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 2025  ottobre 17 Venerdì calendario

Mattarella, la difesa dei salari: «Troppi squilibri nelle retribuzioni con manager che guadagnano fino a mille volte più dei dipendenti»

Il lavoro è un diritto e un dovere, è un pilastro della Costituzione e della nostra democrazia. Ma il lavoro, avverte Sergio Mattarella, «sta cambiando» ed è urgente governare i cambiamenti. Il trend dell’occupazione è positivo, purtroppo però non basta, la fase di transizione che stiamo attraversando va regolata, criticità e problemi devono essere affrontati e risolti, le disparità appianate: «Il lavoro oggi procede a velocità diverse. Si creano diaframmi tra categorie, tra generazioni, tra lavoratori e lavoratrici, tra italiani e stranieri, tra territori, tra chi fa uso di tecnologie avanzate e chi non è in condizioni di farlo». Il concetto chiave, che il capo dello Stato scandisce al Quirinale assegnando le Stelle al merito del lavoro per il 2025, è «unità». 

Il fenomeno preoccupante dei «contratti pirata»
Unità (e «ricomposizione») del lavoro come possente fattore di crescita economica, sociale, civile, da cui derivano partecipazione, diritti e benessere. Ma il quadro dell’occupazione in Italia ha tante ombre, che offuscano i dati in positivo ed è sulle ombre che Mattarella richiama l’attenzione di chi il lavoro lo crea e di chi ha responsabilità di governo. I contratti pirata ad esempio, fenomeno che Mattarella definisce «preoccupante». 

Le retribuzioni dei super manager
Le tante famiglie sospinte «sotto la soglia di povertà», nonostante uno dei componenti lavori e questo «mentre invece super manager godono di remunerazioni centinaia, o persino migliaia di volte superiori a quelle di dipendenti delle imprese». E qui il presidente affonda il colpo con severità, chiamando in causa l’esercito di evasori e ricordando che una parte d’Italia vive sulle spalle di chi le tasse le paga per forza: «Sono le entrate fiscali dei dipendenti pubblici e privati, dei pensionati, a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse».
Stipendi troppo bassi che spingono all’emigrazione
Che in Italia ci sia un problema di salari lo ha d’altronde riconosciuto nelle stesse ore anche la premier Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa sulla manovra economica. E anche se Mattarella ha ben chiaro che «non ci sono ricette facili», sprona a raddoppiare gli sforzi, a comprendere che la questione salari «non può essere elusa, perché riguarda in particolare il futuro dei nostri giovani, molti dei quali sono spinti all’emigrazione» perché lo stipendio di ingresso è troppo basso.
I troppi squilibri e le troppe disparità
Magari le cifre e le statistiche non lo dicono, ma c’è il lavoro «prestigioso, appagante, ben remunerato» dei piani alti e ci sono, ai piani bassi, «forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre il limite dello sfruttamento». Nonostante la curva negativa dei salari veda «segnali di inversioni di marcia», ci sono ancora troppi squilibri, troppe disparità: dopo il covid l’economia italiana è cresciuta, ma i salari no, non sono stati adeguatamente difesi, mentre «risultati positivi sono stati conseguiti dagli azionisti e robusti premi hanno riguardato taluni tra i dirigenti». 
Il rimedio non sono le politiche assistenziali
Come porre riparo, proprio ora che il governo Meloni licenzia la sua quarta legge di Bilancio? Non certo inseguendo politiche assistenziali, quanto scegliendo una via di sviluppo e «lungimirante coesione sociale».
Può suonare utopistico, eppure il presidente della Repubblica pone l’asticella il più in alto possibile. La piena occupazione è per il Quirinale «un orizzonte che, oltre la dignità, riguarda la libertà». Lo dice all’articolo 36 la Carta fondamentale e lo ricorda Mattarella, lodando i Maestri del lavoro per la «preziosa opera» in materia di sicurezza a lanciando ancora un appello: «Lavoro non può significare rischio di vita».