il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2025
“Io e Bonco tra Battisti e Stones”
“Fummo noi a lanciare i Rolling Stones in Italia. Quando trasmettemmo in anteprima la ‘lacca’ di Con le mie lacrime, un dirigente della Decca mi invitò a telefonare a Mick Jagger a Mykonos. Sentii un tale bordello dall’altra parte che fui costretto a riattaccare. Mi inventai uno sketch: ‘Mick è un bravo ragazzo…’”.
E i loro rivali Beatles, caro Renzo Arbore?
La Rai li aveva classificati come “complesso vocale e strumentale inglese con difetti di intonazione”.
Alle 17:40 del 16 ottobre 1965 lei e Gianni Boncompagni rivoluzionaste la radio con la prima puntata di Bandiera Gialla.
La radio, e c’era solo quella della Rai, pareva la sorella morta della tv. Era ancora quella del Ventennio. I programmi venivano scritti, quindi declamati da annunciatori, virgola per virgola. Noi fummo autorizzati a mandare in onda i nostri dischi americani e inglesi, il rock, il soul, il rhythm’n’blues. Con la complicità di un gruppetto di funzionari in cui spiccava Maurizio Riganti: ogni volta che in un brano c’era una parolaccia lui tossiva o impallava il microfono, ed evitavamo censure. Il titolo Bandiera Gialla lo coniò Luciano Rispoli.
Fu anche quella un’intuizione, Le bandierine del pubblico in sala M per decretare il trionfo di una canzone.
La gara ci permise di mandare in soffitta la regola Rai secondo cui un pezzo poteva passare solo una volta ogni 15 giorni. Il “disco giallo” diventava un marchio di qualità, eravamo potenti, corteggiatissimi. La RCA mi affidò il compito di tradurre in italiano i successi dei Temptations, dei Four Tops, di Little Stevie Wonder. Un loro dirigente andò a Detroit e tornò con i 45 giri nella nostra lingua.
La prima sera chi vinse?
Wooly Bully di Sam The Sham & The Pharaos. Poi facemmo conoscere Bob Dylan, i Mamas & Papas, i Jackson 5. E naturalmente i Camaleonti, Equipe 84 e tutti i nostri complessi di capelloni.
Lei inventò di sana pianta il termine “beat”.
Arrivò il ’66, dissi a Gianni: non possiamo più parlare di musica “yè-yè”, è ridicolo, quella era Catherine Spaak. Il nostro è il filone “beat”, ritmi in battere come il jazz. E come la Beat Generation di Kerouac. Ricorda pure i Beatles. Alberico Crocetta del Piper ci venne dietro con la moda, aprendo il Beat Market in piazza Euclide. Via Margutta era diventata la Carnaby Street romana.
Più la primogenitura della generazione dei “giovani”.
Fino a quel momento esistevano i ragazzi in attesa di diventare adulti. Leggevano L’Intrepido, Il Monello, Topolino. Noi, di concerto con gli editori, agevolammo la nascita di settimanali come Giovani, Big, eccetera.
Più l’altra sua altra trasmissione leggendaria, Per voi giovani.
Visto il successo di Bandiera Gialla mi chiesero una seconda idea. Io: ok, ma la voglio quotidiana. Mi risposero: di quotidiano c’è solo il giornale radio. Poi si convinsero.
Nel pubblico di Via Asiago tanti teenager divenuti famosi.
I giornalisti dell’epoca scrissero di “galline strozzate”.
A chi si riferivano?
A Loredana Berté che gridava per l’entusiasmo. C’erano pure Mita Medici, Barbara Palombelli, Clemente Mimun, Roberto D’Agostino, Dario Salvatori, Flavia Frazzi, e Renato Fiacchini non ancora Zero: già lo si notava.
Ne scopriste, di talenti.
Checché ne dica Mogol, fummo noi a convincere Battisti a cantare. Lui scriveva già per altri, vedi i Dik Dik, ma era restio a far sentire la voce. Si schermiva: “Sono più stonato di Giulio”. Così mi procurai una chitarra Eko da due soldi e lo incoraggiai a eseguire un pot-pourri delle sue cose, Dolce di giorno e le altre. Con quelle registrazioni divenne Battisti.
L’annuncio prima della sigla, “A tutti i maggiori di anni 18, questo programma è rigorosamente riservato ai giovanissimi” era giocosamente allarmante.
Lo leggeva Gianni, che era scatenato. La sua improntitudine mi trascinò, io ero timido. Fece cambiare pure gli altoparlanti, che erano visibilmente dei tempi del fascio. Mai accaduto che gli ascoltatori si imbattessero in due voci cariche di accento, l’una aretina, l’altra appulo-napoletana. Eravamo i primi disk-jockey della storia nazionale. La sigla era T-Bird di Rocky Roberts: lo avevo conosciuto in un locale di Napoli dove suonavo, l’USO, frequentato da soldati americani.
Fece epoca pure il brano-tributo di Gianni Pettenati.
Era una cover di The pied piper di Christian St.Peters, incisa per la Fonit della Rai. Divenne lo spunto per un musicarello dedicato a Bandiera Gialla, con lo stesso Pettenati, non fu mai la nostra sigla.
Il programma finì nel ’70, quando già eravate alle prese con Alto Gradimento. Ma suona ancora modernissimo.
Togliemmo la polvere alla vecchia radio, e le regalammo nuova vita. In Rai e in tutte le emittenti private venute dopo.