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 2025  ottobre 15 Mercoledì calendario

Concessioni, investimenti e guadagni Cosa c’è nella partita dell’idroelettrico

Extraprofittatori. L’accusa all’industria idroelettrica di macinare utili è ritornata sui giornali nei giorni scorsi, mentre nel governo si discuteva animosamente del “prelievo” da imporre alle banche. Al di là della coincidenza un filino sospetta, che lascia intuire il superlavoro dei lobbisti degli istituti di credito, il sasso ha fatto sollevare un bel po’ di fango dallo stagno, riaprendo di prepotenza il dibattito sul rinnovo delle concessioni per gli impianti superiori ai 3000 kW. Qualcuno, infatti, si è premurato di far notare che il governo Draghi, sensibilissimo alle norme europee sulla concorrenza, ha aperto la strada alle gare, ma il centrodestra è tentatissimo dalla cosiddetta “quarta via”. Si tratta di un’opzione aggiuntiva alle soluzioni previste dalla normativa per gestire gli impianti idroelettrici – società mista, partenariato pubblico-privato (project financing) e, per l’appunto, gara – che permetterebbe alle Regioni, cui spetta la scelta, di riassegnare la gestione degli impianti agli attuali concessionari (Enel, Edison, A2A, Iren…) attraverso una negoziazione prioritaria su investimenti e compensazioni territoriali. In realtà, finora hanno istruito delle gare solo Lombardia, Piemonte e Abruzzo, tutte governate dal centrodestra, e sui primi bandi avviati fioccano i ricorsi. Insomma, la realtà è più complessa (come al solito) rispetto al quadro disegnato dalla chiacchiera politica.
Quella della gara, oltre ad esser prevista dalle norme del Pnrr, è stata sicuramente una strada obbligata fino al 2021, cioè finché pendeva la minaccia di una procedura di infrazione da parte dell’Unione europea, minaccia ritirata proprio in quell’anno. Ufficialmente, perché la Commissione si è convinta che la gestione dell’idroelettrico non comportasse un tema concorrenziale; in realtà perché l’energia è un settore strategico e non ci si fida di gestori stranieri o, peggio ancora, di anonimi fondi d’investimento. Le gare bandite in Lombardia si sono ritrovare dunque a creare un’asimmetria tra le multiutility italiane: se arrivassero in fondo ci vedremmo soffiare il mercato da svizzeri e slovacchi, senza poter mettere il naso negli impianti d’Oltralpe.
Resta un fatto: entro il 2029 scadrà circa l’86% delle concessioni. L’ostacolo principale a trovare una soluzione spedita è la teoria del complotto finanziario: i bilanci in questo settore sono complessi ed è difficile capire quanto sia remunerativo l’idroelettrico; secondo i detrattori, le multiutility realizzano margini tra il 50 e l’80 per cento, cifre contestate dal settore; sicuramente gli investimenti realizzati nei decenni su dighe e impianti non sono tutti ammortizzati perché anche se alcuni sono molto datati bisogna considerare i costi elevati delle manutenzioni e degli aggiornamenti tecnologici, soprattutto per l’efficientamento e la sicurezza, nettamente superiori a quelli necessari per eolico e fotovoltaico; anche il peso delle concessioni sulla bolletta del consumatore è oggetto di dibattiti infiniti quanto inconcludenti. La paura che la negoziazione della quarta via porti a un suk delle concessioni è nell’aria ma la partita è troppo importante per fermarsi alle chiacchiere. Non foss’altro perché, in attesa di una decisione, negli impianti avviene solo la manutenzione ordinaria.
Parliamo di un settore che oggi conta oltre 4.300 impianti e 15.000 addetti, utilizza una risorsa pubblica – l’acqua -, con la quale garantisce il 20% della produzione di energia elettrica, e rappresenta oltre il 40% della rinnovabile, copre il 15% dei consumi elettrici nazionali e vale 37 miliardi di euro di produzione e 19 miliardi di export (dati tratti da “Energia dall’acqua, forza e sicurezza del Paese: Il ruolo strategico dell’idroelettrico per l’Italia”, TEHA Group 2025). Il vero plus dell’idroelettrico, tuttavia, è un altro: si tratta dell’unica fonte programmabile nel bouquet delle rinnovabili e può risolvere il problema della discontinuità produttiva di solare ed eolico, proprio come farebbe l’energia nucleare. Oggi si calcola che sciogliere il nodo delle concessioni sbloccherebbe 16 miliardi di euro addizionali tra indotto diretto e indiretto, incrementando la produzione rinnovabile del 5% e generando 18,5 miliardi di euro di PIL addizionale con la creazione fino a 20.800 posti di lavoro aggiuntivi. Ad impedirlo sembrerebbe esserci il Pnrr: l’Italia si è complicata la vita perché nel trattare il megaprestito del Pnrr il suo governo – unico in Europa – si piegò ad inserire le gare per le nuove concessioni idroelettriche fra gli impegni del Paese, allo scopo di stoppare proprio quella procedura di infrazione che poi fu archiviata. Ora si tratta “solo” di rinegoziare quell’impegno.
Chi è prontissimo a rinegoziare tutto sono i gestori delle 500 dighe in attesa di rinnovo. Li accusano di ingordigia ma c’è di mezzo sia un interesse pubblico che i bilanci di società partecipate da enti pubblici e un livello di tecnologie che richiede un livello di preparazione e di competenze specifiche non alla portata di tutti. In effetti, rinegoziando i contratti, le Regioni potrebbero persino scoprire che non c’è da rosicchiare tutto quel che si dice: riferendosi proprio le gare lombarde, dal mondo delle multiutility si fa sapere che i costi obbligatori per il concessionario, che l’industria energivora stima in 20 euro a MWh sono talmente superiori che i bandi gara già avviati individuano un costo base di 65 euro a MWh. Insomma, la forbice tra chi usa e chi produce energia è ampia.