Corriere della Sera, 14 ottobre 2025
Sull’attentato contro Bernardo Leighton
C’è un delitto quasi dimenticato e parzialmente impunito, nella storia del terrorismo italiano ma anche internazionale, che si colloca esattamente a metà del decennio cosiddetto «di piombo». Un delitto su commissione, realizzato da un commando neofascista per eliminare uno dei capi della resistenza cilena in esilio alla dittatura del generale Augusto Pinochet: la sera del 6 ottobre 1975, a Roma in via Aurelia, a poche centinaia di metri dalla basilica di San Pietro, un uomo sparò due proiettili calibro 9 alla testa di Bernardo Leighton, già vicepresidente della Repubblica del Cile e più volte ministro, e a sua moglie Anita. Si dileguò convinto di averli uccisi, mentre li aveva solo feriti. In maniera molto grave, ma riuscirono a salvarsi.
Tuttavia l’obiettivo di spegnere la voce e l’attività dell’esponente di punta di quella parte di Democrazia cristiana del suo Paese contraria al golpe dell’11 settembre 1973 contro il governo di Salvador Allende e al regime di Pinochet, fu raggiunto. E il crimine che ne segnò l’uscita dalla scena politica occupa solo alcuni fotogrammi di un film drammatico e molto più lungo: la sovversione della democrazia esportata da un continente all’altro, attraverso una variegata «Internazionale nera» che ha avuto solide basi anche in Italia.
Autori dell’agguato a Leighton furono Pierluigi Concutelli e Stefano Delle Chiaie, militanti uno di Ordine nuovo e l’altro di Avanguardia nazionale, assolti nel processo ma riconosciuti colpevoli quando non erano più giudicabili, nei procedimenti contro i mandanti cileni del delitto (condannati, seppure a pene mai scontate). Un destino simile a quello dei neofascisti Freda e Ventura per la strage di piazza Fontana, responsabili ma ufficialmente innocenti grazie anche ai depistaggi «istituzionali» nel corso delle indagini. Che non sono mancati nemmeno dopo gli spari a Leighton.
A mezzo secolo di distanza, il ricordo dell’attentato del 1975 diventa occasione di riflessione sul colpo di Stato in Cile e sulle conseguenze che ebbe oltre i confini di quel Paese e dell’America latina. Per esempio in Italia, dove divenne lo spunto per la proposta del segretario del Pci Enrico Berlinguer di una strategia del «compromesso storico» tra le grandi forze popolari di ispirazione, comunista, socialista e cattolica, per superare le crisi degli anni Settanta; e nel resto del mondo, con le conseguenze di certe politiche economiche ultra-liberiste verso soluzioni istituzionali autoritarie o dittatoriali.
Di questo si discuterà nel convegno organizzato a Roma, alla presenza dei presidenti delle Repubbliche italiana e cilena, dalla Fondazione Vittorio Occorsio, che cela nel proprio stesso nome un legame diretto con l’attentato a Leighton: Concutelli, che sparò in quell’occasione, dieci mesi dopo non sbagliò mira quando uccise Vittorio Occorsio, il pubblico ministero che stava indagando sulle organizzazioni neofasciste e le connessioni con la massoneria e la criminalità comune. Intrecci che probabilmente ne hanno decretato la morte, e di cui si scorgono tracce anche nella rete di connessioni internazionali (politiche e criminali) svelata dalle inchieste e dai processi per il tentato omicidio dell’esule cileno. Di cui, nella seconda fase, fu protagonista il magistrato Giovanni Salvi, inquirente che s’è dedicato a lungo al terrorismo nero e oggi presiede il comitato scientifico della Fondazione Occorsio.
Se la prima indagine sugli esecutori materiali, fondata essenzialmente sulle dichiarazioni di neofascisti «pentiti», finì in un nulla di fatto fu anche a causa della mancata collaborazione delle autorità cilene e statunitensi. E della scarsa attenzione, diciamo così, dedicata all’epoca dagli investigatori italiani a indizi e prove, comprese quelle trovate in un covo romano frequentato da Concutelli e Delle Chiaie.
La svolta arrivò in seguito, con l’apertura degli archivi cileni (una rogatoria indirizzata alle autorità di Santiago, e successivamente finalmente accolta, fu l’ultimo atto firmato da Giovanni Falcone come dirigente del ministero della Giustizia prima di essere assassinato il 23 maggio 1992) che ha consentito di attribuire responsabilità precise a intermediari e mandanti del delitto: l’agente segreto statunitense Michael Townley, il direttore e il capo delle operazioni estere della Dina (il servizio segreto di Pinochet) Manuel Contreras Sepulveda e Edoardo Uturriaga Neumann.
Nella riedizione appena uscita di Condor nero. L’Internazionale fascista da Pinochet a Roma (Paesi edizioni), il libro in cui la giornalista cilena Patricia Loreto Mayorga ricostruisce il ferimento di Leighton, l’omicidio a Washington nel 1976 dell’ambasciatore Orlando Letelier e altri delitti ordinati dal servizio segreto cileno in collaborazione con la Cia di allora, c’è una postfazione di Salvi che ricorda la confessione di Townley, (grazie alla quale ottenne il salvacondotto che gli ha evitato di scontare la pena) sull’organizzazione dell’attentato del 1975. Dalla quale emerse che il clima di collaborazione tra Dc e Pci che si cominciava a respirare in Italia, dove si erano rifugiati molti esuli, «costituisse un grave pericolo per la dittatura di Pinochet». Poteva essere, e forse si stava effettivamente rivelando, un esempio da seguire per le opposizioni di diversa ispirazione, chiamate all’unità per contrastare il regime. Anche dall’estero. Un motivo sufficiente ad arruolare e armare (con la collaborazione degli «amici americani») un killer nero per spegnere la voce di un politico moderato ma democratico e antigolpista come Bernardo Leighton.