il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2025
Le paci “sporche”
Una settimana fa a Gaza i palestinesi morivano a decine al giorno per bombe e per fame, a Tel Aviv il governo annunciava annessioni della Striscia e della Cisgiordania e deportazioni dei gazawi, la Flotilla stava per essere fermata dagli israeliani in acque internazionali e le piazze d’Occidente si riempivano di manifestanti per chiedere ai governi di fermare la mattanza. Sembra un secolo: il quadro s’è totalmente e fulmineamente ribaltato, anche se tutti sanno che la tregua non è la pace (il Medio Oriente passa da una guerra all’altra da tremila anni) e sperano che diventi qualcosa di stabile e duraturo. Perché ciò accada, chi ha il potere di decidere dovrà sfoderare più fantasia e pragmatismo delle tifoserie ultrà che si scontrano nell’opinione pubblica con tesi opposte, ma stesso settarismo: quelli che “Israele è sempre stato e sempre sarà così” (come se Netanyahu fosse uguale a Rabin, ucciso da un fan di Bibi e dei suoi nazi-ministri per aver firmato la pace con Arafat) e quelli che “i palestinesi sono sempre stati e sempre saranno quelli del 7 ottobre”. Un antidoto agli opposti fanatismi che cianciano di “pace giusta” mentre la gente crepa è l’approccio di Trump, che è la canaglia a tutti nota, ma almeno un pregio ce l’ha: non è ideologico, non ragiona per pregiudizi, è completamente amorale e dunque non conosce moralismi né “imperi del Bene” da scatenare in guerra contro gli “assi del Male”. C’è da trattare con Hamas? Tratta con Hamas. Con gli Houthi? Con gli Houthi. Con l’Iran? Con l’Iran. Idem con Putin e Xi. Dovremmo scordarci le “paci giuste”, peraltro mai esistite nella Storia, e acconciarci alle “paci possibili”, che sono sempre “sporche”: nascono dal compromesso fra interessi opposti, cioè dalla diplomazia, che deve scontentare un po’ tutti trovando un punto di incontro realistico rispettando i rapporti di forze.
Vale per Netanyahu, che deve ingoiare un accordo firmato in pompa magna da Trump, Erdogan, al Thani e al Sisi che promuove Hamas a poliziotto di Gaza, rinfoderare i propositi di annessione, deportazione, guerra infinita e tornare al voto con un pugno di mosche. Vale per i palestinesi, che devono trovare una leadership spendibile per riavviare il faticoso percorso verso lo Stato, citato sia pur vagamente dal patto Trump (e chissà che Hamas, o come si chiamerà, non si candidi a esserlo rinunciando alla lotta armata e riconoscendo Israele come fece l’Olp: da terroristi a statisti è un attimo, vedi al Jolani in Siria). E si spera che valga pure per Ucraina e Russia, dove gli euro-nani Ue continuano a inseguire la “pace giusta”, cioè la chimera della sconfitta militare russa, mentre Kiev seguita a perdere uomini e territori. Anche lì l’alternativa alla guerra è una sola: la pace sporca.