il Fatto Quotidiano, 13 ottobre 2025
Il giallo dei 3 Monet: la collezione Agnelli è degna di un Poirot
Anno 2013. Sotheby’s New York, tempio globale dell’arte, batte per 16 milioni il Glaçon numero due. Ignoto l’acquirente, si conosce però la provenienza: un’azienda specializzata in operazioni “coperte” su opere d’arte: la Duhamel, sede a Parigi, a due passi dall’Eliseo. In Francia, lo aveva esposto nel suo museo un impresario d’arte d’origine italiana, Marc Restellini. Prima ancora si trovava in Giappone. Non può essere lo stesso Monet: quando viene battuto a New Yok, il quadro di Agnelli si trovava stabilmente appeso a un chiodo sugli spessi muri di Villa Frescot, in usufrutto alla moglie dell’Avvocato, Marella. La vedova muore nel 2019. E solo allora la figlia Margherita Agnelli può entrare nella casa ereditata dal padre. Ma del Monet non c’è traccia. Margherita va su tutte le furie e presenta una denuncia alla Procura di Milano: ritiene che il Glaçon, assieme a un’altra decina di opere, le sia stato illecitamente sottratto – sospetta lei – dai suoi figli, John, Lapo e Ginevra, con cui da anni è in causa per l’eredità dei genitori. Il pm di Milano Eugenio Fusco indaga e riceve una soffiata: il Monet si troverebbe in Svizzera, in un caveau operato da un mercante d’arte, Gabriele Martino, il cui padre Massimo aveva collaborato con Agnelli.
La mail: “Quello vero è stato sostituito?”
Parte la rogatoria, i gendarmi elvetici entrano in un box blindato del porto franco di Chiasso. Ma non trovano niente, sparita ogni traccia. E quindi: tutti prosciolti. Il colpo di scena arriva però nel 2024: la Procura di Torino indaga sulla residenza svizzera di Marella Caracciolo: quando l’8 febbraio la Guardia di Finanza entra negli uffici di John Elkann a Torino nessuno se lo aspetta. Vengono sequestrate montagne di documenti che porteranno all’incriminazione di John per truffa ai danni dello Stato ed evasione fiscale. Gli uomini della Finanza perquisiscono anche un caveau al Lingotto: trovano alcune opere d’arte, tra cui – sorpresa! – il nostro Monet, il Glaçon. Ma è una copia, datata 2008. Dove si trova l’originale? La risposta è negli elenchi sequestrati negli uffici della signora Montaldo, la segretaria particolare di Elkann: è in Svizzera a Chesa Alkyone, nella casa che fu di Agnelli. Sarebbe sempre stato lì, dice Elkann ai Beni culturali.
Qualcosa non torna. Come ha fatto il Monet ad andare da Torino alla Svizzera? La legge infatti vieta l’esportazione senza autorizzazione di opere d’arte di grande valore, e il Monet. E di autorizzazioni, scopre Report grazie a un accesso agli atti, non ve n’è traccia. Il reato vale tra 2 e 8 anni di reclusione a cui si aggiunge la confisca. Su questo ora indaga la procura di Roma. Nelle carte in possesso del pm romano Stefano Opilio, c’è un inventario che dimostra la presenza a Torino del Monet. Datato 20 ottobre 2003, poco dopo la morte dell’avvocato, si intitola “Art Frescot”. E una e-mail, in cui la signora Montaldo si chiede: “L’originale del Monet era quindi a Frescot ed è stato sostituito da una copia?”. E poi, in un’altra missiva: “Per il Monet non esiste (importazione, ndr) temporanea, il dr Martino si è presto un giorno per valutare come approcciare la pratica”. Tradotto: se non c’è importazione temporanea e l’opera è finita dall’Italia alla Svizzera è un grosso problema. Il giallo è risolto? Lo dirà la procura di Roma.
La casa d’aste e il “Mon Cher John”
E il Glaçon venduto da Sotheby’s nel 2013? Report aveva chiesto numi alla casa d’asta. Domanda secca: “Avete venduto un falso o avete esportato illegalmente un’opera?”. La risposta fu evasiva: “Siamo sicuri che tutte le procedure siano state seguite”. Sotheby’s, però, è una cosa seria: la fiducia, in questo business, è denaro. E in realtà era corsa ai ripari. Sempre nel 2013 – si scopre adesso dalle carte sequestrate a Torino e trasferite alla Procura di Roma – ci fu un lungo scambio di e-mail tra John Elkann e alcuni funzionari della casa d’asta. Si danno del tu, si conoscono: “Mon Cher John” è l’incipit. Sotheby’s chiede umilmente a Elkann di inviare l’opera a New York, per poterla confrontare con l’altra. “Sarà nostra cura provvedere alle spese di spedizione e assicurazione”, dicono. Si accordano anche sulla polizza assicurativa: 14 milioni di euro. Il Monet vola dalla Svizzera a New York, poi ritorna: ora, secondo le carte sequestrate, lo possiede Lapo.
Ci saranno pure tre Monet, ma l’originale è uno. E lo vogliono tutti: Lapo non vuole mollarlo, la procura di Roma potrebbe confiscarlo, Margherita Agnelli dice che è suo, un ignoto cliente di Sotheby’s vorrebbe goderselo.