Corriere della Sera, 18 ottobre 2025
Intervista a Sonia Bruganelli
Sonia Bruganelli, la sua autobiografia si apre raccontando di un romanzo di Annie Ernaux, L’evento. Qual è «l’evento» che riguarda lei?
«Lo stesso del romanzo di Ernaux, un aborto che ho deciso a 24 anni quando stavo con Paolo da un anno e che ha condizionato tutta la nostra vita insieme. Da allora, per riprendermi quello che non avevo avuto la maturità di scegliere in quel momento, ho accumulato errori su errori. Essere madre era sempre stato il mio sogno. Pensi che ho imparato a leggere prestissimo, ma ho finito di giocare con le bambole tardissimo: a 12 anni andavo ancora in giro col bambolotto».
Sonia si racconta negli studi Elios di Roma, mentre l’ex marito Paolo Bonolis sta registrando «Avanti un altro», lo show di Canale 5 che lei stessa produce nonostante due anni fa si siano separati (lei: «Abitiamo vicini, le porte di casa sono una accanto all’altra. A volte mangiamo insieme, ci vogliamo bene»). Solo quello che rimane – autobiografia di una lettrice, edito da Sperling & Kupfer, esce il 21 ottobre e usa sette romanzi come spunti per raccontarsi. Sonia, che online ha una sua rubrica sui libri, spiega: «Quando l’ultima pagina di un libro si chiude, conta solo quello che rimane: ovvero quello che ci ha insegnato su chi siamo».
Chi era la giovane incinta alla quale Bonolis dice «io non me la sento»?
«Mi stavo laureando in Scienze della Comunicazione, ero fiera di mantenermi da sola grazie a lavori da modella e telepromozioni. È così che avevo conosciuto Paolo, che però aveva una sua ferita emotiva: era già papà, i due figli erano stati portati in America da piccoli e per lui era stato un lutto. Mi sono innamorata e mi sono gettata a capofitto in quella storia. La gravidanza non era cercata, ma avrei voluto che Paolo mi dicesse “che bello, questo bimbo è frutto del nostro amore”. Invece, non era pronto. L’ho capito, non l’ho accusato e, fra diventare madre senza di lui o avere lui, ho scelto lui. Ho creduto che, fatto l’intervento, sarebbe finita lì. Mi sbagliavo».
Sua madre l’aveva avvisata: le aveva detto che, se abortiva, doveva essere forte abbastanza da dimenticare.
«Invece, la rabbia per ciò che mi era stato tolto si è fatta sentire. Se Paolo mi parlava dei suoi figli, ero lacerata, pensavo che non mi considerasse abbastanza importante per giustificare un’altra sua paternità. Gli dicevo: zitto, mi ferisci. Era una situazione tossica. Ci siamo sposati perché ci amavamo, ma anche per un intreccio di altre ragioni».
E poi è nata Silvia.
«Sì, ma aveva una cardiopatia, è stata operata appena nata e ha avuto un’ipossia: non sapevamo che danni avrebbe avuto. È stato uno shock. Ho passato i primi mesi a letto, mentre mia madre si occupava di lei. Ero annichilita, distrutta dal senso di colpa. Pensavo: sono stata punita per aver rinunciato al mio primo bambino. Mi sono chiusa in me stessa: avevo fallito, non ero stata perfetta e mi vergognavo. Da allora, per anni, ho inseguito un ideale di maternità irrealizzabile. Abbiamo cercato subito un altro figlio. È nato Davide, poi Adele, ma mi sono scontrata col fatto che questo non rendeva la mia famiglia “normale”».
E non ha fatto nulla per guarire il senso di colpa?
«Avrei dovuto fermarmi ed elaborare il dolore, invece, mi sono buttata nel lavoro e ho cercato successi che mi facessero apparire forte. Mi sono data allo shopping compulsivo. Mi sono atteggiata a str...za perché nessuno pensasse che soffrivo. Invece, avrei dovuto accogliere e metabolizzare la situazione di Silvia. Solo quando l’ho fatto la mia vita è cambiata».
Qual è quel momento?
«Un giorno, Silvia mi ha visto piangere mentre le mettevo il tutore, mi ha alzato il viso e mi ha chiesto: perché piangi? Ho capito che mi stava dicendo “io sono questa e sto bene così e, se sto male, è perché tu piangi”. Ho capito che, se il destino, le aveva tolto delle cose, io non potevo toglierne altre con la mia paura, il mio fastidio, la mia rabbia. Perché di rabbia ne ho avuta tanta. Ho capito che il problema di Silvia non era la sua malattia, ma io che non riuscivo a guardare mia figlia senza fare i conti con le mie proiezioni. L’ho capito ancora meglio leggendo Sembrava bellezza di Teresa Ciabatti. Lì ho proprio visto che, anzi, di tutti i miei figli, Silvia è la più serena».
A proposito di atteggiarsi ad antipatica: più volte, ha scatenato polemiche social rispondendo sprezzante a chi l’accusava di ostentare la sua ricchezza.
«Per me, l’immagine della str...a era più efficace rispetto a quella di una donna incapace di gestire la quotidianità. Ed essere una famiglia pubblica amplifica tutto: l’altra faccia della popolarità che ci ha dato benessere e libertà è che ti senti osservata e tutti credono di poterti giudicare».
Essere «la moglie di» può non essere solo piacevole?
«Quando io e Paolo ci siamo fidanzati, ho scelto di lasciare la ribalta e lavorare dietro le quinte. Non volevo essere quella chiamata in tv solo perché sta con Bonolis e non volevo essere la moglie mantenuta. Ho messo a frutto la mia laurea, ho iniziato lavorando col manager di Paolo e, dalle fotocopie, sono passata a fare i casting, poi a produrre i programmi. Così, sono diventata “l’imprevedibile signora Bonolis”, quella da gestire. Poi, mi sono messa in proprio e dicevano che ero cara, perché ero un obolo da pagare per avere lui, il più amato. In realtà, ho assunto persone a tempo pieno, dato stabilità a intere famiglie».
Fa ancora shopping compulsivo?
«Quando ho traslocato nella casa nuova, guardando la mia cabina armadio, ho pensato: questa è la mia cartella clinica. Era un delirio di loghi di stilisti, scarpe, borse... Ho cercato conforto nel lusso e so di aver infastidito chi aveva problemi diversi. Ma era tutto collegato: fra una borsa grande e una piccola sceglievo quella grande perché amavo pensare: me la posso permettere. Era il modo di dirmi che potevo avere tutto, perché in realtà quello che volevo era la salute di mia figlia, che era impossibile. Oggi, il vuoto non c’è più, lo riempiono i figli. E ho un’altra compulsione, quella di renderli felici».
In mezzo, ci sono stati gli attacchi di panico.
«Davide aveva sei anni. Ho voluto una vacanza a New York solo io, lui e Paolo, come una famiglia normale, senza tate e con Silvia a casa coi nonni. Invece, arriviamo e mi monta un’ansia inspiegabile. Non respiro, il cuore impazzisce, sono certa che sia un infarto. Il medico che mi visita lo esclude, mi dà dei tranquillanti, ma passo quattro giorni con un peso alla gola, il corpo bloccato. La verità, lo capisco solo ora, è che intuivo che fingersi una famiglia normale era un’illusione».
Anche allora andò avanti fingendosi forte?
«Certo. E gli attacchi di panico sono tornati. E poi sono arrivati anche i disturbi alimentari. Volevo perdere i chili presi con la terza gravidanza, quindi, smetto di mangiare, divento anemica. Mi ha salvata Davide. Aveva dieci anni. Io ero chiusa in camera, dormivo tutto il giorno. Finché lui viene e mi dice: “Mamma, ma tu muori?”. Quella frase mi ha svegliata. Mi sono detta: non posso lasciarmi andare, ho dei figli. Finalmente, mi sono fatta aiutare. Sono stata dallo psichiatra, ho preso i farmaci, è stato un viaggio lungo».
Dopo l’annuncio della separazione, le sono stati attribuiti dei tradimenti.
«C’è stato qualcuno che, non sapendo com’era il mio rapporto con Paolo, ha pensato di potermi attaccare. Ma c’è stata una sola infedeltà e lontana nel tempo: prima della nascita di Adele».
Che amore è quello col suo nuovo compagno, il ballerino Angelo Madonia?
«Maturo, vero. Lui è più giovane di me, ma per esperienza, è più grande. Ha due figlie da due madri diverse, ha vissuto in Cina, sa che i miei figli vengono prima di tutto».
Alla fine, cos’è «quello che rimane»?
«Aver imparato qualcosa che posso insegnare ai miei figli, perché non commettano i miei stessi errori. Per tutta la vita, ho creduto che essere forte significasse non crollare mai, invece, la vera forza è sapere dire “non ce la faccio”, mostrare le fragilità e farsi aiutare».