Corriere della Sera, 17 ottobre 2025
Intervista a Giancarlo Pagliarini
Che fine ha fatto il vecchio Paglia?
«Continuo a essere impegnato per la riforma federale della Repubblica italiana. Ho cominciato nel 1992 quando avevo appena compiuto 50 anni. Ed è iniziato tutto per caso. Mi sono ritrovato in Senato quasi a mia insaputa».
Giancarlo Pagliarini, per tutti «il vecchio Paglia», classe ’42 – leghista della prima ora, come ama definirsi, e poi tante altre cose ragioniere, commercialista – entra in Parlamento nel 1992 e sta lì 14 anni.
Perché dice di aver varcato l’ingresso di Palazzo Madama per caso?
«All’epoca facevo parte di un’associazione di imprenditori, IDOM (acronimo che sta per Impresa Domani). Giorgio Galli, eccellente studioso della politica, prendeva parte alle nostre discussioni e un giorno disse: “Dobbiamo trovare il modo di fermare la Lega”. Non mi trattengo e gli domando: “Ma noi, caro Giorgio, cosa sappiamo della Lega?”. Ed è così che organizziamo un evento cui prende parte uno dei massimi dirigenti della Lega».
Chi?
«Francesco Speroni, punta di diamante del leghismo dell’epoca, si presenta con cravatta e giacca sgargianti. Intervento lineare e condivisibile, il suo. Sintetizzo: “Noi mandiamo le tasse a Roma e Roma a sua volta le ridistribuisce come vuole. Non è giusto”. Non perdo tempo, scrivo a Bossi: “Se volete vi do una mano”. La mia candidatura nasce in occasione di una cena dopo qualche settimana con il futuro sindaco di Milano, Marco Formentini, quando quest’ultimo decide di indicarmi per un seggio in Parlamento. Scenario che non mi aspettavo anche perché non ero uno di loro. Ma c’è un giallo sul collegio».
Ovvero?
«Formentini mi candida a Milano, ma Bossi si oppone: “No Paglia, tu devi andare a Bergamo”. Mi ritrovo senatore prendendo una barca di voti».
Cosa votava prima di approdare alla Lega?
«O non votavo, oppure sceglievo Marco Pannella. La fascinazione per il mondo radicale è figlia del referendum sul divorzio. Mi sposo con Sarah e viviamo a Clacton on sea. Ma ci lasciamo. Senza quel referendum non avrei potuto risposarmi».
Facciamo un passo indietro, elezioni del 1992, un passaggio spartiacque per la politica italiana fra Tangentopoli, le stragi di Mafia, la fine della Repubblica dei partiti, l’exploit della Lega...
«Tocco con mano che la politica è una cosa strana. Un comunista Ugo Sposetti fa un intervento corretto sul debito pubblico, Pagliarini applaude. I miei compagni di partito si indignano: “Ma perché applaudi, non si fa mai con gli avversari..”».
Voi leghisti eravate il nuovo che avanzava...
«Tutti ci guardavano come fossimo dei marziani. Nei primi giorni in Parlamento interviene per venti minuti un senatore della DC. Fa cinque o sei citazioni in latino. Poi tocca a me e dico: “Non ho capito nulla di chi mi ha preceduto”. Silenzio. Panico».
Chi era Bossi per voi leghisti?
«Un esempio. Rimasi stupito quando venni a sapere che nel 1992 divideva la casa con altri e il suo letto era un divano. E dissi ad alcuni colleghi: “Ostia, il Bossi dorme sul divano”».
Ci racconti qualche aneddoto del senatur..
«C’era un parlamentare piemontese che si chiamava Gipo Farassino. Un giorno a tavola si parlava del più e del meno e uno dei nostri disse: “Capo, Gipo è bravo”. E Bossi: “A suonare la chitarra”. Era così l’Umbert non aveva filtri...».
Lei ancora oggi lo incontra?
«Ogni tanto vado a trovarlo, su a Gemonio. Fa fatica a parlare e a muoversi, ma dagli occhi capisci che “c’è” e capisce benissimo tutto quello che dici».
Come si ritrova ministro del Bilancio del primo governo Berlusconi, per caso anche questa volta?
«Una sera mia figlia Hripsimé mi dice: ma papà, farai il ministro? Non sapevo nulla, lei lo aveva sentito alla tv. Il giorno dopo mi chiama il Cavaliere: “Paglia, lo faresti il ministro”. E io, ovviamente, accetto».
Una curiosità: perché ha chiamato sua figlia così?
«Mia moglie è nata a Milano da due genitori armeni. Il nome di mia figlia deriva dunque da una santa armena. E anche quello di mio figlio, Pusant, è stato scelto perché era quello di mio suocero. A Montecitorio ho fatto riconoscere il genocidio del popolo armeno».
Ma una vecchia volpe come lei che rapporto aveva con Berlusconi?
«Quando si parla del Cavaliere parliamo di una persona che sta fuori dalle categorie. Per farvi capire di chi stiamo parlando. Mi chiamo Giancarlo Pagliarini ma per gli amici più stretti sono Mimmo. Anni dopo l’esperienza al governo mi trovavo a cena a casa di un regista e fra gli altri c’era l’ex moglie di Roberto Calderoli. La quale a un certo punto chiama proprio Berlusconi e gli dice: “Presidente, ti devo passare un vecchio amico”. Il Cavaliere appena sente la mia voce esordisce così: “Mimmo, come stai?”. Stiamo parlando di questo..».
Non sono però mancati i momenti di tensioni tra voi leghisti e i berlusconiani quando vi trovaste assieme al governo nel 1994.
«Berlusconi entrava in consiglio dei ministri e cercava di sdrammatizzare il clima con una serie di barzellette. Dopodiché passava ai sondaggi, teneva a farci sapere il trend dell’esecutivo e il suo rapporto con gli italiani. Appena il cdm iniziava si congedava: “Adesso vi lascio nelle mani di Pinuccio Tatarella e Roberto Maroni”».
Le vostre discussioni ruotavano anche sul calcio, grande passione di Berlusconi?
«Gli dicevo sempre: “Io sono milanista da prima di te”. E lui rideva».
Torniamo all’esperienza da ministro. Fu per lei un periodo difficile tra debito pubblico e dissidi con Berlusconi?
«Il Cavaliere mi ribattezzò Tagliarini. Le racconto: in Puglia vi erano state piogge forti con danni patiti dai pescatori pugliesi. Adriana Poli Bortone, ministro pugliese del governo, aveva richiesto un aiuto a favore dei pescatori, proponendo un risarcimento per barca in funzione della stazza. Scuoto la testa: “hanno perso due mesi di fatturato? Ok. Prendiamo la dichiarazione dei redditi dello scorso anno la dividiamo per dodici e la moltiplichiamo per due. Semplice. Approccio ragionieristico ma corretto”. Ricordo in consiglio dei ministri le reazioni arrabbiate, anche da parte di alcuni di Forza Italia: “Ma sei matto, Pagliarini? Vuoi far pagare le tasse ai pescatori pugliesi? Insomma, li andava così. Successe più o meno la stessa con la società Ponte sullo Stretto».
Qual è la cosa più inaspettata che le è successa negli anni in Parlamento?
«Un giorno mi presento a Montecitorio alle 8 del mattino. Non si poteva entrare. Mi fermo ad aspettare. A un tratto arriva una macchina. Si ferma. Esce il Dalai Lama. Mi presento e cominciamo a parlare».
Ma perché il Dalai Lama era alla Camera?
«Aveva un appuntamento con Luciano Violante. Dopo un pò si può entrare. Saluto il Dalai Lama e vado nel mio ufficio. Dopo circa un’ora ricevo una chiamata: “La desidera il presidente Violante”. Salgo in Presidenza e ritrovo nella stanza di Violante proprio il Dalai Lama che gli aveva detto di aver parlato con me. Mi regala la Katha la sciarpa di seta bianca. Io sono lusingato ed emozionato, non so cosa fare. Allora mi tolgo il fazzoletto verde del Carroccio dalla giacca, glielo regalo e gli spiego il significato».
Come si definisce oggi?
«Un leghista della prima ora».
E adesso che Roberto Vannacci rischia di prendersi la Lega?
«Vannacci è un mio collega».
Collega?
«Perché lui è un generale della Folgore, e io ho fatto il servizio militare nella Folgore tra i paracadutisti. E l’ho fatto perché mi davano 31 mila lire al mese. Mentre ai soldati normali davano due mila lire e qualche sigaretta.
Ma le piace Vannacci?
«No. Però quando ne parlo lo definisco un mio collega...»
Che cosa vuole fare da grande il «vecchio Paglia»?
«Entro dieci anni raggiungerò l’obiettivo di una vita e l’Italia sarà una repubblica federale. Diciamo che andrà in gazzetta ufficiale il 23 aprile del 2035»
Perché il 23 aprile?
«È il giorno del mio compleanno».