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 2025  ottobre 16 Giovedì calendario

Linea dura sulle banche, verso una tassa strutturale. La maggioranza si divide

Ora la richiesta si fa più pesante. Il governo vuole “risorse a regime” dalle banche. “Non interventi una tantum”, aggiungono fonti dell’esecutivo per spiegare il cambio di postura maturato nelle ultime ore. Tradotto: una tassa che garantisca entrate certe e permanenti. Una misura che romperebbe l’accordo politico di maggioranza sul contributo da concordare con l’Abi. Molto più del ritocco dell’imposta per sbloccare le riserve (exit tax), idea già respinta dagli istituti di credito.
La carta è tenuta coperta, pronta a uscire se la trattativa non porterà frutti nelle prossime ore. Anche se dovrà fare i conti con il rigetto di Forza Italia contro nuove tasse. Ribadita ieri: “Le banche possono dare un contributo, bisogna però che non sia imposto ma concordato: sono contrario a infliggere tasse”, ha detto il leader degli azzurri, Antonio Tajani, richiamando le rassicurazioni del titolare del Tesoro Giancarlo Giorgetti.
L’irrigidimento del governo prende forma dopo la nuova fumata nera al tavolo del Mef di ieri. Da una parte il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, dall’altra la delegazione dell’Abi guidata dal direttore generale Marco Rottigni.
Le posizioni restano distanti, a ridosso del Consiglio dei ministri, in calendario domani alle 11, tanto che a sera in ambienti di governo circola l’ipotesi di rinviare la riunione a lunedì, ultimo giorno utile per approvare la Finanziaria e trasmetterla al Parlamento.
Così, mentre oggi le interlocuzioni proseguono a oltranza, restano in gioco altre ipotesi.
La “exit tax”, su cui si ragionava per recuperare il gettito sui 6,2 miliardi di utili bancari messi a riserva dal settore dopo la legge 2023 sugli extraprofitti. Quei fondi, se veicolati verso la distribuzione agli azionisti con una tassazione agevolata del 26% (rispetto al 40% della norma) porterebbero circa 2,8 miliardi alle casse pubbliche: ma la misura non piace agli istituti, poiché ne intaccherebbe i patrimoni e i conti.
L’altra soluzione sarebbe un aumento dell’addizionale Ires, ma non pare ottimale, perché le banche già pagano il 3,5% più delle altre imprese, per un passato rincaro che doveva essere transitorio, e se ritoccato ancora potrebbe snaturare l’imposta.
Poi ci sono le misure sulla liquidità, le uniche per cui i banchieri riuniti nell’Abi hanno dato mandato unanime a trattare a Rottigni. Sarebbe, di fatto, una replica dei 3,4 miliardi pattuiti nel 2024 (2,1 miliardi quest’anno, 1,3 il prossimo) grazie al mancato utilizzo delle “Dta” diventate crediti fiscali. Una modalità che l’Abi è disposta ad ampliare, anche anticipando altre forme di pagamento. Ora però il governo sembra chiedere di più: non forme di prestito a tasso zero, ma un obolo più strutturale e di stampo più politico.
All’ipotesi le banche si preparano con malcelato fastidio, e senza volontà di sottoscrivere, anzi riservandosi le iniziative di tutela, istituzionali e legali, già esibite per vanificare la “tassa extraprofitti” del 2023. Anche il settore assicurativo si è sentito bussare alla porta dal Fisco, che l’anno scorso impose un bollo sulle polizze vita da 2,5 miliardi su più anni (500 milioni sul 2026). Il presidente dell’Ania, Giovanni Liverani, è tornato a confrontarsi con le istituzioni per trovare altre risorse.
Intanto in Borsa i due settori continuano a soffrire. Bper ha ceduto il 3%, Banco Bpm e Mps oltre il 2%, Generali e Unipol circa il 3%. In due sedute l’effetto è circa 10 volte l’impatto stimato dalle nuove misure, perché “il tema è delicato per chi investe e si riflette sul costo del capitale”, ha scritto Mediobanca research.