Corriere della Sera, 14 ottobre 2025
«Gli oroscopi non sono scienza, ma neppure la teoria di Darwin lo è. La Chiesa ha riabilitato Galileo dopo che io ho convinto Wojtyla»
Antonino Zichichi, che domani festeggerà i suoi 96 anni, è da poco sbarcato su Instagram. C’era da aspettarselo perché è una vita che non disdegna alcun mezzo per diffondere idee, spiegazioni, teorie. Restano indimenticabili le sue polemiche in tv, con quegli occhi spalancati che sembravano oltrepassare lo schermo. Ora, con i capelli lunghi al vento come Albert Einstein, è tranquillamente immerso nel sole di San Vito Lo Capo, nell’estremo occidente della sua Sicilia. Il mare azzurro è alle spalle. Si riposa, è arrivato dalla Svizzera, transita spesso per Roma. Poco lontano la sua Trapani dove è nato e il borgo di Erice sulla montagna in cui, nell’ex convento del Centro Majorana per la cultura scientifica che ha fondato, ha tenuto accesi dibattiti sui destini del pianeta. Spesso gli è accanto il nipote Manfredi che gli spiega ciò che pensano i giovani, mentre lui gli racconta storie di vita e di scienza. «Auguro a tutti voi seguaci del sapere scientifico e della spiritualità – scrive ai suoi follower – un periodo di riflessione e gratitudine. E che ci ispiri a esplorare la meraviglia dell’universo con mente aperta e cuore grato».
Professore, qualche suo collega l’ha criticata per eccessi di volgarizzazione. La spettacolarizzazione delle conquiste scientifiche si è molto diffusa ma non tutti condividono questo approccio. Ci deve essere un limite?
«Non ci sono barriere o limiti. L’importante è divulgare, far conoscere con entusiasmo le straordinarie tappe che la scienza conquista perché riguardano la nostra vita, il nostro domani. Bisogna aprirsi senza paura e qualunque metodo è accettabile, compresi gli eccessi dello spettacolo. Ormai per tutto oggi c’è un po’ la tendenza alla spettacolarizzazione».
Mentre dialoghiamo l’espressione si fa seria, le parole misurate. Il suo storico entusiasmo appare velato. Alla fine dell’anno scorso è scomparsa Maria Ludovica, la compagna di una vita. Anche lei era una illustre scienziata, ricercatrice negli Stati Uniti e a Ginevra nel campo della biologia molecolare. Era figlia di Gilberto Bernardini, grande fisico che collaborò alla rinascita della fisica in Italia e in Europa. Nel 1962 Maria Ludovica aveva abbandonato laboratori e provette dopo la nascita del terzo figlio. A tavola lei spesso – ricorda il figlio Fabrizio —, scherzava senza nessun rammarico con Antonino: «Se avessi continuato a fare ricerca e tu stavi a casa a gestire i figli, il Nobel lo prendevo io».
Come trascorre oggi le sue giornate?
«Mi piace molto camminare, inseguire i miei pensieri che corrono e alla sera guardare le notizie nei telegiornali, impressionato dagli avvenimenti che accadono in questi anni. La storia sembra ripetersi, ma in peggio. Mi turba la mancanza di dialogo tra le potenze, il distacco dal confronto che ci deve sempre essere, altrimenti si alzano muri e si accendono gli scontri, si torna a brandire l’arma atomica. Però in televisione mi interessa seguire anche il Festival di Sanremo e spettacoli più leggeri. Quando mi dedico alla lettura, preferisco i saggi legati alla scienza».
Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, il Cern di Ginevra – il più importante centro di ricerche nel campo della fisica dove lei è stato un personaggio di primo piano – ha votato l’interruzione dei rapporti con gli scienziati russi suscitando qualche malumore. Una decisione giusta o sbagliata?
«Hanno sbagliato. Certo, la Russia non doveva invadere l’Ucraina, però il dialogo con i ricercatori non deve essere mai interrotto perché anche quello può aiutare l’uscita dalle crisi. Durante la Guerra Fredda gli scambi tra Est e Ovest rimasero vivi e alla fine hanno contribuito al cambiamento».
Nel 1979 lei era il primo candidato italiano alla direzione generale del Cern sostenuto dall’allora ministro della ricerca Vito Scalia che aveva anche minacciato, secondo alcune testimonianze, l’uscita dal centro europeo. Ma i rappresentanti delle altre Nazioni le votarono contro e la crisi venne risolta grazie all’intervento dell’ambasciatore Umberto Vattani inviato del ministro. Rimpiange quella opportunità mancata?
«Certo era un’interessante prospettiva. Tuttavia non rimpiango nulla. Da presidente dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare avevo già realizzato il laboratorio sotterraneo del Gran Sasso, il più grande del mondo, a Erice istituito il Centro di cultura scientifica Ettore Majorana, e poi ero impegnato in numerose ricerche all’interno del Cern, compreso Eloisatron un grande acceleratore da 300 chilometri. Avrei dovuto interromperle e non era nei miei interessi».
Sulle cause del riscaldamento del pianeta lei ha idee molto precise.
«L’uomo contribuisce sì al fenomeno, ma la causa più rilevante e grave è naturale: dipende dalle condizioni della Terra non dai suoi abitanti. Ci sono gli influssi del Sole, le condizioni astronomiche. Guardiamo alla storia del pianeta e vedremo le mille condizioni diverse che ha attraversato. Non ci si può limitare ai soli dati raccolti oggi e incolpare senza se e senza ma l’azione umana».
Anche sulla teoria dell’evoluzione di Darwin non è d’accordo...
«Intanto non è affatto una teoria scientifica seria e rigorosa. La scienza è tale quando la realtà delle cose è dimostrabile, e ciò con l’evoluzione di Darwin non accade. Non spiega, ad esempio, come sia avvenuto il passaggio dalla materia inerte alla materia vivente e poi alla sola forma di materia vivente dotata di ragione, che è l’uomo».
Una delle sue battaglie più accese ha riguardato l’astrologia e le superstizioni.
«Sì, è un male che talvolta aggredisce l’individuo. Ho scritto anche un libro dal titolo Il vero e il falso per criticare la diffusa pratica degli oroscopi a cui la gente purtroppo si affida credendo a realtà inesistenti. Bisogna combattere questi pensieri che danneggiano e provocano soltanto dei danni».
Giulio Andreotti l’apprezzava molto perché – ha scritto – «il mondo politico le deve momenti di comunicativa quando nel gelo della Guerra Fredda i colloqui internazionali erano sospesi». E ha aggiunto che le hanno proposto molte volte di entrare in politica ma lei «non ha mai ceduto ai reiterati inviti a candidarsi» (salvo la breve parentesi da assessore regionale alla Cultura, in Sicilia). Come mai questo rifiuto?
«Quello che facevo in ogni mia iniziativa o ente di cui sono stato alla guida era già politica. Ma anche nel mio lavoro quotidiano, all’Università o nei centri scientifici dove lavoravo ero accompagnato da una visione attraverso la quale ottenere migliori condizioni per la ricerca. Ho sempre preferito agire all’interno delle istituzioni scientifiche perché potevo costruire e arrivare rapidamente ai risultati, come è necessario fare».
È stato davvero lei l’ispiratore di papa Giovanni Paolo II nella riabilitazione di Galileo Galilei dopo secoli di silenzio?
«Sì. Era una vicenda da affrontare, urgente per la nostra storia e per quella della Chiesa. Ho spiegato al Pontefice la verità del mondo scientifico e la necessità di rivedere l’ingiusta condanna della Chiesa. Il Papa mi ascoltava con grande attenzione e chiedeva sempre dettagli. Alla fine ha deciso, superando il passato e guardando al futuro».
Lei aveva anche proposto di santificare Galileo Galilei...
«È vero, ma in questo caso non sono riuscito a convincerlo. Galileo è già santificato per ciò che ha fatto cambiando il nostro modo di vedere il mondo e la storia».
Scienza e fede per lei sono molto unite, però nella società il rapporto è talvolta difficile. Perché?
«Nella realtà sono collegate, ed è inevitabile che lo siano. Devono coesistere: la scienza è la trasformazione del pensiero in realtà e la fede è un credo. L’uomo vive sempre nell’immanente e nel trascendente: è un bisogno naturale della mente».