Il Messaggero, 16 ottobre 2025
«Roma a vita, io in azzurro? No, grazie»
Mati entra nella sala interviste, è in leggero ritardo, sorride, nonostante le fatiche a cui Gasp sottopone la squadra. Ha la faccia pulita, gli orecchini gli regalano un aspetto maturo. Più da duro. Ora Soulé a Trigoria non è più uno dei tanti, ma uno dei pochi. E la differenza è enorme. Sorride perché questo è un nuovo inizio per lui, da protagonista. La felicità ha aspettato un anno per arrivare. Lui è giovane, ha saputo aspettare, nonostante qualche momentaccio di grande sconforto. Acqua passata. Mati ci racconta la sua storia, fatta di cose semplici, di famiglia, di amicizie, di tanto calcio. E della sue origini: l’Arghentina così è bello sentirla pronunciare. Ha una parte di familiari nati nelle Marche, ma il suo vissuto è a Mar de la Plata, la ciudad feliz, la città felice o semplicemente la feliz.
Ora è felice, Soulé?
«Sì, sto bene, sono contento per questo inizio di stagione, è stato bello arrivare con quindici punti alla sosta. Sappiamo che dobbiamo migliorare tanto ma ci stiamo adattando a quello che vuole il tecnico. Rispetto ai primi mesi della passata stagione è cambiato tutto: a livello personale sento tanta fiducia che ho iniziato ad avvertire con l’arrivo di Ranieri. Grazie a lui sono tornato tranquillo, è stato fondamentale».
Gasperini ha dichiarato ultimamente che la Roma non dispone di una rosa da Champions e la classifica è abbastanza casuale. È d’accordo?
«Penso dica la verità, non siamo ancora da Champions ma vogliamo ambire ad arrivare a quel livello. È importantissimo per noi, è il nostro obiettivo primario. Non ci dobbiamo ancora esaltare, sono le prime partite e bisogna pensare soltanto ad essere continui».
Lo scorso anno Ranieri l’ha fatta giocare a tutta fascia, un ruolo che non è proprio il suo. A cosa pensava in quei momenti, aveva la percezione che quel lavoro la stesse aiutando?
«Fare il quinto mi ha aiutato tanto a capire diverse situazioni, diversi stili di gioco, che ora posso interpretare durante le partite. Ovviamente ci sono ruoli che mi piacciono di più, come quello che sto ricoprendo ora. Gasperini, dopo avermi visto giocare in quel modo con Ranieri, mi ha detto che qualche partita potrei essere utile anche lì e non ho problemi, c’è la mia massima disponibilità, come sempre».
Lei è un ragazzo molto giovane, ma ha già avuto diversi allenatori: Allegri, Di Francesco, De Rossi, Juric, Ranieri, ora Gasperini. Cosa le hanno dato questi tecnici?
«Con Allegri non ho giocato tanto ma mi sono allenato e mi teneva sempre in considerazione. Lui ad esempio mi ha insegnato la compattezza, si dice così? Non voleva che entrassero i palloni: se provi ad uscire palla al piede e questa passa al di là della linea, è capace d’impazzire anche in allenamento. Allegri però è anche quel tipo di allenatore che lascia piena libertà in fase offensiva, puoi fare ciò che ti riesce meglio, come del resto fanno i grandi allenatori come lui, Ranieri, Di Francesco, Gasperini. Se fai bene la fase difensiva, il gol in qualche modo arriva, i grandi allenatori sono soprattutto quelli così. Di Francesco e Gasperini sono più simili tra loro, più tattici, vogliono che giochi la palla, amano averne il possesso. Ma l’attenzione alla fase difensiva è massima con tutti loro».
È vero che Allegri le ha fatto tagliare i capelli?
«Sì, ero appena tornato dall’Argentina e lì era inverno. Me li ero fatti un po’ crescere e tinti di biondo. Il primo giorno non mi disse niente. Poi, il giorno dopo, si arrabbiò non ricordo per cosa, e all’improvviso mi disse che dovevo tagliarmi i capelli altrimenti potevo anche non presentarmi più. Io ero piccolino, figuratevi, concluso l’allenamento sono subito corso dal barbiere».
Lei è molto attaccato alle sue radici, ha sofferto il passaggio in Italia? Ha mai pensato di aver fatto la scelta sbagliata quando aveva sedici anni?
«Sono arrivato con papà, mamma e mio fratello, ero minorenne, non potevo venire da solo. È stato un cambiamento radicale, una scelta che ha coinvolto tutti. È stato difficile lasciare il resto della famiglia in Argentina, tra cui mia nonna, ma mi hanno seguito nel mio sogno. A nonna piaceva molto il calcio, non si dispiacque troppo perché era felice per me. È venuta a mancare due anni fa, mi manca».
Ha detto no alla Nazionale ai tempi di Spalletti? È cambiato qualcosa dopo l’apertura che ha fatto il suo agente qualche giorno fa?
«No, è tutto uguale. Mi sento argentino, sono argentino. Lo dissi anche a Spalletti, che ringrazio. La mia idea è sempre quella, giocare con l’Argentina. Forse il mio procuratore era un po’ arrabbiato quando ha letto le convocazioni di Scaloni. Ma nessuno dell’Italia mi ha più ricontattato e anche lo facessero direi “no grazie”. La mia idea, quella di sempre, è di giocare per la Seleccion. So ovviamente che non è facile perché ci sono molti giocatori forti lì. Mi fa ovviamente piacere l’interesse di una nazionale forte, storica, come quella italiana, ne sono orgoglioso ma non cambio idea. Vorrei giocare per la squadra del paese in cui sono nato».
Che effetto le fa vedere Retegui che canta l’inno italiano?
«È un po’ strano, anche io ho la doppia cittadinanza. Però per me sarebbe strano».
Il ct Scaloni l’ha chiamata?
«No, non ho parlato ancora con nessuno».
Ci ha emozionato il video in cui lei regala la casa ai suoi genitori a Mar del Plata.
«Non ci credevano, mamma si è commossa, papà non riusciva a parlare. Ho fatto tutto sei mesi prima, senza dire nulla a loro. Lo volevo fare da tanto anche perché noi non avevamo una casa di proprietà in Argentina, quella a Mar del Plata era di mia nonna, non avevamo niente. E da quando ero piccolo sentivo sempre dire ai miei genitori che sarebbe stato bello avere una casa lì, un sogno. Loro non mi hanno mai chiesto niente ma appena ho avuto la possibilità non potevo non accontentarli».
Un gesto di ringraziamento, il suo?
«Sì, mi hanno sempre accompagnato nella mia carriera. Mio padre ha lavorato una vita come postino, dalle 7 di mattina alle 9 di sera, ad un’ora da casa. Ad un certo punto ha cominciato a lavorare anche mia madre, alla famiglia servivano dei soldi in più. Hanno fatto tanti sacrifici per me, non ultimo quello di lasciare tutto in Argentina e seguirmi. Era il minimo che potessi fare per loro».
Ma è vero che quando si è trasferito in Italia ha fatto arrabbiare i tifosi del Velez?
«Sì, sono rimasto chiuso nel pensionato, prima che papà mi venisse a prendere. Ma non sono scappato, non avevo ricevuto nessun contratto, non sapevo niente all’epoca».
Che vi siete detti nello spogliatoio dopo aver sbagliato tre rigori con il Lille?
«Ero arrabbiato, è stata durissima arrivare a casa e provare a non pensarci. Sono però contento di aver ricevuto il sostegno di tutti, da Pellegrini a Mancini e Dybala. L’ho tirato malissimo, volevo aprire il piatto ma non calciando così piano e a mezza altezza. Se ricapiterà li tirerò nuovamente. Mi piace calciarli».
Il gol da romanista al quale è più legato? E perché state trovando così tante difficoltà a segnare con un allenatore così offensivo come Gasperini?
«Allora come gol scelgo senza dubbio quello al derby. Per il resto stiamo lavorando, non è facile, ma sono ottimista, è solo questione di tempo. Poi lo sapete, quando gli attaccanti iniziano a segnare non si fermano più. A volte ci manca la lucidità per fare la scelta giusta, ma comunque anche vincendo 1-0 si prendono i 3 punti e penso che stiamo facendo bene»
Alla fine è riuscito a organizzare il pranzo con De Rossi?
«No, ancora no. Lo volevo invitare a casa a pranzo, a lui piace l’asado, ma ancora non è successo. Devo farlo però, me lo riprometto. Daniele è una grandissima persona, ci sentiamo spesso. Peccato averlo avuto solo per quattro partite, è lui che mi ha portato qui. Quando è stato esonerato ho vissuto un momento molto difficile. Arrivi, in un posto nuovo, in una città grande, in un club importante e l’allenatore che ti ha voluto se ne va. Vi assicuro che non è stato facile da digerire».
Quanto le manca Paredes? E pensa mai che c’è il rischio che questo potrebbe essere l’ultimo anno che gioca con Dybala?
«Leo ci manca, noi tre eravamo sempre insieme, spesso era lui che “tirava” il nostro gruppo di argentini. Senza di lui è diverso, anche se sto sempre insieme a Paulo. Giochiamo alla play, lo sento più della mia ragazza. Non so se sarà il suo ultimo anno alla Roma, io sinceramente spero rimanga a lungo qui».
Insieme a lei?
«Certamente, mi vedo a lungo nella Roma. Penso che sia il sogno di tutti, ambire a tagliare certi traguardi con questa maglia. Se chiudo gli occhi mi immagino di essere qui a vita. Poi lo so da solo che le cose possono cambiare ma il mio desiderio è questo».
Sabato all’Olimpico arriva l’Inter, che effetto le fa affrontarla da primo in classifica?
«So solo che la settimana scorsa abbiamo corso tantissimo, sembrava fossimo ancora in ritiro, ci credete che dobbiamo ancora preparare la partita? Lo faremo bene in questi giorni, sarà un test importante per capire a che punto siamo. Essere primi sarà pure casuale, ma noi vogliamo restarci. Ragioniamo partita per partita, ma queste sono le gare che dicono quanto vali».
Il pericolo numero uno dei nerazzurri è Lautaro, prima o poi farà coppia con lui in nazionale?
«È un grandissimo giocatore, ha fatto benissimo. Ho sentito che torna prima per essere all’Olimpico, speriamo che arrivi dopo... È una bravissima persona, abbiamo parlato tanto. Se mi vedo con lui in nazionale? Sì potrei farlo, giocare sottopunta con lui centravanti, per me non c’è problema».
Quanto le ha dato fastidio il paragone con Iturbe?
«Quelle cose fanno male. Soprattutto lo scorso anno non volevo leggere nulla ma poi alla fine arrivano comunque. L’importante però è la testa, non ho mai mollato, anche quando non giocavo. È stato importante quel momento, esserci mentalmente. Non avevo iniziato bene, avevo tante aspettative su di me, volevo fare in 10 minuti quello che si può fare in 90, e non andava mai bene. Per fortuna è arrivato Ranieri: all’inizio mi vedeva in allenamento e quando avevo il pallone tra i piedi mi diceva “eh sì, fatte un altro giro...”. Poi mi ha preso da parte e mi ha detto – visto che le cose non mi riuscivano – di cercare la semplicità, e che tutto sarebbe arrivato da solo. Mi ha dato tranquillità, mettendomi in campo e dandomi fiducia».
Gasperini invece cosa le chiede?
«Rispetto a Ranieri hanno uno stile diverso. Vuole che giochiamo la palla, che triangoliamo con il centravanti, che gli attaccanti siano sempre dentro al gioco e mai di schiena rispetto alla porta. Abbiamo lavorato anche sulle posture, sulla posizione del corpo. Ormai abbiamo capito che dobbiamo guardare sempre in avanti ma questo vale per tutti, anche per i difensori. Poi è un tecnico che lascia la libertà di fare ciò che sai fare meglio. Ovviamente ti dà delle regole, delle indicazioni, ma all’interno di queste puoi fare quello che ti riesce meglio. L’essere libero è fondamentale per me».
Lei segna soltanto gol belli, tra l’altro molto simili tra loro. Quando inizierà a farne di brutti?
«A me basta segnarne tantissimi, prima o poi comincerò anche con quelli sporchi. Ora sto più dentro l’area rispetto a tempo fa, Gasperini mi urla sempre di fare un passo in avanti. Se non lo facesse, magari a Pisa non avrei segnato, perché ero abituato a stare qualche metro più dietro. Ma anche con il Verona, lo scorso anno quel pallone sarebbe finito in calcio d’angolo e invece c’ero io e l’ho messa dentro. Ecco, quello non era fantastico».
Lo scorso anno lei arrivò a Trigoria ed era l’alternativa a Dybala. Oggi sembra che sia il contrario. Che effetto le fa?
«No, no, non scherziamo. Io penso solo a sfruttare al meglio le possibilità che ho. Ma Paulo è di un altro livello. In Argentina diciamo “No le puedo ni atar los cordones” che equivale all’espressione italiana “non posso allacciargli nemmeno i lacci delle scarpe”. È stato infortunato per tanti mesi, ha cominciato piano, per lui non è facile, non lo è neanche per quelli che stanno bene. Ora sta tornando al 100% e non vedo l’ora. Abbiamo un rapporto speciale, ci cerchiamo, dentro e fuori dal campo».
È giusto dire che la partita della svolta per lei alla Roma è stata quella Parma? Con quella punizione bellissima e tirata in maniera molto particolare: a proposito si ispira a qualcuno?
«No, faccio quella rincorsa da sempre, le calcio in modo strano, lo so. Ognuno ha il suo sistema. Non ho un modello di riferimento particolare, mi sento più comodo a calciarle così. Penso di sì comunque, che sia stata quella partita ad aiutarmi. Anche se non va dimenticata quella con l’Eintracht a gennaio in Europa League, quando giocavo poco, c’erano su di me il Fulham e il Bologna. Dopo la partita parlai con il mister e mi disse di rimanere, io ero pronto a lasciare la Roma»