Robinson, 12 ottobre 2025
A proposito di Henry (e di Fonzie)
Henry Winkler, 80 anni a fine mese, torna sugli schermi in un progetto lontano dal mito di Fonzie e dentro la memoria inquieta dell’America del Novecento. In Una storia pericolosa, la serie su History Channel dal 9 novembre che
mescola divulgazione e commedia nera, l’attore ci guida attraverso abitudini, oggetti e passatempi che un tempo erano parte della vita quotidiana e che oggi appaiono
incredibili, se non letali: bibite al litio, giochi incendiari e “show” finiti in tragedia.
La serie racconta il lato nascosto e un po’ folle della Storia.
«Esatto: affrontiamo la Storia, ma non i grandi eventi l’offensiva delle Ardenne. Guardi queste vicende e pensi: ma davvero noi umani abbiamo fatto questo e siamo ancora qui? Stupisce ciò che la gente ha inventato pur di intrattenere o fare soldi: ad esempio, c’è chi ha creato un
pettine nelle giornate calde prende fuoco incendiando capelli e vestiti...».
Gli episodi più sorprendenti?
«Mi è piaciuto molto il fatto proprio per non renderlo datato. Le storie erano e sono ancora le stesse di oggi: crescere con gli amici, con i genitori».
Il film o il personaggio della sua carriera di cui è più orgoglioso?
«Il prossimo. I film sono come i miei figli. Ne ho tre, e sette nipoti. Li amo tutti. Ognuno è diverso».
La paternità è la sua missione. «Ho promesso a mia moglie, Stacy, che sarei stato un padre diverso dai miei genitori. I miei figli hanno sempre potuto dire cosa pensavano, a tavola il più piccolo, Max, poteva dire: “Trovo che questa regola sia ingiusta”. A volte gli davo ragione, altre no. Ma ascoltavo sempre».
Spesso, nelle interviste, Ron Howard parla della vostra
amicizia.
«È un fratello. Quando lo incontrai, io avevo 27 anni e lui 18. Era saggio, lo ascoltavo. Era un partner di recitazione straordinario, potevamo fare scene senza dire una parola,
seguendo solo l’istinto. I suoi meravigliosi figli sono miei figliocci. Sua moglie è amica della mia, penso guarderanno questa serie insieme».
Il set peggiore e il preferito?
«Arrivato a Hollywood ho lavorato al Mary Tyler Moore Show, la serie più popolare dell’epoca. A un certo punto chiamarono la pausa pranzo, tutti andarono e io restai lì senza sapere che fare. Certo, avrei potuto chiedere, ma mi sentii solo. Mi ripromisi che nessun attore su un set con me si sarebbe mai sentito solo. Quanto al preferito: ogni
giorno che vado a lavorare è il mio preferito. Faccio l’attore anche per il catering a colazione: mi prendo un burrito con uovo, un pezzo di bacon, formaggio, salsa e tortilla. E sono felice».
È ottimista?
«Sì. Sono inquieto, ma ottimista».
Il suo sogno oggi?
«Vorrei che almeno il mio Paese ricominciasse ad ascoltarsi. Non riesco a immaginare che la gente non ascolti più un punto di vista diverso. E poi che i miei figli e nipoti siano felici, in salute, e realizzino i loro sogni. Vorrei che mia moglie spendesse meno. E vorrei continuare a essere rilevante, a lavorare, a fare altre stagioni di questa serie. Se i primi otto episodi andranno bene, ne faremo venti: Italia, guardaci».