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 2025  ottobre 15 Mercoledì calendario

I tormenti del Poggiolini buono e il senso tragicomico dell’omonimia

Le vie della sventatezza istituzionale, per non dire della cialtroneria di potere, sono infinite: ieri il pasticciotto su San Francesco e Santa Caterina, oggi il Parisi sbagliato nella commissione antidoping. Anche in questo secondo caso l’elemento comico reclama il suo primato, ma chi conosca un po’ il Nobel Parisi, formidabile figura di scienziato-poeta, nonché recente autore di un libro di favole ma sempre amabilmente preso dalle sue stesse scoperte come in un cartone animato, ecco, la risata si raddoppia immaginandoselo alle prese con gli atleti che si bombano.
Da Aristofane in poi, come i burocrati della Sanità non sanno, lo scambio di persona è l’insostituibile dispositivo della commedia: alta e bassa che sia, burlesca o di costume, d’intreccio o di caratteri come pure amorosa, lacrimosa, satirica, nera e via dicendo, anche se al dunque questo genere tipicamente italiano si porge al meglio per il suo impatto tragicomico. La innescano cioè situazioni drammatiche che l’equivoco di solito duplica, aggrava e al tempo stesso alleggerisce, vedi quel povero deputato repubblicano, Danilo Poggiolini, che ai tempi di Tangentopoli si chiamava come il mostro della Sanità con gioielli nel puff, Duilio Poggiolini, e che ogni volta era costretto a presentarsi: «io sono il Poggiolini buono» – oltretutto, nemmeno a farlo apposta, si occupava pure lui di ospedali e farmaci.
Quella ferina stagione risveglia, in chi c’era, ricordi di crudele e spassosa omonimia, a cominciare dal volto trasognato di un certo Domenico D’Addario, da Larino, incautamente convocato sotto i riflettori nell’aula del processone Enimont al posto dell’onorevole Amedeo D’Addario; al che il Super Pm Tonino Di Pietro: «In effetti, quello che ho interrogato io mica aveva la barba». Assai peggiori d’altra parte i «venticinque anni di spaventosi incubi» toccati in sorte a un mansueto ragioniere di Palermo a nome Salvatore Riina, prima della cattura del Capo dei Capi.
In tempi più recenti aumentarono la confusione gialloverde ben due Di Maio, uno del Pd e l’altro vicepresidente; così come nella fattispecie nell’ineluttabilità, ma con risvolti di competizione fra marchi, può farsi rientrare la disputa, poi rientrata, che contrappose – ma per davvero – la Vespa Piaggio e il vino “Bruno di Vespa”. Nulla comunque che possa insidiare ciò che accade allorché sotto elezioni l’omonimia si fa spesso tecnica truffaldina. Vedi, a suo tempo, l’epico scontro tra i due Buttiglione, Rocco e Franco, quell’altro fra i due capolista di Rinnovamento italiano, Lamberto Dini e Mariano Dini “detto Lamberto” o il più recente proliferare di liste e listarelle a nome Grillo.
Se non bastassero tali espedienti da micro-politica – per i dettagli si rimanda al lavoro certosino di Gabriele Maestri sui “Simboli della discordia” – vale qui rammentare che quando Andreotti, nominato senatore a vita, non poté più presentarsi alle elezioni, la Dc di Roma andò a caparsi un Francesco Andreotti, di professione oste, per cui subito Pannella per allegra provocazione scovò a Cantù un ragioniere che si chiamava proprio Giulio Andreotti – mentre dall’amena farloccheide si salvò una innocente signora veneziana, Giulia Andreotta, peraltro vittima di continui scherzi telefonici.
Ora, il malinteso dei due Parisi suona particolarmente suggestivo se non altro perché oltre a Giorgio scienziato e ad Attilio rettore, sono a disposizione anche Arturo, detto “Artullo”, inventore dell’Ulivo, e Stefano, manager un tempo in forza a Forza Italia; del resto Vincenzo, “l’Atzeco”, già capo della Polizia, è morto da tempo ed Heather soubrette sembra fuori gioco, ma in Italy non è detto. Il terreno su cui meglio fiorisce la commedia degli omonimi resta comunque quello delle liste; per cui tra i gladiatori c’era un preside di Sassari, all’anagrafe riconosciuto quale Francesco Cossiga, così come una delle più fantastiche leggende berlusconiane vuole che, usciti gli elenchi della P2, immediatamente Silvione cercò di trovare un omonimo che, a buon e generoso bisogno, ammettesse di essere lui iscritto alla loggia di Gelli. Ma ce n’era uno solo e, soprattutto, era un bimbo di quattro anni.