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 2025  ottobre 17 Venerdì calendario

Abusi, il Vaticano contro la Cei: ma i vescovi contestano i numeri

L’organismo vaticano per la prevenzione degli abusi sessuali bacchetta la Chiesa italiana, ma la Conferenza episcopale italiana contesta i numeri forniti. Nel suo secondo rapporto annuale, pubblicato ieri, la Pontificia commissione per la tutela dei minori ha riferito, con «rammarico», che solo 81 diocesi su 226 hanno risposto al questionario inviato da Roma. Ma la Cei ha contestato «i dati del tutto parziali» e «non esaustivi» forniti dal Vaticano, perché «tratti da incontri facoltativi» Oltretevere, rivendicando che, invece, il 94,2% delle diocesi ha risposto ad una distinta rivelazione condotta dalla stessa conferenza episcopale. La Cei ha ricordato inoltre il proprio impegno nella formazione, le indagini, la collaborazione con le istituzioni civili, e il servizio «capillarmente distribuito» di prevenzione: «Di tutto questo lavoro il rapporto non rende conto», si legge in una nota. «In tutte le Chiese locali c’è la ferma consapevolezza che questo sia un cammino inarrestabile», ha assicurato il cardinale Matteo Zuppi.
Luci e ombre
La commissione vaticana, guidata dal vescovo francese Thibault Verny, nominato da Leone XIV, non manca in realtà di sottolineare i «progressi significativi»: «Nel corso degli anni, sono stati profusi notevoli sforzi nello sviluppo di strumenti e politiche integrali per la prevenzione e la protezione». Ma nell’ampia sezione dedicata all’Italia, il rapporto vaticano mette in luce numerose carenze. Ci sono esempi positivi, come la diocesi di Bolzano, ma, si legge, «permangono forti disparità tra le diverse regioni». La Cei «non dispone di un ufficio centralizzato di ricezione delle segnalazioni/denunce», e i vescovi italiani dovrebbero «ampliare la collaborazione formale con le autorità civili», come procure e forze dell’ordine, e «promuovere e sviluppare il dialogo» con le vittime. Una preoccupazione particolare riguarda i «rischi associati a potenziali abusi subiti» nel periodo di formazione trascorso a Roma: una piaga che, in particolare, riguarderebbe – ma il rapporto non lo esplicita – le giovani suore provenienti da Asia e Africa.
Tabù e resistenze culturali
Di fondo, la commissione del Papa «rileva una notevole resistenza culturale in Italia nell’affrontare gli abusi», si legge: «I tabù culturali possono rendere difficile» per le vittime – che spesso preferiscono essere chiamate “sopravvissuti” – e per le loro famiglie «parlare delle proprie esperienze e denunciarle alle autorità».
“Senza peli sulla lingua”
Nel 2010, quando lo scandalo della pedofilia del clero esplose in molti Paesi europei, l’allora “promotore di giustizia” dell’ex Santo Uffizio, monsignor Charles Scicluna, disse in un’intervista ad Avvenire che in Italia «finora il fenomeno non sembra abbia dimensioni drammatiche, anche se ciò che mi preoccupa è una certa cultura del silenzio che vedo ancora troppo diffusa». Ora la «resistenza», ha precisato in conferenza stampa il segretario dell’organismo, il vescovo colombiano Luis Manuel Alí Herrera, è presente «nella Chiesa ma anche nella cultura» italiana, e consiste nella difficoltà, riferita dalle vittime entrate in contatto con la commissione, «nell’affrontare questa situazione senza peli sulla lingua». Il rapporto mette anche in luce che in Vaticano Propaganda fide, il dicastero che supervisiona 1.124 diocesi in Asia, Africa, Oceania e America latina, ha ricevuto solo poche segnalazioni. In generale, la Chiesa mondiale deve perfezionare le sanzioni verso gli abusatori e forme di riparazione, finanziaria e non solo, nei confronti delle vittime.