagni in proporzione come quello del credito. Non ci riescono le società di rete dell’energia, spesso al centro delle polemiche per i costi delle bollette; non ci riescono le aziende farmaceutiche, anch’esse in media molto redditizie e beneficiarie di accordi con il governo; non ci riescono le concessionarie dei giochi, altro settore dai margini elevati. Eppure società di rete, farmaceutiche e concessionarie dei giochi operano in contesti a mercato limitato, dove contano gli accordi con il governo e le licenze pubbliche. Le banche in teoria operano invece in pieno regime di concorrenza – dovrebbero sfidarsi anche sui costi per strapparsi i clienti – eppure guadagnano in media più di floride concessionarie in regime di oligopolio. I costi a carico dei clienti sono dunque molto superiori ai costi operativi delle banche stesse, divenute ormai più snelle ed efficienti. E il 2024 non è stato un’eccezione. Le analisi di mercato indicano i margini di utile del settore salire oltre il 36% quest’anno e nel 2026. Le compagnie assicurative, designate anch’esse per finanziare il prelievo speciale, registrano profitti in proporzione molto più bassi.
Potere d’acquisto
Nasce di qui il concetto degli «extraprofitti». Nasce di qui anche l’idea del governo di prendere gran parte dei 4,3 miliardi di gettito della tassa dagli utili netti per una trentina di miliardi (abbondante) che il settore del credito registrerà nel 2025. Giorgetti si muoverà con i piedi di piombo, perché la Corte costituzionale ha già espresso dubbi sulla tassa sugli extraprofitti finanziari del 2023. I giudici non si sono ancora pronunciati, ma potrebbe non essere in linea con la Costituzione il fatto che la base imponibile risulti variabile per anno o per settore: plausibile, dunque, che il governo miri ad un compromesso negoziato con gli istituti. Di certo il ministro dell’Economia si è detto più volte preoccupato perché il potere d’acquisto dei salari in Italia dal 2021 segna un calo record nell’area euro. Ma Giorgetti stesso considera la tassa sulle banche per finanziarie gli sgravi fiscali sul lavoro una strada meno preferibile rispetto a quella diretta: rinnovi contrattuali rapidi e robusti per il lavoro dipendente. Ma ha senso tassare di più aziende che guadagnano in maniera anomala? I profitti netti così alti delle banche indicano che, probabilmente, la concorrenza fra loro non funziona bene. Tutte (o molte) riescono a far pagare tanto i depositi, la gestione del risparmio o il credito senza temere che i clienti le abbandonino, probabilmente perché troverebbero condizioni simili presso altri sportelli tradizionali. Tassare questi comportamenti offre però alle banche stesse un argomento per mantenerli anche in futuro, o magari per alzare i costi ancora di più a carico degli italiani. Se esiste un problema di concorrenza, tocca all’Autorità garante del mercato (Agcm) a verificare se ci siano cartelli di prezzo o altri accordi abusivi. E i clienti potrebbero esigere condizioni meno onerose con la minaccia di andarsene altrove. Una tassa cristallizza gli eventuali abusi di mercato, non li rimedia.