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 2025  ottobre 14 Martedì calendario

"Repubblica", dietro i greci spunta l’Arabia Saudita

Non c’è nulla di firmato e proposte vere ancora non si vedono sul tavolo, è però certo che il dado è tratto: Repubblica, La Stampa e le tre radio che fanno capo al gruppo Gedi sono sulla corsia di uscita. Probabilmente più vicina al casello è La Stampa, per la quale Gedi ha avviato colloqui con il gruppo Nem (Nord Est Multimedia), cui la finanziaria della famiglia Agnelli-Elkann ha venduto nel 2023 i quotidiani del Nord Est (Il Corriere delle Alpi, Il Piccolo, Messaggero Veneto, La Nuova Venezia, Il Mattino di Padova, La Tribuna di Treviso). Nem è il gruppo guidato da Enrico Marchi (presidente di Save, che controlla il Marco Polo e gli altri aeroporti veneti oltre a Banca Finint) a cui partecipano diversi imprenditori del Nord Est, tra cui i Benedetti (gruppo Danieli), i Carraro, la Confindustria di Udine e Vicenza, i Banzato (Acciaierie Venete). Quel che si sa è che fino a venerdì della scorsa settimana l’offerta di Marchi non era ancora arrivata sul tavolo di Exor.
Probabilmente sarà più lunga e complicata la cessione di Repubblica (e delle tre radio, sempre che non vengano scorporate), per la quale i contatti con il gruppo greco guidato da Kyriakos Kyriakou, editore di Atenna TV con interessi che spaziano nei diversi tipi di media e con filiali negli Usa e nel Regno Unito: poco si sa però delle dimensioni economiche delle varie attività, sebbene venga accreditato di notevole forza. L’impetuosa crescita del gruppo, fondato nel 1988, sembra peraltro sia stata favorita anche da copiosi finanziamenti provenienti dall’Arabia Saudita, oggi molto interessata a mettere un piede in Italia, sia pure indiretto.
Dopo un anno di ipotesi varie, la strada sembra segnata. E vede l’uscita di Exor, la finanziaria degli Agnelli-Elkann con sede in Olanda, dal business dei giornali diffusi in Italia. Ma di là di chi saranno i compratori e quando questo avverrà, l’uscita definitiva dal difficile business dell’editoria da parte dell’ex gruppo torinese è ormai data per scontata, sia per i quotidiani Repubblica e Stampa che per le tre radio (Deejay, Radio Capital e m2o).
Un’avventura iniziata cinque anni fa, nel dicembre 2019, con l’acquisto dalla Cir dei fratelli De Benedetti (il padre Carlo aveva ceduto da tempo) della quota del 43% di Gedi per 102 milioni di euro e poi conclusa con l’Opa totalitaria nella primavera del 2020 per un valore complessivo di poco superiore a 200 milioni per la totalità di Gedi. Quella che doveva essere l’epopea di John Elkann come editore si è però trasformata da subito in una estenuante via crucis.
Basti qualche numero. In cinque anni Gedi ha cumulato perdite dirette per 360 milioni di euro. Il primo buco già nel 2020 con una disavanzo secco di 166 milioni; poi 50 milioni nel 2021. Bilancio in pareggio nel 2022 che aveva fatto sperare nell’inversione di rotta. Invece altri 103 milioni di rosso nel 2023 cui si aggiungono i 45 milioni persi l’anno scorso. Se poi si contano le perdite subite nel 2019 (per 129 milioni), data dell’acquisizione del pacchetto di controllo dalla Cir, l’emorragia sfiora la bellezza di 500 milioni (490 milioni per l’esattezza).
Sempre nel 2019 il fatturato consolidato del gruppo era attorno a 600 milioni. A fine 2024 i ricavi erano scesi a 386 milioni. Parte del calo è però dovuto alla continua opera di cessione di testate. Dall’Espresso fino a quelle locali finite a Nem fino al Secolo XIX ceduto al gruppo Aponte.
Ma il grosso coincide con la continua crisi delle vendite (che ha riguardato tutta l’editoria italiana) calate costantemente. E in particolare per Repubblica e La Stampa. Un’emorragia di copie e di fatturato. Il gioiello della corona, Repubblica, portava in casa Gedi ricavi nel 2020 per oltre 220 milioni, a fine 2024 i ricavi si sono fermati a 167 milioni. Copione analogo per La Stampa che si attesta a poco più di 70 milioni.

Quell’ingombrante rosaio di perdite dell’era Elkann che somma quasi mezzo miliardo di euro, non ha però a che fare solo con la crisi dei fatturati, ma anche con strutture di costi pesanti che nonostante continui prepensionamenti, stati di crisi e cassa integrazione hanno finito anno su anno per superare le entrate, mandando in rosso i conti già a livello di margine industriale. Infine, a zavorrare in modo così grave i bilanci, le continue rettifiche dei valori delle testate. Se perdi copie a bocca di barile, i valori dei giornali a bilancio devono essere mano a mano svalutati.

Oggi Repubblica figura nel bilancio di Gedi per soli 65 milioni. Valeva 150 milioni nel 2019. La prima rettifica avvenne proprio quell’anno con un taglio secco di 61 milioni.
Poi l’adeguamento contabile è proseguito in sintonia con la continua perdita di copie fino ai giorni nostri. Idem per La Stampa che sarebbe a bilancio dopo le continue sforbiciate per soli 7 milioni. Valori lontanissimi dall’acquisizione quando le testate (comprese quelle nel frattempo cedute) erano a bilancio per una cifra vicina a 300 milioni.
Una lenta e costante erosione di valori che riguarda tutta la ex corazzata Gedi. Nel 2020 il patrimonio netto del gruppo era di 226 milioni con debiti finanziari netti per poco più di 100 milioni. Nel 2024 il patrimonio netto del gruppo è sceso a 68 milioni con debiti finanziari netti raddoppiati a 200 milioni, di cui 140 in capo a Exor che l’anno scorso per rafforzare il capitale ha pure rinunciato a 40 milioni di crediti verso Gedi. E del resto il progressivo depauperamento di Gedi si vede anche nel bilancio di Exor. Che aveva in carico il gruppo editoriale per poco più di 200 milioni: un valore tagliato fino a 68 milioni nel 2023 e ora risalito a 118 milioni per effetto della ricapitalizzazione effettuata lo scorso anno.
Una vera e propria debacle per il dominus di Exor. Il quale, convinto che i benefici indiretti del controllo dei giornali sui suoi business (leggi Fca-Stellantis) superassero gli oneri di un business in crisi strutturale, alla fine ha gettato la spugna. Troppe perdite, soprattutto se confrontate con il rivale storico, quel Corriere della Sera che invece, con Rcs, ha visto cumulare negli stessi anni utili per oltre 300 milioni. Uno smacco per l’erede di Gianni Agnelli. Che le ha provate tutte allargando il campo con acquisizioni nei social digitali, come Stardust. Un altro bagno di sangue. Già svalutata per parecchi milioni, nel 2024 ha procurato perdite per 4,7 milioni su 4,4 milioni di ricavi con debiti finanziari a quota 7,4 milioni.
Di fatto l’unico vero business vincente sono le radio: da Deejay a Radio Capital a m2o che fatturano oltre 60 milioni con utili totali sopra i 10 milioni. Magra consolazione per chi pensava di nobilitare Exor diventando il primo editore italiano. Un flop che ora pone il problema di minimizzare il più possibile il danno.
Tutto dipenderà dal prezzo che verrà pattuito con i potenziali compratori, che per certo non si tradurrà nelle centinaia di milioni favoleggiate da alcuni, al più si parlerà di un ricavo complessivo entro 120-150 milioni. Sicché Exor nemmeno lontanamente riuscirà a recuperare i soldi investiti in quella che è la Caporetto più clamorosa nel business della stampa italiana.