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 2025  ottobre 14 Martedì calendario

Carlo Feltrinelli: “Abbiamo bisogno di un altro Zivago”

«Sì, ma adesso parliamo i libri». E parliamone. Solo in questo momento, quasi alla fine di un’ora di intervista, il Signor F sembra quasi a suo agio. Quasi. Perché è risaputo che quella appena definita intervista per Carlo Feltrinelli non è, eufemismo, esattamente un piacere. Anzi, solo per educazione non la definirebbe una sottile forma di tortura, cercando invece di mettere a proprio agio l’interlocutore con continui e garbati «non so se ho risposto». Va bene i libri, ma come si fa a non chiedere all’erede di una casa editrice leggendaria, al figlio di due genitori carismatici come Giangiacomo e Inge, proprio mentre il gruppo editoriale festeggia i settant’anni – e in più nella sede della Fondazione, think tank che racchiude nel suo Dna il barlume di quello che il fondatore usava dire del suo impegno editoriale, «responsabilità e necessità» – che cosa pensa di ciò che accade in Italia, in America, nel mondo? E infatti era cominciata così: quanto è rimasto della consapevolezza politica e culturale degli anni in cui nasceva Feltrinelli oggi in Italia? «In Italia direi poca. Perché sono venute meno molte delle agenzie culturali, editoriali, dell’informazione. Quello che rimane è un dibattito pubblico estremamente impoverito e a volte anche disgraziato».
E che cosa è rimasto nella Feltrinelli?
«Noi siamo nati con tre idee di fondo. L’antifascismo “conseguente e coerente”, come diceva mio padre. Non solo cioè denunciare i crimini e le nefandezze del nazifascismo, ma anche occuparsi dei problemi che il fascismo, dopo la sua caduta storica, aveva lasciato irrisolti. Collegare l’Italia alla cultura del mondo e viceversa. Infine un’attenzione costante per le forme di coesistenza tra Paesi con diverse strutture economiche e politiche. Questi presupposti sono rimasti tali e quali, purtroppo in una stagione più cupa in cui il futuro è molto schiacciato sul presente, mentre l’editoria per definizione è qualcosa che riguarda il futuro».
Come far sì che questi presupposti possano incidere?
«Restiamo uniti da un’idea: quella di un’adesione intransigente al campo democratico, quindi contro i populismi, contro il determinismo della diseguaglianza cognitiva e reale, contro le censure. Un’opinione pubblica per essere democratica deve essere libera, in grado di informarsi, di ragionare sulle cose, nonostante l’attuale contesto tecnologico e la sua vocazione alla manipolazione e alla dipendenza».
Che cosa intende con “manipolazione” e “dipendenza”?
«Che bisogna battersi contro un mondo di deliberata ignoranza. Oggi prendersi il tempo per sé e leggere è davvero un atto che si può definire rivoluzionario. Isolarsi da tutto il fragore, compreso quello prodotto da alcuni non-libri che troviamo sempre più spesso in classifica. È un discorso che ho fatto a lungo con Roberto Calasso nei mesi prima della sua scomparsa: come si può arginare un mondo in cui è sempre più difficile far emergere libri di qualità?».
Feltrinelli è parte del contesto culturale del Paese, difficile chiamarsi fuori.
«Non lo faccio. Accanto all’orgoglio di vedere dopo settant’anni una Feltrinelli in salute, ho anche un cruccio. Forse non ho fatto abbastanza. Nonostante questa storia sia una storia fantastica e la Feltrinelli sia oggi un’agenzia culturale e un laboratorio di idee vivo, mi domando se devo considerarmi corresponsabile della situazione in cui ci troviamo e se il decadimento del dibattito pubblico non sia dovuto anche al non aver fatto, tutti, abbastanza».
Ha definito la lettura un gesto rivoluzionario. Al di là dell’immagine, è chiaro che la lettura, e soprattutto il suo valore civico, è declinata.
«Certo, negli anni ’50 i libri avevano un peso maggiore rispetto alla massa di canali informativi di oggi, però credo che mantengano la loro centralità. Confido nell’auspicio di Antonio Scurati che su Repubblica ha scritto che la democrazia dei lettori ci salverà dai sovranismi. Penso che i libri abbiano una centralità, ma sono certo che bisogna metterla in collegamento virtuoso con tutti i mondi che sono cresciuti in questi anni. Noi continuiamo in un certo senso a “cercare Zivago”. Abbiamo bisogno di libri che possano aprire e sbattere le ali e avere una vita per salvarci da questa onda che ci vuole ignoranti e preda di algoritmi non neutrali ma ottimizzati solo per fare profitto».
Alessandro Baricco ha aperto un dibattito su “Repubblica” sulla fine del Novecento e dell’Occidente. Che cosa ne pensa?
«Penso oggettivamente che l’Occidente stia perdendo la sua definizione e sia in declino. Forse il mondo si apre a una stagione nuova in cui ci sarà un multilateralismo diverso, anche se temo un capitalismo tecno-feudale che si spartisce il mondo. Penso che una stagione sia finita e che a partire dall’Europa ci debba essere una riflessione su come il mondo potrà o saprà organizzarsi».
E gli Stati Uniti?
«Guardiamo tutti con grande preoccupazione l’America: le censure alle università e agli intellettuali, come Judith Butler che abbiamo pubblicato e che ripubblicheremo. È il segnale di una regressione che francamente non mi aspettavo in così poco tempo. Nel frattempo, come mi diceva qualche giorno fa Richard Ford, non resta che attendere il risveglio dell’intellighenzia. E guardare con interesse al candidato sindaco di New York che mi pare una delle poche voci di speranza che ci arrivano da quel Paese».
Per questo Feltrinelli è invece così attenta al Sudamerica?
«In realtà noi siamo partiti in Spagna nel 2010 facendo un accordo con uno degli editori più prestigiosi d’Europa, Jorge Herralde, proprietario di Anagrama che oggi è una casa editrice di grande prestigio in Spagna e in America Latina. Poi sono venute le librerie La Central e a fine anno apriremo una Feltrinelli nel centro di Montevideo. Questo esperimento porterà ad altre opportunità in America Latina, considerando che storicamente Feltrinelli è stato il grande ponte tra letteratura latino americana e Europa, le prime edizioni di García Márquez erano le nostre. A primavera dell’anno prossimo a fianco di Anagrama esordiremo nei mercati di lingua spagnola con il marchio Feltrinelli, una novità molto attesa da quelle parti. Ci dà grande energia essere in contatto con realtà diverse, intellettualmente molto qualificate, giovani, che hanno voglia di partecipare, di leggere, attente alle novità. Tutto questo in una logica non da multinazionale ma da esploratori. Un po’ alla Fitzcarraldo. Fitzgerald d’altro canto è il mio secondo nome, lo sapeva?».
A proposito di nomi. Il suo appartiene alla tradizione illuminata dell’alta borghesia milanese. Negli anni è venuto a mancare il contributo civile di questa componente. Cosa ne pensa?
«Percepisco una certa solitudine. Anche se non mi sono mai del tutto identificato con quella categoria, però di fatto probabilmente è così. C’è chi porta avanti il discorso di famiglia in un certo modo e c’è chi invece lo porta avanti in un altro modo. La sensazione è che quella che si chiamava borghesia sia destinata a svanire o che non ci sia più da un po’».
Quanto pesa portare il suo cognome? Quanto il vuoto lasciato dai suoi genitori?
«Da mio padre ho imparato che la battaglia per un mondo più dignitoso, per uomini e donne, è forse la battaglia più importante della vita. Da mia madre ho imparato tantissime cose, dall’entusiasmo per i libri e le librerie alla lezione finale: godersi la vita fino all’ultimo sandwich. Credo che sarebbero contenti di vedere una libreria aperta a Barcellona come abbiamo fatto dieci giorni fa, una libreria aperta in corso Genova come abbiamo fatto due settimane fa e di vedere un’idea editoriale che va avanti con quella vocazione che a suo tempo si poteva definire illuminista. Ho un rapporto molto felice con tutto il mio passato, continuo ad avere un grande amore per i miei genitori e un dialogo che continua serenamente e creativamente. Quanto a me, mi considero un servitore di questa istituzione. Il mio unico merito è di esserci stato sempre, da non ricordo più quanti anni».
E i prossimi anni?
«Questo vorrei per la Feltrinelli del futuro: continuare a essere profeti del rischio e della visionarietà. L’imprevedibile resta la chiave per intendere questo nostro mestiere. La cosa che mi dà oggi soddisfazione è essere arrivati fin qui con un gruppo fatto di una costellazione di realtà – come la scuola Holden, le librerie, la Fondazione, la casa editrice, la parte legata alla formazione, l’attività internazionale. Questo sarà un nostro obiettivo: rendere Feltrinelli una realtà sempre più europea. Però mi scusi».
Dica.
«Adesso parliamo di libri».
Parliamo di libri.
«Intanto abbiamo celebrato questa ricorrenza importante in varie forme, anche molto innovative, come la messinscena in teatro del Gattopardo di Francesco Piccolo. E poi lo Strega a Andrea Bajani, la collana “Idee” cominciata con Lea Ypi sul tema dell’immigrazione e poi con Piketty e Sandel sull’uguaglianza. I libri in uscita nelle prossime settimane, da quello postumo di Goffredo Fofi, all’edizione speciale di Fratelli d’Italia di Arbasino curata da Giovanni Agosti al libro di Tomaso Montanari su Gaza. L’esordio da noi di un autore di grande successo come Maurizio de Giovanni. E poi penso a Column McCann, che racconta le dinamiche profonde del mondo di oggi, all’inedito La terra del dolce domani di Harper Lee. Insomma sono tutti rimandi a una storia. Pensiamo al passato non come a qualcosa di inerte ma come ad una fonte d’ispirazione per guardare al futuro. Non so se ho risposto».