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 2025  ottobre 11 Sabato calendario

"Volevo smitizzare il Western. Ma ho ottenuto l’esatto contrario"

Intervista pubblicata su Tuttolibri nel 2018
Larry McMurtry è come usa dire una leggenda vivente. Nato nel 1936 ad Archer City in Texas, cresciuto nel ranch paterno in cui non c’erano libri ma dove ogni sera la famiglia si ritrovava sotto il porticato a raccontare storie, ha scritto decine di romanzi e svariate sceneggiature per il cinema e la tv, e torna ora nelle librerie italiane con Le strade di Laredo, seguito del mirabile Lonesome Dove, premiato non a caso con il Pulitzer: stavolta il capitano dei Texas Ranger Woodrow Call è chiamato da un magnate delle ferrovie yankee a catturare il feroce bandito messicano Joey Garza, uno che ha capito come le rapine al treno – simbolo della modernità che di fatto sancisce la fine di un’epoca – siano assai più redditizie dei furti di bestiame.
Call, invecchiato e acciaccato, non è il solo tra i protagonisti di Lonesome Dove che ritroviamo tra le pagine di Le strade di Laredo: a cominciare da Lorena, l’affascinante ex prostituta andata in sposa a Pea Eye, il fedele partner del capitano; i due ora hanno cinque figli e una fattoria da mandare avanti, e per lei la famiglia viene prima di ogni altra cosa. Sta di fatto che all’epoca in cui Lonesome Dove uscì negli Stati Uniti, McMurtry ebbe alquanto a dolersi dell’accoglienza che ricevette. Lui aveva scritto un anti-Western, ma il romanzo venne celebrato perché aveva rigenerato l’epica Western. «Non penso molto spesso a Lonesome Dove – dice -, e a dire la verità non l’ho mai riletto. Quando lo scrissi avevo intenzione di smitizzare il West. Oggi come oggi, devo dire di avere ottenuto il contrario. Della miniserie tratta dal romanzo ho visto alcuni episodi, ma so che ha avuto milioni di spettatori non solo in America e quindi ha reso ancora più popolare il libro. Il fatto è che in vita mia non ho scritto solo storie Western, ma anche saggi e pièce teatrali, e non mi ritengo uno scrittore di Western. Peraltro so che da me il pubblico si aspetta roba Western. In ogni caso bisognerebbe intendersi su che cosa è oggi il genere Western. Basta ambientare una storia nel West, quale che sia l’epoca che narra, perché rientri nella categoria Western?».
Lei ha vinto un Oscar con “I segreti di Brokeback Mountain”. Paul Newman interpretò nel 1963 Hud il selvaggio, tratto da uno dei suoi romanzi. E Peter Bogdanovic girò da una delle sue opere L’ultimo spettacolo. Robert Duvall è tra gli interpreti della serie tv tratta da “Lonesome Dove”. Che importanza ha avuto il suo rapporto con Hollywood?
«Nei primi anni Sessanta, quando studiavo alla Stanford University, frequentai un corso di scrittura creativa in cui ebbi la fortuna di avere come maestri autori del calibro di Malcolm Cowley o Ken Kesey (di cui poi McMurtry ha sposato la vedova, n.d.a.). Quando mi premiarono con l’Oscar per I segreti di Brokeback Mountain, mi presentai sul palco in jeans e stivali da cowboy e ricordai a tutti che quel film era tratto da un racconto di Annie Ernaux. Il mio rapporto col cinema e con la tv è stato evidentemente fortunato. Nella maggior parte dei casi, i film tratti da ciò che ho scritto sono stati buoni film. L’ultimo spettacolo è un esempio più unico che raro di pellicola che viene realizzata nel momento giusto dal regista giusto. Sta di fatto che come Amazon ha sottratto clienti alle librerie, così le serie tv hanno sottratto spettatori al cinema. Fare televisione costa molto meno di quanto costi fare cinema, ed è un mezzo più flessibile».
Quando ha deciso di tornare a vivere ad Archer City, ha acquistato alcuni locali commerciali e li ha riempiti di libri usati. Ma aveva iniziato presto: la prima libreria l’ha aperta a Georgetown a negli anni dell’università, per poi replicare l’esperienza a Houston e Tucson. Lei è senza dubbio lo scrittore americano che ha inaugurato più librerie.
«Archer City è una cittadina texana con meno di duemila abitanti che ha patito gli effetti devastanti della crisi petrolifera. Qui un tempo, dagli anni Trenta agli anni Sessanta del Novecento, c’era una grande ricchezza. Si estraevano 88 milioni di barili di petrolio al giorno. Poi quell’era è finita. E quando sono tornato, e ho visto com’era ridotta, il mio sogno era di fare di Archer City la cittadina del libro. Vede, a casa mia ho quasi 30 mila volumi. Ho sempre coltivato la passione per i libri rari e per quelli finiti immeritatamente fuori catalogo: la mia è una specie di dipendenza, lo ammetto. Le librerie che ho messo su all’epoca del mio ritorno ad Archer City alla fine degli anni Ottanta erano quattro, e all’apice della loro attività contenevano quasi 450 mila titoli. Avevamo clienti che arrivavano in auto da tutti gli Stati Uniti, e ripartivano col bagagliaio pieno. Cinque anni fa ho dovuto fare i conti con gli effetti dell’e-commerce e con il fatto che nessuno dei miei eredi, né mio figlio né mio nipote che si occupano entrambi di musica, aveva intenzione di prendere le redini di quest’attività. Così ho deciso di vendere all’asta la maggior parte dei libri. Ne abbiamo venduti 300 mila in tre giorni. Ma una libreria l’ho voluta tenere aperta. Oggi contiene circa 200mila volumi».
Lei nel corso della sua carriera ha scritto tantissimo. Che cosa consiglia a chi voglia intraprendere la strada della scrittura?
«Per imparare a scrivere bisogna leggere, leggere, leggere e ancora leggere. Per quanto ne so, tutti abbiamo iniziato imitando gli scrittori che amavamo. Poi certo ciascuno deve trovare la sua voce».
E lei che cosa legge mentre scrive?
«Quando scrivo non leggo mai narrativa. Potrebbe interferire col mio lavoro, perciò me ne tengo alla larga».
Che cosa fa quando non scrive?
«Se ho del tempo libero, vado a caccia di libri».
Lei un tempo si è definito uno scrittore locale minore. Diceva sul serio?
«Certo che sì. La maggior parte di quelli che scrivono sono scrittori locali minori. Ogni generazione quando va bene produce al massimo quattro o cinque grandi scrittori, che sono quelli destinati a rimanere nella Storia. Gli altri sono tutti minori».
Mi dice il nome di una grande scrittrice?
«Flannery O’Connor».