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 2025  ottobre 16 Giovedì calendario

Università, per gli studenti tasse fuori norma in nove atenei italiani. Il rischio dei ricorsi

Ci sono università in cui gli studenti, complessivamente, pagano troppo. Cioè le tasse della contribuzione studentesca sforano, in totale, i limiti di legge. In Italia sono nove, praticamente tutte al Nord.
Le organizzazioni studentesche e in particolare l’Udu, l’Unione degli universitari, lo sostengono da tempo. Un ricorso ha portato, nel 2024, a una sentenza del Consiglio di Stato che ha condannato l’università di Torino a restituire 39 milioni di euro ai propri iscritti.
Stavolta è diverso: a certificare lo sforamento è un monitoraggio del ministero dell’Università e della Ricerca.
Ma andiamo con ordine. Tra le voci rilevanti del bilancio di ogni ateneo c’è la contribuzione studentesca, un’entrata che le università incassano dalle tasse e dai contributi universitari pagati dagli studenti in quote variabili a seconda dell’Isee, al netto di esoneri, riduzioni, borse di studio.
Come funziona
Ogni ateneo, in base all’autonomia gestionale, decide l’importo delle tasse. Una legge del 1997 (il Dpr 306/1997) stabilisce che il gettito da contribuzione studentesca non possa superare il 20% del Fondo di finanziamento ordinario erogato dallo Stato per evitare, spiega chi lavora ai dossier, che gli atenei coprano in misura eccessiva i costi con i contributi studenteschi, limitando squilibri tra università grandi e piccole o tra territori più e meno ricchi.
Analizzando i bilanci, ogni ateneo ha chiaramente un valore diverso che misura quanto le tasse studentesche pesino rispetto ai trasferimenti ministeriali: alcuni si avvicinano al tetto, altri restano più bassi, altri lo superano. Spetta agli organi interni di controllo vigilare. Le università che esondano dal limite del 20% sono considerate, a rigor di legge, “fuori norma”.

I nove atenei fuori norma
Secondo la ricognizione del ministero sono nove: il Politecnico di Milano (34,81%), l’Università dell’Insubria (27,87%), Ca’ Foscari a Venezia (24,65%), Milano-Bicocca (22,64%), Padova (22,06%), Iuav Venezia (20,42%), Modena e Reggio Emilia (20,32%), Pavia (20,22%) e Brescia (20,09%).

Ora gli esiti di questo monitoraggio sono arrivati sul tavolo della Crui, la Conferenza dei rettori delle università italiane, a cui il ministero dell’Università e della ricerca ha voluto scrivere una lettera. Il tema va affrontato.
Se per l’Udu non si è mai trattato, sostengono, «di una battaglia contro i singoli atenei», arrivata in pochi casi in tribunale (oltre Torino, anche Pavia), ma di «una denuncia utile ad abbassare le tasse e dunque estendere il diritto allo studio», facendo pressione sul governo affinché aumenti in maniera sostanziale «i contributi a livello nazionale per colmare il mancato gettito derivante dagli esoneri totali o parziali», uno dei nodi su cui si ragiona al ministero è la struttura stessa del Fondo di finanziamento ordinario: è considerata troppo rigida per gli atenei. L’idea è che ampliando la quota di risorse non vincolate, la programmazione e la distribuzione dei finanziamenti ministeriali diverrebbe più agevole per le singole università. D’altronde l’idea che i «fondi vadano spesi bene», anzi meglio, è un cavallo di battaglia di Bernini che su questo, in passato, si è anche scontrata con i rettori che chiedevano maggiori finanziamenti.

Intanto sui vincoli, un tavolo di confronto, che coinvolge gli studenti, è stato pure aperto per colmare l’assenza di un decreto attuativo sul rapporto tra Ffo e contribuzione studentesca. Uno dei dubbi applicativi riguarda ad esempio il calcolo della contribuzione degli studenti fuoricorso: rientra o no nel limite del 20%? Nel rispetto dell’autonomia universitaria, l’obiettivo del gruppo di lavoro sarebbe quello di scrivere criteri condivisi e uniformi a livello nazionale per garantire ovunque una corretta attuazione della disciplina.