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 2025  ottobre 17 Venerdì calendario

Woody Allen: «Ho quasi 90 anni, e nessun rimorso. Nella vita si prendono soprattutto decisioni giuste, ma a quelle sbagliate diamo più peso»

Il giovane romanziere esordiente ha un aspetto familiare; gli occhiali dalla montatura nera, la camicia azzurra con i bottoncini sul colletto, il maglioncino beige a V, l’espressione guardinga da scacchista, o da giocatore di poker. Ha una somiglianza impressionante con l’autore di cinquanta film, di piéces teatrali e libri di racconti e un’autobiografia di successo: Woody Allen. Che dice di “non avere rimpianti” attraverso una vita lunghissima e straordinaria e non sempre facile.
È il debutto letterario dell’anno: il primo romanzo alla viglia dei novant’anni che compie in novembre e per il quale gli verrà organizzata dalla moglie Soon-Yi e dalle due figlie una festa a sorpresa. La festa, nel frattempo, è per i suoi lettori: orbato dei suoi film perché «al momento i finanziamenti per i tipi di film che interessano a me, da realizzare senza condizionamenti sul cast e altro, sono difficili da ottenere», il popolo di Allen storicamente più numeroso in Europa adesso può leggere Che succede a Baum? (la Nave di Teseo). 
Ma perché un romanzo, proprio adesso?
«È cominciato tutto, come sempre succede, con il personaggio, con l’idea di un personaggio» spiega Allen a 7. «Ci ho pensato, l’ho lasciato da parte per un po’, non ho cominciato subito a scrivere. Nel frattempo ho girato un film, ma finita la lavorazione mi sono accorto che continuavo a pensarci. Uno scrittore in crisi, in crisi con la scrittura e con la moglie. Poi, da lì, si è formata una storia. Una storia che utilizzava quel personaggio. Ho trovato che Baum fosse interessante e Baum mi ha portato, mi ha accompagnato, a una storia interessante su di lui. Quella storia l’ho seguita tra un film e l’altro, quando avevo tempo per scrivere. La storia si è sviluppata progressivamente. Ma tutto è nato dal personaggio centrale del libro. Perché un romanzo e non un film? Per scrivere un romanzo bastano carta e penna, scrivo ancora sul blocco, ogni mattina».
L’idea
Fin dalla prima pagina del libro il protagonista parla da solo, e questo continua per tutto il romanzo, non come un dialogo interiore ma a alta voce – Baum parla da solo, all’inizio fa ridere ma diventa presto straziante quando si capisce che non può più parlare con la moglie che una volta lo trovava geniale e ora lo disprezza.
«Sì, quel dialogo a alta voce con sé stesso è stato dall’inizio il nucleo del personaggio. E ho pensato che non sarebbe stato molto pratico utilizzare questo elemento in un film, e non sarebbe stato molto pratico neanche sul palcoscenico, per una piéce. Si potrebbe fare, ma non è l’ideale. Ma in un libro, dove puoi muoverti facilmente, con agilità, puoi lasciare che la mente di un personaggio vaghi ovunque. E non ci sono neanche le spese di location, set e attori. No, Baum si è formato naturalmente come protagonista di un libro. E dopo tanti anni il lavoro, per me, resta una distrazione. Mi impedisce di pensare a altro. A cosa? A quel che si sente al telegiornale, al passare del tempo». 
Da ragazzo, Allen lavorò con Mel Brooks (classe 1926) in tv. Brooks, in un’intervista con 7, ha ricordato che la velocità di Allen nel pensare una battuta e metterla per iscritto è una cosa che non aveva mai visto prima e non ha più visto dopo. «Sì, io scrivo molto velocemente. Ma la scrittura non è la parte difficile. La parte difficile è pensare prima a quel che vuoi dire. I testi per un programma tv sono più lineari, la sceneggiatura di un film richiede di pensare e ripensare prima di scrivere. E quando alla fine arrivo a farlo, è tutto molto più facile perché tutti i problemi sono già stati risolti. Quando ho lavorato con Mel, era un tipo di lavoro diverso. C’erano tanti scrittori in una stanza (ndr: understatement dell’anno. Si trattava di una “stanza degli scrittori” leggendaria, una squadra di talenti mai più vista da allora. C’erano Brooks, Allen, Mel Tolkin, Lucille Kallen e Carl Reiner agli ordini di Sid Caesar) e quando ci sono tante persone che parlano, il lavoro è corale ed è per sua stessa natura più veloce. In una “stanza degli scrittori” va tutto veloce. Ciò che non va veloce è la parte prima di scrivere. E poi, quando sai cosa vuoi, sì, va tutto spedito. E così anche per Mel, e per la maggior parte degli autori che ho conosciuto».
Il cinema
Il cinema è corale: montatore, direttore della fotografia, scenografo, e così via: tutte figure con cui discutere. Un romanziere lavora solo. «Sì, il cinema è difficile perché quando si fa un film tutto è così costoso che non si hanno molte opzioni. Ne hai alcune, sì, ma una volta che le hai esercitate e hai fatto la tua scelta, sei bloccato perché rifare tutto o scegliere qualcos’altro costa troppo. Con un libro, se qualcosa non ti piace, puoi semplicemente strappare la pagina e ricominciare da capo, scegliendo qualcosa di diverso. Scegliere non ti costa nulla. Quindi in realtà un romanzo ti fa impazzire perché hai un milione di scelte per ogni piccola cosa che fai. In un film o in uno spettacolo teatrale, invece, non hai questa libertà. Sei automaticamente vincolato da limiti pratici. Ammiro quei romanzieri che hanno scritto grandi libri ai quali hanno lavorato per anni e anni. Ora capisco quale fosse il problema. La possibilità di cambiare sempre tutto, senza fine, volendo».
«Nella vita si prendono soprattutto decisioni giuste, solo che quelle sbagliate risuonano di più dentro di noi»
Una delle cose più struggenti del romanzo è che Allen ci mostra, pagina dopo pagina, che l’intelligenza non ci protegge dalle scelte sbagliate. E persone molto intelligenti come Baum continuano a commettere gli stessi errori. In serie. «Beh, in realtà si fanno molte più scelte giuste se ci pensa bene. È solo che quelle sbagliate risuonano in modo più profondo nelle nostre vite, con le loro conseguenze. In realtà, consideriamo il corso di un anno: si prendono molte, moltissime decisioni, e la maggior parte di esse sono giuste, e la maggior parte sono buone decisioni. Se se ne prende una sbagliata, diventa così dolorosa, così drammatica, e finisce per mettere tutto in ombra. Quindi sembra che prendiamo molte decisioni sbagliate e immagino che nel corso della vita si possa dire che è vero, prendiamo molte decisioni sbagliate, ma è esagerato dire che non c’è equilibrio. È una sensazione esagerata, perché si prendono molte più decisioni giuste. È solo che quelle sbagliate sono molto più dannose. È la vita: se si sommano tutte le decisioni sbagliate prese in una esistenza ragionevolmente lunga, sarà un numero grande, sì, ma non in confronto al numero di quelle giuste».
La solitudine
Asher nella sua solitudine ha un amico, Weinstock, il suo mentore. Ma in un momento di puro Woody Allen, l’amicizia prende una piega tale da farci capire che l’universo non si limita a deridere la nostra sofferenza, ma deride anche il nostro tentativo di trovarle un significato. Weinstock lascia tutto e se ne va a suonare musica. «Vede, si può condurre una vita di grande profondità intellettuale e lottare con tutti questi problemi senza risposta e fare del proprio meglio, ma alla fine ci sono certe cose nella vita che non possono essere comprese razionalmente. La musica è una di quelle cose positive della vita, ce ne sono molte negative ma la musica è una di quelle positive. Immaginavo questo insegnante, questo brillante intellettuale e filosofo, abbandonare una vita passata a cercare di insegnare alle persone, a cercare di capire le cose e a cercare di portare pace nelle situazioni, rendendosi conto di quanto fosse difficile. B E non è nemmeno un grande musicista. È solo un suonatore di tamburello, ma questo gli dà comunque più piacere che lottare costantemente con domande senza risposta – anche perché quando queste domande trovano una risposta, le risposte non sono molto incoraggianti».
Weinstock dice che la musica fa emergere la «persona selvaggia» che è in lui. Allen tuttora suona il clarinetto con la sua band. «Sì, mi piace moltissimo la musica. Pensare che è qualcosa in cui mi sono imbattuto per caso. Mi è sempre piaciuta la musica fin da quando ero piccolo, ma mi sono imbattuto nel jazz quando ero un adolescente e ha catturato la mia immaginazione e il mio interesse, e ho continuato a seguirlo, e ha portato infinito piacere nella mia vita. Non devo pensare, non devo preoccuparmi di nulla, posso semplicemente suonare, ed è un piacere pre-intellettuale, e come ho detto, è stata una parte importante della mia vita».
«Al contrario di quello che pensa la gente, da ragazzo io ero un discreto atleta, tra baseball e atletica»
Baum costruisce un sistema di valori molto complesso e profondo, cita continuamente filosofi, ma alla fine la filosofia diventa una prigione. L’unica via d’uscita: la follia. Un’idea devastante. «Certamente gli eventi della sua vita, gli eventi del suo particolare bagaglio emotivo, gli causano un dolore insopportabile. I fattori genetici, le circostanze esterne della sua vita lo portano, alla fine, in un luogo insostenibile, un luogo oscuro».
Baum peraltro continua a innamorarsi della stessa donna, con il tema ricorrente del doppio, dei gemelli. Un personaggio che decide alla fine di fare la cosa giusta per motivi che moralmente sono opachi, discutibili, forse malvagi. «È complicato. Baum è, in realtà, colpevole più di quanto lasci intendere. Non è un uomo così terribile, ma mente a se stesso». 
Il romanzo è tanto ricco di idee che potrebbe essere più lungo (un subplot su un caso di presunte molestie poteva essere allargato con facilità). «Credo che questo sia il mio ritmo naturale. So che i registi, quelli molto bravi, hanno un ritmo naturale per realizzare film lunghi, si sentono a loro agio nel realizzare film lunghi, mentre il mio modo di vedere le storie – forse perché la maggior parte dei miei film sono stati comici – punta alla sintesi, perché la commedia deve muoversi molto velocemente e non ci si addentra granché, non ci si possono permettere molte digressioni o molti dettagli. Se lei guarda i vecchi film di Charlie Chaplin, dei fratelli Marx o di Buster Keaton, hanno un ritmo molto veloce, e quindi probabilmente il mio ritmo naturale, derivante dal fare commedia, penso, è semplicemente veloce, quando scrivo qualcosa, sento che dovrei arrivare al culmine rapidamente, altrimenti il pubblico si alzerà e se ne andrà, si annoierà. Quindi sì, il romanzo non è molto lungo per questa ragione. Quando scrivi, vuoi solo andare avanti… In un dramma puoi fermarti, le persone si prendono il loro tempo, fanno grandi discorsi, i loro personaggi si sviluppano nel tempo. In una commedia invece devi continuare a muoverti velocemente, ed è semplicemente la mia natura... Non l’ho deciso io, non ho detto: beh, è una commedia, quindi la renderò veloce. È andata così».
Scrive da 70 anni. È diventato più facile? Allen fa una pausa. «Non lo so. Alcune cose diventano più facili, alcune cose tecniche diventano più facili, ma ciò che non diventa mai più facile è l’ispirazione. O arriva o non arriva. Non hai un grande controllo su questo, cerchi solo di fare del tuo meglio, e l’ispirazione o arriva o non arriva, e a volte pensi che arrivi, e poi fai un film o fai qualcosa, e poi non era così ispirato come immaginavi, ma la tecnica acquisita in anni di esperienza ti permette di lavorare con più sicurezza e più facilità. La vita si evolve. A vent’anni non avrei mai scritto Mariti e mogli perché semplicemente allora non ci avrei pensato, non avevo quella capacità. Ma quando sono diventato più vecchio e ho avuto molta più esperienza e ho vissuto di più, allora l’ispirazione, sa com’è, finisce per abbracciare le tue esperienze».