ilfattoquotidiano.it, 14 ottobre 2025
Gli indigeni fanno saltare il permesso estrattivo nelle Ande. È il primo dietrofront del governo Noboa
Oltre 3mila ettari di terra, nella località ecuadoregna di Quimsacocha, nelle Ande in Ecuador, erano finiti nelle mani della società canadese Dpm, Dundee precious metal, che si era aggiudicata il progetto minerario “Loma Larga”: oltre 1,9 milioni di once in riserve d’oro, più argento e bronzo presenti in minor quantità. Ma c’era un ostacolo: l’attività estrattiva, a pochi chilometri dalla municipalità di Cuenca, avrebbe inquinato le lacune vicine, che forniscono acqua a migliaia di abitanti a sud dell’Ecuador. Tuttavia la Società canadese tira dritto e ottiene il nulla osta al Ministero dell’Ambiente, Acqua e Transizione ecologica – previa consultazione, non meglio documentata, delle famiglie danneggiate – e mette in moto un piano di investimento di 593 milioni di dollari per un’estrazione di 200mila once d’oro annue.
Affare fatto a discapito delle comunità indigene e dai movimenti ecologisti, riuniti nella Federazione di organizzazione di Azuay, insorte con azioni legali e uno sciopero indetto il 22 settembre. “Durerà il tempo necessario, finché i popoli lo ritengano conveniente, fino a ricevere la risposta del governo”, sono state le parole del presidente della Federazione Lauro Sigcha. Il capo di Stato Daniel Noboa prova a fermarli: dichiara lo Stato d’emergenza in una decina di province ma la mobilitazione persiste – rafforzata anche dalla contestazione nazionale in corso, dovute all’interruzione del sussidio al Diesel – e fa saltare l’accordo. Uno striscione: “La salud está primero. La mina al basurero”.
Arriva poi il dietrofront del governo centrale: il primo in assoluto dell’era Noboa. Il Ministero dell’Ambiente annuncia la revoca del permesso estrattivo concesso alla Dundee precious metal sulla base di “relazioni tecniche giunte dalla municipalità di Cuenca e dalla prefettura di Azuay“, che rilevano “rischi per la sicurezza idrica della capitale provinciale e delle aree rurali circostanti” connessi all’attività mineraria, che minaccia dunque “la disponibilità” di acqua nella regione. L’annuncio del Ministero, pubblicato il 4 ottobre, solennità di san Francesco, è stato salutato positivamente dal sindaco di Cuenca, Cristian Zamora, per il quale il progetto “avrebbe prodotto un inquinamento irreversibile per Cuenca, danneggiando e diminuendo l’acqua a disposizione”.
Di contro il presidente e Ceo della Dpm rivendica che il permesso ambientale è stato ottenuto dopo una “lunga procedura” da parte delle autorità ecuadoriane, con studi di fattibilità “eseguiti per garantire alti standard nello sviluppo minerario responsabile della zona di Quimsacocha” e nega qualsiasi “impatto negativo” dell’attività mineraria “nel somministro d’acqua per le comunità adiacenti”. La società canadese, quotata in Borsa a Toronto e Sidney, ora valuta azioni legali e amministrative, anche a tutela dei propri azionisti, sostiene che il “piano ambientale” messo a progetto “rispetta la normativa vigente” e vanta “concrete misure di tutela” degli ecosistemi, con “una gestione responsabile dell’acqua”.
Già in passato Dundee aveva provato a rassicurare l’opinione pubblica garantendo l’impiego di manodopera locale, sostenendo che il 50% dei benefici del progetto spetterebbe all’Ecuador, attraverso imposte, royalties e dazi.
In realtà la Federazione delle organizzazioni indigene non abbassa la guardia e avverte la fragilità strutturale della revoca ministeriale, definendola una “trappola” contro le comunità locali. “Non esiste alcun esempio nel mondo di attività mineraria senza inquinamento”, rivendica la Foa denunciando che il governo Noboa non tiene conto l’esito della “volontà popolare delle comunità” ed è pronto a siglare un “accordo politico” con la Dundee precious metals”.
Nello stesso tempo le comunità locali esigono una verifica più ampia dei progetti minerari ad Azuay, forti anche della Costituzione del 2008, nel cui articolo dieci la natura viene riconosciuta come soggetto di diritto.
In fondo, lo sanno bene a Quito, il braccio di ferro su Loma Larga è solo l’anticamera di un conflitto culturale più ampio tra il Paese voluto da Noboa – appaltato a privati, forze armate e basi militari straniere – e la stagione dei diritti aperta da Rafael Correa, che rischia di essere archiviata.
La battaglia – che martedì si è tradotta nelle sassate alla vetture presidenziale – passa anche delle urne, attraverso il Referendum sull’ammissione di Basi militari straniere – in questo caso Usa e Ue – finora vietate, l’eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti e la diminuzione dei parlamentari che si terrà il 16 novembre. Nello stesso giorno è prevista anche una Consultazione popolare per la formazione di un’Assemblea costituente, chiamata a redigere appunto una nuova Costituzione. È una storia già vista: Noboa, l’outsider, intento a rifondare la Repubblica dalle fondamenta per ricominciare la storia da capo. La “sindrome di Adamo”, come la chiamano da quelle parti, la voglia di essere “il primo”, un tempo spettava ai militari. Ora è il turno degli oligarchi, o dei loro figli.